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Parziale illegittimità costituzionale degli articoli 11 e 13 del d.l. 112/2008

Pubblicato il 18/06/2010

Corte Costituzionale 23/3/2010 n. 121

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’art. 18, comma 4-bis, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossi dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Umbria, Toscana, Puglia, Campania, Valle d’Aosta, Sicilia, Lazio e Toscana, con ricorsi notificati il 16, il 17 e il 20 ottobre 2008, ed il 23 marzo 2009, depositati in cancelleria il 22, il 24, il 27, il 28 ed il 29 ottobre 2008, il 5 novembre 2008 ed il 27 marzo 2009 e rispettivamente iscritti ai nn. 67, 69, 70, 72, 73, 74, 78, 79, 84, 88 e 89 del registro ricorsi 2008 ed al n. 23 del registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’atto di intervento della Regione Lazio nel giudizio promosso dalla Regione Campania (reg. ric. n. 79 del 2008);
udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Stefano Santarelli per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per le Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Pasquale Mosca per la Regione Toscana, Nino Matassa per la Regione Puglia, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Francesco Saverio Marini per la Regione Valle d’Aosta, Paolo Chiapparrone per la Regione siciliana, Vincenzo Cerulli Irelli per la Regione Lazio e l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Piemonte ha promosso, con ricorso notificato il 16 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre (reg. ric. n. 67 del 2008), questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e, tra queste, degli artt. 11 e 13, in riferimento all’art. 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione.
1.1. – In merito alla prima delle norme impugnate, la ricorrente sottolinea come il legislatore statale, nel comma 1 dell’art. 11, rivendichi la competenza ad approvare un piano nazionale di edilizia abitativa, al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana.
La difesa regionale ritiene che il comma 2 del richiamato art. 11 leda la propria competenza legislativa in materia di governo del territorio (ex art. 117, terzo comma, Cost.), in quanto esprime «dettagliatamente e con elencazione tassativi requisiti soggettivi ed oggettivi dei beneficiari di tali interventi di edilizia abitativa».
Il censurato comma 2 violerebbe anche l’art. 117, quarto comma, Cost.; infatti, in relazione all’«aspetto assistenziale» della normativa censurata, sarebbero lese le competenze regionali in materia di politiche sociali dell’abitazione.
1.2. – Quanto all’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, la ricorrente evidenzia come le norme di cui ai commi 1 e 2 di detto articolo riproducano pressoché integralmente il contenuto dell’art. 1, commi 597, 598, 599 e 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), già dichiarati illegittimi con la sentenza n. 94 del 2007.
In particolare, la difesa regionale, dopo aver illustrato il contenuto del comma 1 dell’art. 13, richiama le argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale per motivare la declaratoria di illegittimità del comma 597 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, evidenziando come la norma oggetto dell’odierna impugnazione violi la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di edilizia residenziale pubblica, in quanto relativa alla disciplina della gestione degli alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), comunque denominati. Si profilerebbe, pertanto, anche nel presente giudizio, un’ingerenza dello Stato «nel terzo livello di normazione riguardante l’edilizia residenziale pubblica», ricompreso nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. Né la previsione del raggiungimento di un accordo in sede di Conferenza unificata farebbe venir meno la lesione delle competenze legislative regionali.
La Regione Piemonte censura, inoltre, la norma di cui al comma 2 dell’art. 13, riprendendo le argomentazioni sviluppate nella sentenza n. 94 del 2007 in merito all’incostituzionalità del comma 598 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005.
Infine, è impugnato il comma 3-bis dell’art. 13, sul rilievo che esso disporrebbe «in modo dettagliato in ambito che spetta al legislatore regionale disciplinare nel modo più aderente alle situazioni economico-sociali riscontrate localmente».
Da quanto sopra detto discenderebbe la violazione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost.
2. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle censure.
2.1. – In riferimento alle censure mosse all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, la difesa erariale eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, in quanto la questione di legittimità costituzionale non sarebbe definita nei suoi termini essenziali e non sarebbe adeguatamente motivata. In particolare, non risulterebbe chiaro se la Regione Piemonte abbia voluto impugnare l’intero art. 11 (come sembrerebbe dall’epigrafe del ricorso) o solo il comma 2 (stando alla parte motiva del ricorso).
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato rileva, innanzitutto, come il piano nazionale di edilizia abitativa intenda realizzare una strategia di azione complessiva volta a riconoscere il carattere strategico per il Paese della riqualificazione urbana ed a coinvolgere, oltre alle risorse pubbliche, quelle private, attraverso il ricorso a modelli di intervento limitati, fino ad oggi, al settore delle opere pubbliche (project financing), oppure a strumenti finanziari immobiliari innovativi per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia residenziale, quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale (c.d. social housing).
La difesa erariale ricorda che, nella XV legislatura, è stata adottata una serie di provvedimenti aventi la finalità di dare nuovo impulso alle politiche a tutela del disagio abitativo: tra questi, la legge 8 febbraio 2007, n. 9 (Interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali), che ha previsto la predisposizione, da parte delle Regioni, di un piano straordinario pluriennale per l’edilizia sovvenzionata e agevolata da inviare ai Ministeri delle infrastrutture, della solidarietà sociale e delle politiche della famiglia. È stato anche previsto l’avvio di un programma nazionale di edilizia residenziale pubblica da parte del Ministero delle infrastrutture, di concerto con gli altri Ministeri sopra indicati e d’intesa con la Conferenza unificata, sulla base delle indicazioni emerse nel tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative. Successivamente è stato previsto l’avvio di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, introdotto con l’art. 21 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29 novembre 2007, n. 222.
