di Guglielmo Saporito
Promozione a pieni voti per la perequazione urbanistica, secondo la Corte costituzionale (sentenza 17 luglio 2017 n. 209): i Comunipossono acquisire una congrua percentuale dell’aumento di valore dei terreni generato dai piani urbanistici, tutte le volte che una variante consenta un’utilizzazione più proficua.
La vicenda
Il caso riguarda la capitale, in particolare zone di proprietà della Rai (in località Prato smeraldo e Santa Palomba), da dismettere in quanto il passaggio alla tecnologia digitale e la riduzione dei servizi in onda media, rende disponibili ampi complessi immobiliari. Aree ed immobili sarebbero potuti diventare residenziali o commerciali, ad uso servizi, o turistico ricettive e produttive.
L’accordo tra la Rai ed il Comune avrebbe previsto, in cambio di tale “valorizzazioni urbanistica” un contributo straordinario a carico della proprietà, di natura indirettamente fiscale perché specifico per quelle sole zone.
Il meccanismo che ripartisce tra privato ed ente che pianifica (il Comune) i benefici di una più proficua destinazione urbanistica, è noto come perequazione, modalità che per il comune di Roma è stata ritenuta legittima dal Consiglio di Stato (4545/ 2010): il meccanismo prevede una limitata edificabilità per tutte le aree, e contemporaneamente possibili aumenti di volumetria subordinatamente a un consistente prelievo economico a favore del Comune. I terreni sarebbero diventati appetibili sotto l’aspetto residenziale, commerciale ecc, ma solo dopo un consistente prelievo a favore dell’amministrazione capitolina.
Per rimediare ai dubbi di legittimità su tale prelievo del Comune, il legislatore ha varato una norma (articolo 14 comma 16 F del Dl 78 / 2010) che consente al Comune di Roma un prelievo del 66% del maggior valore immobiliare conseguibile attraverso varianti urbanistiche. Lo stesso principio, seppur con percentuali inferiori è stato esteso tutti i comuni nel 2014, attraverso una modifica all’articolo 16 comma 4 lettera d-ter del Dpr 380/2001.
Gli enti locali possono pretendere dai privati non solo gli oneri di concessione (costo di costruzione ed oneri di urbanizzazione), ma anche consistenti importi economici, proporzionali al maggior valore generato da interventi sulle destinazioni in variante urbanistica, anche solo per cambi di destinazione d'uso. Il 66% (per Roma) ed il 50% (per altri comuni) sono quindi consistenti entrate straordinarie, esigibili a carico di singoli proprietari e per specifiche aree, elevando alla massima potenza quelli che un tempo erano i «contributi di miglioria specifica», gli importi richiesti ai beneficiati dalla realizzazione di una strada che rendeva accessibile (e economicamente più appetibile) il valore dei terreni latistanti la strada.
La perequazione
Il meccanismo della perequazione, in particolare la sottrazione di consistenti aliquote di aumento valore, hanno fatto sorgere dubbi di legittimità tributaria, per contrasto con gli articoli 3 (eguaglianza) 23 e 53 (capacità contributiva) e 97 (buon andamento) della Costituzione. Dubbi sui quali il giudice delle leggi interviene.
I Comuni hanno un’ampia potestà “conformativa” del territorio ( possono modificarne le destinazioni), mentre i privati possono sollecitare le scelte dei comuni per accrescere le utilizzazioni e il valore dei loro terreni, ma devono stipulare accordi e negoziare le diverse utilità con l’ente locale.
Proprio il modello privatistico e consensuale, dell’accordo tra privato e Comune, consente di promuovere qualsiasi tipo di equilibrio e di prelievo da parte dell’ente locale. Secondo la Corte non si può pensare a pretese arbitrarie e gravose verso il privato se tali pretese sono frutto di una richiesta del privato che vuole ottenere un maggior valore della sua proprietà. Principi di cui potranno giovarsi i comuni, esigendo quote (superiori alla metà dell’aumento di valore) ai privati che chiedano varianti urbanistiche.
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