In relazione all’art. 11, comma 2, il resistente rileva come sia stata ampliata la platea dei beneficiari rispetto ai provvedimenti, d’urgenza ed ordinari, adottati negli ultimi anni per contrastare il fenomeno del disagio abitativo. Sono stati inclusi, infatti, gli immigrati regolari a basso reddito e gli studenti fuori sede, che, fino all’entrata in vigore della norma impugnata, erano destinatari solo di agevolazioni di carattere fiscale relativamente ai canoni di locazione. Sono stati inseriti anche i «soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio», senza ulteriori distinzioni.
La difesa erariale conclude rilevando che l’art. 11, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, là dove individua i soggetti beneficiari del piano, costituisce esercizio della competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
2.2. – Quanto alle censure mosse all’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, il resistente contesta l’assimilazione delle norme impugnate a quelle dichiarate illegittime con la sentenza n. 94 del 2007.
Innanzitutto, il comma 1 dell’art. 13 non attribuirebbe allo Stato alcuna potestà regolamentare allo scopo di semplificare le procedure di alienazione degli immobili.
Non sarebbe, inoltre, previsto come obbligatorio l’accordo in sede di Conferenza unificata; al riguardo, l’Avvocatura generale sottolinea come la norma impugnata si limiti a conferire ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e per i rapporti con le Regioni la potestà di promuovere accordi con le Regioni e con gli enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure suddette. Pertanto, i predetti accordi sarebbero soltanto eventuali, poiché la loro conclusione dipenderebbe esclusivamente dalla volontà della parte regionale e della componente rappresentativa degli enti locali nell’ambito della Conferenza unificata. Inoltre, anche quando si pervenisse ad un accordo, la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili dovrebbe comunque essere disciplinata da atti legislativi regionali.
Secondo il resistente, la norma di cui al comma 1 dell’art. 13 ha l’esclusiva finalità di garantire, mediante accordi in Conferenza unificata, livelli minimi essenziali di garanzia dei diritti degli assegnatari degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e popolare, in caso di alienazione degli stessi. Così individuata la ratio della norma, l’Avvocatura generale ritiene che essa sia riconducibile alla competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Il ricorso non sarebbe fondato neanche con riguardo al comma 2 dell’art. 13, in quanto la norma impugnata non fisserebbe scopi vincolanti del procedimento delineato dal legislatore statale, ma meri «criteri», di cui tenere conto nell’eventualità che sia possibile pervenire all’accordo.
La censura mossa nei confronti del comma 3-bis dell’art. 13, in riferimento all’art. 117, quarto e sesto comma, Cost., sarebbe infine inammissibile per l’estrema genericità della sua formulazione.
La norma in esame, secondo l’Avvocatura dello Stato, si limiterebbe ad indicare le finalità di intervento in modo generico (al riguardo, sono richiamate le sentenze n. 151 e n. 453 del 2007 della Corte costituzionale), rinviando ad un successivo provvedimento la determinazione delle modalità di impiego delle risorse finanziarie previste.
3. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni siglato il 5 marzo 2009; b) parere della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE 8 maggio 2009, n. 18/2009 (Parere espresso ai sensi dell’art. 11 del decreto-legge n. 112/2008, sullo schema del piano nazionale per l`edilizia abitativa); e) d.P.C.m. 16 luglio 2009 (Piano nazionale di edilizia abitativa).
4. – La Regione Emilia-Romagna ha promosso, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre (reg. ric. n. 69 del 2008), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, e, tra queste, degli artt. 11, commi 1, 3, 4, 5, 8, 9, 11 e 12; e 13, commi 1, 2, 3-bis e 3-quater, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo comma, e 136 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
4.1. – Preliminarmente la ricorrente illustra il contenuto dei commi impugnati dell’art. 11, sottolineando come la disciplina in questione risulti «a volte imprecisa o oscura». In particolare, non sarebbe chiaro quali siano i soggetti che concludono gli accordi di programma di cui al comma 4, né il modo in cui si configuri un’attività regolativa «in sede di attuazione dei programmi di cui al comma 4» (comma 8), né ancora le modalità di attuazione dei suddetti programmi «con l’applicazione» dell’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) (comma 11).
In generale, la Regione Emilia-Romagna lamenta che l’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 regoli dettagliatamente gli interventi in cui si articola il Piano casa e le relative procedure attuative, istituendo un apposito Fondo presso il Ministero delle infrastrutture e prevedendo una gestione centralizzata dei suddetti interventi.
La difesa regionale ricostruisce, in sintesi, le tappe più rilevanti dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di edilizia residenziale pubblica, soffermandosi su alcune affermazioni contenute nella sentenza n. 94 del 2007 della Corte costituzionale. In particolare, la ricorrente sottolinea come la suddetta pronunzia abbia individuato tre livelli normativi sui quali si estende la materia in esame: il primo è riconducibile alla determinazione dell’offerta minima di alloggi, di competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.; il secondo concerne la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica ed afferisce alla competenza legislativa concorrente in tema di «governo del territorio» (art. 117, terzo comma, Cost.); il terzo, infine, è relativo alla gestione del patrimonio immobiliare di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti e rientra nella competenza legislativa piena delle Regioni (ex art. 117, quarto comma, Cost.).
4.1.1. – Quanto alle singole norme oggetto di censura, è impugnato il comma 1 dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, in quanto non sarebbe pertinente il riferimento, ivi contenuto, alla garanzia dei «livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo» cui è finalizzato – stando almeno al dato letterale – il piano nazionale di edilizia abitativa, istituito con l’articolo censurato. Secondo la Regione Emilia-Romagna, l’art. 11, comma 1, non determinerebbe l’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti, né individuerebbe alcun “livello” di prestazione sociale, ma prevedrebbe solo un Piano per “incrementare” (comma 2) il patrimonio immobiliare ad uso abitativo. La difesa regionale rileva, in proposito, come gli immobili in questione siano destinati solo «prioritariamente» e non “in via esclusiva” a prima casa.
Da quanto appena detto la ricorrente deduce che la norma impugnata non sarebbe riconducibile alla competenza statale in tema di livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo (ex art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), bensì alla programmazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella competenza concorrente in materia di governo del territorio.
La Regione Emilia-Romagna precisa, al riguardo, di non impugnare il comma 2 dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, in quanto questa norma fissa i criteri generali per l’individuazione dei beneficiari degli interventi e dunque rientra nel «primo livello normativo» di cui alla sentenza n. 94 del 2007.
4.1.2. – La difesa regionale impugna, inoltre, i commi 3, 4, 5, 8 e 9 dell’art. 11, poiché non si limiterebbero a fissare obiettivi ed indirizzi per la programmazione regionale di edilizia residenziale pubblica ma conterrebbero «una disciplina completa e dettagliata della tipologia di interventi (commi 3 e 5) e delle procedure di attuazione e verifica del piano (commi 4, 8 e 9)». A tal proposito, la Regione Emilia-Romagna richiama il contenuto dell’art. 60, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), secondo cui spetta alle Regioni la «determinazione delle tipologie di intervento anche attraverso programmi integrati, di recupero urbano e di riqualificazione urbana».
La ricorrente evidenzia come la disciplina contenuta nei commi impugnati sia destinata ad essere integrata dagli accordi di programma di cui al comma 4 dell’art. 11 e da quanto sarà stabilito «in sede di attuazione» dei suddetti programmi (comma 8). Sarebbe così prevista «una complessa procedura gestita dal centro», nella quale non residuerebbero spazi per una disciplina regionale di svolgimento dei principi statali. Al riguardo, sono richiamate alcune pronunzie della Corte costituzionale con le quali sono state dichiarate illegittime norme legislative statali che non lasciavano alcun margine di intervento al legislatore regionale in materie di competenza concorrente.
La Regione Emilia-Romagna sottolinea, altresì, la differenza tra le norme oggetto dell’odierna impugnazione e quelle contenute nella legge n. 9 del 2007, esaminate dalla Corte costituzionale nel giudizio definito con la sentenza n. 166 del 2008. Sul punto, la difesa regionale asserisce che, mentre la norma di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 9 del 2007 (con riferimento alla quale la Corte ha concluso per l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale decisa con la sentenza n. 166 del 2008) «sembra effettivamente una norma di principio in materia di programmazione» degli interventi di edilizia residenziale pubblica, l’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 ha un contenuto molto dettagliato e non prevede affatto programmi regionali. In particolare, i commi 1 e 4 dell’art. 11 attribuirebbero al Ministero delle infrastrutture, al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) «poteri non sorretti da esigenze unitarie», in quanto non si tradurrebbero nella fissazione delle linee generali della programmazione regionale ma nell’adozione di criteri (comma 1) e di accordi (comma 4), modellati sulle diverse realtà territoriali e che sembrano implicare la localizzazione degli insediamenti.
Sulla base delle predette argomentazioni, la difesa regionale ritiene che i commi 1 e 4 dell’art. 11 siano illegittimi anche per violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., in quanto prevedrebbero poteri amministrativi statali senza che sussistano esigenze unitarie idonee a giustificarli.
Oggetto di specifiche censure è poi l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 11, nel quale si stabilisce che, decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta l’intesa prevista nel medesimo comma, gli accordi di programma possono essere comunque approvati. La norma in esame violerebbe il principio di leale collaborazione, in quanto «la forte incidenza degli accordi di programma su una materia di competenza regionale non può non richiedere un’intesa (appunto) “forte”». La ricorrente ritiene pertanto che il comma 4 sia incostituzionale anche nella denegata ipotesi in cui i poteri statali previsti nei commi 1 e 4 dell’art. 11 siano considerati legittimi.
4.1.3. – La Regione Emilia-Romagna censura, inoltre, il comma 11 dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, nella parte in cui prevede che i programmi integrati di cui al comma 4 sono dichiarati «di interesse strategico nazionale». Secondo la ricorrente, la norma in esame – specie alla luce del fatto che il comma 4 non precisa da chi sono approvati questi programmi – «pare sottintendere» un intervento statale non sorretto da esigenze unitarie e già attribuito alle Regioni dall’art. 93 del d.P.R. n. 616 del 1977 e dall’art. 60, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 112 del 1998. Sarebbe pertanto violato l’art. 118, primo comma, Cost.
4.1.4. – È impugnato anche il comma 12 dell’art. 11, che istituisce un fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale confluiscono le risorse previste da altre leggi.
La Regione ricorrente lamenta la mancata indicazione dei destinatari di tali risorse; in particolare, ove dovesse ritenersi che il Ministero disponga direttamente di questo fondo, sarebbero violati gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119 Cost., in quanto la norma sarebbe lesiva delle competenze legislative, amministrative e finanziarie delle Regioni. Qualora, invece, la disposizione censurata fosse intesa nel senso che le risorse previste devono «transitare» attraverso le Regioni (in coerenza con quanto stabilito dall’art. 93 del d.P.R. n. 616 del 1977), la norma di cui al comma 12 sarebbe comunque illegittima in quanto creerebbe un fondo settoriale a destinazione vincolata in materia di competenza regionale, anziché attribuire le corrispondenti risorse alle Regioni (nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 60, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 112 del 1998), con conseguente violazione dell’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.).
4.2. – La ricorrente impugna, inoltre, l’art. 13, commi 1, 2, 3-bis e 3-quater, del d.l. n. 112 del 2008.
4.2.1. – Preliminarmente, la Regione evidenzia come i commi 1 e 2 dell’art. 13 regolino – sia dal punto di vista procedurale (attraverso il rinvio agli accordi in sede di Conferenza unificata), sia da quello sostanziale – la materia dell’alienazione degli immobili degli IACP, al fine di valorizzare il patrimonio immobiliare di questi enti, di favorire l’acquisto in proprietà da parte degli assegnatari e di acquisire risorse per realizzare nuovi interventi di edilizia residenziale pubblica.
La ricorrente si sofferma, altresì, sulle norme che hanno conferito alle Regioni la competenza in relazione alla vendita degli immobili degli IACP, richiamando gli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 616 del 1977, gli artt. 31, 34 e 35 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica), e l’art. 8 del decreto-legge 6 settembre 1965, n. 1022 (Norme per l’incentivazione dell’attività edilizia), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° novembre 1965, n. 1179. Al riguardo, si precisa come sin dal 1977 siano attribuite alle Regioni le competenze relative all’alienazione degli immobili degli IACP.
La difesa regionale ricorda, poi, che la sentenza n. 94 del 2007 della Corte costituzionale ha ricondotto al terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli IACP o degli altri enti a questi sostituitisi. Inoltre, la sentenza n. 1115 del 1988 ha qualificato come enti regionali gli Istituti autonomi per le case popolari.
Ancora, la Regione Emilia-Romagna evidenzia come la Corte, con la sentenza n. 94 del 2007, abbia dichiarato illegittime due norme (i commi 597 e 598 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005) «del tutto simili a quelle qui impugnate». Pertanto, secondo la ricorrente, le argomentazioni utilizzate per sostenere l’illegittimità costituzionale dei commi 597 e 598 possono essere agevolmente riprese anche nel presente giudizio.
Le differenze esistenti tra la normativa recata dalla legge n. 266 del 2005 e quella contenuta nel d.l. n. 112 del 2008 sarebbero, peraltro, irrilevanti. In particolare, il comma 1 dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro per i rapporti con le Regioni promuovano, in sede di Conferenza unificata, la conclusione di accordi con Regioni ed enti locali, al fine di semplificare le procedure di alienazione degli immobili degli IACP. Il comma 597 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 prevedeva, invece, che la semplificazione delle suddette procedure di alienazione avvenisse con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo tra Governo e Regioni. Dunque, il comma 597 prevedeva che l’accordo intercorresse solo con le Regioni (e non anche con gli enti locali) e che quest’ultimo venisse poi recepito in un d.P.C.m.
Pertanto, le differenze esistenti tra i due testi non sarebbero tali da escludere la possibilità di estendere le argomentazioni sviluppate nella sentenza n. 94 del 2007 anche all’odierno giudizio; infatti, il vero atto regolatore della materia sarebbe sempre l’accordo, in quanto il d.P.C.m., previsto nel comma 597, avrebbe avuto solo la funzione di recepire il contenuto dell’accordo e di formalizzarlo in un atto normativo tipico. Ciò si tradurrebbe nell’impossibilità di evocare, nell’odierno giudizio, il parametro di cui all’art. 117, sesto comma, Cost., mancando un atto regolamentare statale che intervenga in materia regionale.
Anche il disposto del comma 2 dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008 sarebbe sostanzialmente coincidente con quello del comma 598 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005; le due disposizioni, infatti, fisserebbero i medesimi criteri da osservare ai fini della conclusione degli accordi di cui, rispettivamente, al comma 1 dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008 ed al comma 597 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005. Anzi, la difesa regionale ritiene che la previsione del comma 2 dell’art. 13 sia «peggiorativa» rispetto a quella del comma 598 dell’art. 1, in quanto, a proposito della determinazione del prezzo di vendita, non fa riferimento alle «vigenti leggi regionali» (come, invece, il citato comma 598).
In conclusione, la Regione Emilia-Romagna sostiene – anche sulla scorta di quanto affermato nella sentenza n. 94 del 2007 – che i commi 1 e 2 dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, regolando la materia della gestione del patrimonio immobiliare degli IACP, determinino un’ingerenza dello Stato nel terzo livello di normazione riguardante l’edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso nella potestà legislativa residuale delle Regioni, con la conseguente violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.
Ad escludere siffatta lesione delle competenze regionali non varrebbe la previsione di accordi con le Regioni e gli enti locali, da stipulare in sede di Conferenza unificata, in quanto tali accordi si porrebbero «come improprio condizionamento della potestà legislativa regionale, da parte di un organismo e di un atto non legittimati a produrre tale condizionamento». Né l’asserita lesione verrebbe meno se si ritenesse che gli accordi debbano intercorrere non con la Conferenza ma con la singola Regione, in quanto la potestà legislativa spetta ad un organo diverso da quello deputato a concludere l’accordo ed, in ogni caso, non può essere vincolata da accordi intercorsi tra soggetti privi di tale potestà.
Parimenti lesive delle competenze regionali sarebbero le disposizioni impugnate se interpretate nel senso che l’accordo debba essere stipulato direttamente tra uno o più ministri e singoli Comuni; in tal caso risulterebbe «direttamente» violata la potestà legislativa della Regione.
Infine, i commi 1 e 2 dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008 violerebbero il giudicato costituzionale e quindi l’art. 136 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe reiterato, in termini pressoché identici, una disciplina già dichiarata illegittima con la sentenza n. 94 del 2007.
Oggetto di specifica censura è poi l’art. 13, comma 2, lettera c), del d.l. n. 112 del 2008, il quale prevede, fra i criteri di cui occorre tenere conto nella stipula degli accordi di cui al comma 1, la «destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo». La ricorrente sostiene che la norma in questione ponga un vincolo di destinazione all’uso delle risorse spettanti agli enti di gestione dell’edilizia residenziale pubblica, «cioè ad enti para-regionali», limitando per questo verso l’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni. È richiamata, a tal proposito, la sentenza n. 169 del 2007, con la quale la Corte costituzionale ha annullato una norma che imponeva «una puntuale modalità di utilizzo di risorse proprie delle Regioni, così da risolversi in una specifica prescrizione di destinazione di dette risorse».
Per le ragioni anzidette, la norma di cui alla lettera c) del comma 2 dell’art. 13 violerebbe anche l’art. 119, primo comma, Cost.
4.2.2. – La Regione Emilia-Romagna impugna poi il comma 3-bis dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, introdotto in sede di conversione del decreto in legge. La norma censurata istituisce, «presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della gioventù, un Fondo speciale di garanzia per l’acquisto della prima casa da parte delle coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato». La creazione del fondo è finalizzata a «consentire alle giovani coppie di accedere a finanziamenti agevolati per sostenere le spese connesse all’acquisto della prima casa».
Il comma 3-bis rimette, poi, ad un decreto del Ministro della gioventù, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il compito di disciplinare «le modalità operative di funzionamento del Fondo».
La difesa regionale ritiene che la norma impugnata abbia istituito un fondo settoriale nella materia delle politiche sociali, di competenza regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., prevedendo un successivo atto ministeriale al fine di dettare la relativa disciplina attuativa. Inoltre, la destinazione, in via diretta, ai privati delle risorse ivi previste non varrebbe ad escludere la lesività della norma censurata; la ricorrente richiama numerose pronunzie della Corte costituzionale, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità dei finanziamenti statali, in materie di competenza regionale, «seppur destinati a soggetti privati». In particolare, la Regione Emilia-Romagna sottolinea l’analogia esistente tra la norma oggetto dell’odierno giudizio e quella annullata con la sentenza n. 137 del 2007, trattandosi anche in quel caso di un fondo diretto a costituire una garanzia di ultima istanza a favore delle giovani coppie.
La ricorrente esclude che la previsione di cui al comma 3-bis possa essere “giustificata” invocando il principio di sussidiarietà, in quanto non esisterebbero ragioni unitarie per la gestione accentrata del fondo e per la regolazione delle «modalità operative di funzionamento» dello stesso. Parimenti sarebbe da escludere che si tratti di «livelli essenziali delle prestazioni» (dato che l’acquisto di una casa non è necessario per soddisfare il diritto all’abitazione), in quanto la norma in oggetto si limiterebbe a prevedere una spesa, senza, peraltro, porre requisiti di reddito per i beneficiari.
Sulle base delle argomentazioni sopra indicate, la Regione Emilia-Romagna conclude per l’illegittimità costituzionale della norma di cui al comma 3-bis dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, per violazione dell’autonomia legislativa, amministrativa (in relazione all’attività di erogazione dei benefici) e finanziaria delle Regioni di cui agli artt. 117, quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost. La norma impugnata, infatti, istituirebbe un fondo settoriale nella materia delle politiche sociali, prevedendo una gestione centralizzata, invece di attribuire le corrispondenti risorse alle Regioni e di lasciare a queste ultime le conseguenti scelte in materia di regolazione degli interventi e di allocazione delle funzioni amministrative.
La ricorrente chiede, pertanto, che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale del comma 3-bis, precisando che le risorse siano assegnate alle Regioni per generiche finalità sociali (sono richiamate le sentenze n. 168 del 2008 e n. 118 del 2006 della Corte costituzionale).
In subordine, la difesa regionale chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione del principio di leale collaborazione, nella parte in cui non prevede l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni sul decreto previsto nell’ultimo periodo del comma 3-bis.
4.2.3. – Da ultimo, la Regione Emilia-Romagna impugna il comma 3-quater dell’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, anch’esso introdotto in sede di conversione del decreto in legge. La norma in questione istituisce presso il Ministero dell’economia e delle finanze il «Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio», le cui risorse sono finalizzate a concedere «contribuiti statali per interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori per il risanamento e il recupero dell’ambiente e lo sviluppo economico dei territori stessi». La ripartizione delle risorse e l’individuazione degli enti beneficiari sono effettuate «con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari».
La ricorrente, muovendo dal presupposto che il fondo sia destinato agli enti territoriali, ritiene che la norma impugnata preveda un fondo settoriale a destinazione vincolata in materie rientranti, «almeno in parte», nella competenza legislativa regionale piena (ex art. 117, quarto comma, Cost.), posto che lo «sviluppo economico dei territori» riguarda, tra l’altro, l’industria, il commercio, l’artigianato, l’agricoltura ed il turismo.
L’asserita incidenza del fondo su materie di competenza regionale, determinerebbe l’illegittimità costituzionale del comma 3-quater per violazione del principio di leale collaborazione, nella parte in cui non prevede un’intesa con la Conferenza Stato-Regioni sul contenuto del decreto con il quale sono stabilite la ripartizione delle risorse e l’individuazione degli enti beneficiari.
5. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza delle censure.
5.1. – In riferimento alle censure mosse all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, la difesa erariale sviluppa, in parte, argomentazioni analoghe a quelle esposte nell’atto di costituzione nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte con il ricorso n. 67 del 2008, alla cui sintesi pertanto si rinvia.
Il resistente esamina preliminarmente il contenuto dei commi impugnati, rilevando, in particolare, come il comma 3 dell’art. 11 sia volto ad introdurre alcuni dei più nuovi strumenti di mercato finalizzati a ridurre il disagio abitativo, tra i quali, la costituzione di riserve fondiarie da destinare all’edilizia pubblica ed alla domanda sociale con il coinvolgimento di tutti gli operatori proprietari di aree oggetto di futura trasformazione, oppure la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi, quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale, cosiddetto social housing.
L’Avvocatura generale sottolinea la varietà degli strumenti previsti nel comma 3 e precisa che la scarsità di abitazioni ha provocato l’innalzamento dei canoni di locazione, il cui ammontare ben difficilmente consente alle categorie disagiate un accesso, seppure agevolato dal sostegno pubblico, al mercato delle locazioni.
La difesa erariale si sofferma, tra l’altro, sul comma 9 dell’art. 11, ricordando che la legislazione in materia di infrastrutture strategiche (contenuta nella parte II, titolo III, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) mira ad accelerare, snellire e razionalizzare le procedure per la programmazione, il finanziamento e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale.
Ad avviso del resistente, le norme di cui all’art. 11 si collocano in un quadro normativo che è stato caratterizzato, negli ultimi anni, da un’intensa attività di programmazione da parte dello Stato. Pertanto, possono essere estese all’odierna questione le considerazioni che la Corte costituzionale ha svolto nella sentenza n. 166 del 2008, con la quale ha ritenuto che l’intervento statale, operato con la legge n. 9 del 2007, non abbia superato i limiti di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
L’Avvocatura generale rinviene, quindi, nella norma costituzionale da ultimo indicata il fondamento della normativa impugnata, come peraltro risulta dall’inciso di apertura del comma 1 dell’art. 11.
In relazione alle censure mosse nei confronti del comma 12 dell’art. 11, la difesa erariale individua il titolo di legittimazione nella competenza statale in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e); nel caso di specie, infatti, i finanziamenti previsti sarebbero «idonei “ad incidere sull’equilibrio economico generale”, sussistendo tanto il requisito soggettivo dell’“accessibilità a tutti gli operatori”, quanto quello oggettivo dell’“impatto complessivo”».
5.2. – Quanto alle censure mosse all’art. 13, commi 1, 2 e 3-bis, del d.l. n. 112 del 2008, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate nell’atto di costituzione nel giudizio promosso con il ricorso n. 67 del 2008, sopra riassunto.
5.2.1. – In merito alla questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti del comma 3-quater dell’art. 13, la difesa erariale ritiene che la norma impugnata sia riconducibile all’ambito materiale della «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Pertanto, anche tale censura è infondata.
6. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni siglato il 5 marzo 2009; b) parere della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m. 16 luglio 2009.
7. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre 2009, la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria con la quale, anche alla luce della sopravvenuta stipula di un accordo tra Stato e Regioni per l’attuazione dell’art. 11 e dell’approvazione del piano nazionale di edilizia abitativa con il d.P.C.m. 16 luglio 2009, insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
In particolare, la difesa regionale rileva che il d.P.C.m. 16 luglio 2009 è stato adottato sulla base del mero parere della Conferenza unificata e non d’intesa con la stessa. Al riguardo, la ricorrente sottolinea che, successivamente alla presente impugnativa regionale, la previsione dell’intesa di cui al comma 1 dell’art. 11 è stata sostituita con quella di un parere. Quest’ultima, poi, è stata nuovamente modificata con la reintroduzione dell’intesa ad opera della legge 9 aprile 2009, n. 33, che ha convertito in legge il decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario).
Nonostante la legge da ultimo citata abbia ripristinato, prima dell’adozione del d.P.C.m. 16 luglio 2009, l’originario testo del comma 1 dell’art. 11 e quindi la previsione dell’intesa in Conferenza unificata, quest’ultimo è stato adottato solo sulla base del parere reso dalla Conferenza unificata il 12 marzo 2009.
In merito alla questione relativa all’art. 13, la Regione Emilia-Romagna ribadisce quanto già affermato nel ricorso ed insiste nel chiedere una pronunzia di illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
8. – La Regione Veneto ha promosso, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre (reg. ric. n. 70 del 2008), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, e, tra queste, degli artt. 11 e 13, in riferimento agli artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, 119 e 120 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
8.1. – Prima di descrivere le singole censure, la difesa regionale richiama il contenuto della sentenza n. 94 del 2007 ed in particolare l’individuazione dei tre livelli normativi sui quali si estende la materia dell’edilizia residenziale pubblica.
Sempre in via preliminare, la ricorrente descrive il contenuto dei diversi commi dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, sottolineando come la normativa impugnata riguardi la programmazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica, che, secondo la giurisprudenza costituzionale prima citata, rientra nell’ambito materiale del governo del territorio (art. 117, terzo comma, Cost.).
Così individuata la materia di pertinenza, la difesa regionale si duole del fatto che il legislatore statale non si sia limitato a porre i principi fondamentali ma abbia rimesso ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l’intera programmazione degli interventi. D’altra parte, l’autonomia legislativa regionale non sarebbe fatta salva dalla previsione della necessaria intesa in sede di Conferenza unificata (art. 11, comma 1), il cui contenuto sarebbe comunque condizionato dalle specifiche finalità indicate nella norma impugnata.
Inoltre, la norma secondo cui il piano nazionale di edilizia abitativa è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri risulterebbe lesiva dell’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto rimette ad un atto regolamentare la disciplina di un settore che non rientra nella competenza legislativa statale.
In subordine, la Regione Veneto ritiene che le norme di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 non possano essere “giustificate” facendo ricorso alla cosiddetta attrazione in sussidiarietà. Nell’odierno giudizio, infatti, non sussisterebbero i requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale per legittimare l’intervento statale in materie di competenza regionale, ed in particolare quello della proporzionalità, dal momento che, con le norme impugnate, lo Stato pretende «di sostituirsi in toto alle Regioni nella pianificazione» degli interventi di edilizia residenziale pubblica. Sarebbe pertanto violato l’art. 120 Cost. ed il principio di leale collaborazione.
Siffatta violazione sarebbe ancor più grave con specifico riguardo al comma 4 dell’art. 11, nella parte in cui si prevede che, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa in sede di Conferenza unificata entro il termine di novanta giorni, gli accordi di programma siano comunque approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La norma in questione attribuirebbe al Governo un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata invece dalla «paritaria codeterminazione dell’atto» (è richiamata la sentenza n. 24 del 2007).
La ricorrente lamenta, inoltre, la violazione del principio di autonomia finanziaria derivante dall’istituzione, nel comma 12 dell’art. 11, di un fondo destinato all’attuazione del piano nazionale di edilizia abitativa. La difesa regionale ritiene che, con la norma in questione, il legislatore statale abbia istituito un finanziamento a destinazione vincolata in una materia di potestà legislativa concorrente, con la conseguente violazione dell’art. 119 Cost. Né potrebbe sostenersi che si tratti di un intervento speciale ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost., dal momento che il finanziamento di cui alla norma impugnata non presenta le caratteristiche richieste dalla norma costituzionale appena citata.
Per le ragioni anzidette, la difesa regionale chiede che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. ed, in subordine, degli artt. 119 e 120 Cost. e del principio di leale collaborazione.
8.2. – La Regione Veneto impugna, altresì, l’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008; in particolare, la ricorrente ritiene che la disposizione in questione riproponga il contenuto dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, già dichiarati illegittimi con la sentenza n. 94 del 2007.
Quanto ai parametri costituzionali violati, la difesa regionale riprende la ricostruzione operata nella citata sentenza n. 94 del 2007 ed evidenzia come anche l’odierno giudizio abbia ad oggetto norme che disciplinano la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli IACP, ricadente nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
In questo modo – precisa la ricorrente – la legge statale avrebbe individuato non solo le scelte politiche di fondo, bensì gli indirizzi e la stessa disciplina specifica che dovrà essere adottata in tema di alienazione e di reinvestimento degli immobili degli IACP.
L’art. 13 violerebbe, inoltre, l’autonomia finanziaria e patrimoniale delle Regioni, garantita dall’art. 119 Cost., in quanto porrebbe vincoli alla disposizione del patrimonio immobiliare degli IACP, che sono enti strumentali delle Regioni, ed all’utilizzo dei proventi che derivano dall’alienazione del patrimonio stesso.
Lesiva dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. sarebbe pure la norma di cui al comma 3-bis dell’art. 13, la quale avrebbe istituito un fondo speciale a destinazione vincolata che incide su un ambito materiale nel quale lo Stato non ha competenza legislativa esclusiva e che non è riconducibile alle «risorse aggiuntive» di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.
9. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e dell’art. 13, commi 1, 2 e 3-bis, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008, sopra riassunti.
In riferimento alla questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti del comma 3 dell’art. 13, l’Avvocatura generale eccepisce l’inammissibilità della stessa, in quanto non si ravviserebbero nel ricorso censure specifiche dirette contro tale norma.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata poiché il comma 3, limitandosi a prevedere un possibile contenuto degli accordi, sarebbe destinato ad operare solo se gli accordi fossero effettivamente raggiunti e nel rispetto della potestà delle Regioni di accedere alla suddetta intermediazione.
10. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni siglato il 5 marzo 2009; b) parere della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m. 16 luglio 2009.
11. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre 2009, la Regione Veneto ha depositato una memoria con la quale, anche alla luce della sopravvenuta stipula di un accordo tra Stato e Regioni per l’attuazione dell’art. 11 e dell’approvazione del piano nazionale con il d.P.C.m. 16 luglio 2009, insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.
12. – La Regione Liguria ha promosso, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre (reg. ric. n. 72 del 2008), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, e, tra queste, degli artt. 11, commi 1, 3, 4, 5, 8, 9, 11 e 12; e 13, commi 1 e 2, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, 119, primo comma, e 136 Cost. ed al principio di leale collaborazione.
La ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 69 del 2008, sopra sintetizzato, al quale si rinvia per la descrizione delle censure.
13. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e dell’art. 13, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008, sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
14. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni siglato il 5 marzo 2009; b) parere della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m. 16 luglio 2009.
15. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre 2009, la Regione Liguria ha depositato una memoria con la quale, anche alla luce della sopravvenuta stipula di un accordo tra Stato e Regioni per l’attuazione dell’art. 11 e dell’approvazione del piano nazionale di edilizia abitativa con il d.P.C.m. 16 luglio 2009, insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso, svolgendo argomentazioni identiche a quelle esposte nella memoria depositata nel giudizio promosso dalla Regione Emilia-Romagna.
16. – La Regione Umbria ha promosso, con ricorso notificato il 17 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre (reg. ric. n. 73 del 2008), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, 119, primo comma, e 136 Cost.
La ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 69 del 2008, sopra sintetizzato, al quale si rinvia per la descrizione delle censure.
17. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza delle censure.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 13, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008, sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
18. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre 2009, la Regione Umbria ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso, svolgendo argomentazioni identiche a quelle esposte nella memoria depositata nel giudizio promosso dalla Regione Emilia-Romagna.
19. – La Regione Toscana ha promosso, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 24 ottobre (reg. ric. n. 74 del 2008), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, e, tra queste, degli artt. 11 e 13, commi 1, 2 e 3-bis, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione.
19.1. – La ricorrente riassume i punti qualificanti della normativa recata dall’art. 11, evidenziando come essa intervenga nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, dei servizi sociali e del governo del territorio, in ambiti, quindi, in cui le Regioni hanno rilevanti competenze costituzionali ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost. La difesa regionale ricorda, altresì, l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia ed, in particolare, la sentenza n. 94 del 2007.
19.1.1. – La Regione Toscana ritiene che lo scopo della disposizione in esame non sia quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi, bensì quello di istituire un piano nazionale di edilizia, peraltro non limitato agli interventi di edilizia sociale (come risulta dall’art. 11, comma 3, lettera e), né destinato esclusivamente ai soggetti con situazioni di difficoltà economica o sociale (il comma 2, infatti, prevede che gli interventi siano destinati «prioritariamente» a tali categorie). In definitiva, l’art. 11 introdurrebbe uno strumento finalizzato a regolare le procedure amministrative per localizzare, costruire e recuperare alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Sarebbero pertanto violate le competenze regionali di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alle materie dell’edilizia residenziale e del governo del territorio, e le attribuzioni regionali in materia di assistenza sociale, sulle quali, come risulta dal comma 2 dell’art. 11, il piano è destinato ad incidere.
19.1.2. – Le suddette conclusioni non sono contraddette, secondo la ricorrente, dal riferimento ai «livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo», contenuto nell’art. 11, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008. Siffatto richiamo appare, invero, inconferente alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del 2007. Lo Stato, infatti, non si sarebbe limitato a determinare l’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti (attraverso la fissazione dei principi che valgono a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione degli alloggi su tutto il territorio nazionale), ma avrebbe disciplinato, «in modo puntuale, specifico, autoapplicativo», gli strumenti da approvare per la costruzione degli immobili di edilizia residenziale pubblica ed avrebbe dettato esaustivamente la procedura per l’adozione degli interventi in parola.
Inoltre, le norme impugnate non presenterebbero «le caratteristiche sostanziali e formali» proprie degli atti normativi di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, come enucleate dalla giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 282 del 2002 e n. 88 del 2003). L’art. 11, infatti, non determinerebbe alcuno standard di soddisfacimento del fabbisogno abitativo e consentirebbe interventi ulteriori rispetto a quelli di edilizia residenziale sociale solo «prioritariamente», ma non esclusivamente, destinati alle categorie socialmente disagiate.
19.1.3. – La Regione Toscana individua un’ulteriore ragione di censura dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 rispetto agli artt. 117 e 118 Cost.
Al riguardo, la difesa regionale rileva come l’art. 11 (specialmente, i commi 4, 9 e 11) preveda che l’attuazione del piano nazionale sia effettuata con accordi di programma, a loro volta attuati da programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana, ovvero con le procedure delle opere strategiche nazionali dettate dal d.lgs. n. 163 del 2006, che ha riprodotto le norme recate dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive). I programmi integrati di cui al comma 4 sono, infatti, dichiarati di interesse strategico nazionale (comma 11).
La ricorrente evidenzia come, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004), una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. possa essere giustificata solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno stretto scrutinio di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.
Nel presente giudizio, la Regione Toscana rileva la mancanza delle esigenze di sussidiarietà che possono giustificare la modifica dell’ordinario assetto delle competenze costituzionali; del resto, la norma impugnata non fa riferimento a tali presunte esigenze.
In ogni caso, secondo la difesa regionale, l’intervento legislativo statale non presenterebbe il carattere della proporzionalità, richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto «introduce nuovi strumenti di programmazione e realizzazione degli interventi di edilizia, accentrati a livello nazionale, e quindi non è limitato a casi circoscritti».
Inoltre, la sentenza n. 303 del 2003 ha subordinato la conformità a Costituzione delle norme contenute nella legge sulle opere strategiche alla previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, dalla quale è condizionata l’operatività della disciplina.
In definitiva, l’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 non rispetta i principi enunciati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale in quanto il piano nazionale, avendo ad oggetto la costruzione di abitazioni, presenta un «contenuto anche localizzativo» e può essere attuato con le procedure proprie delle infrastrutture strategiche. A fronte di tali previsioni, il comma 1 dell’art. 11 subordina l’approvazione del piano nazionale all’intesa con la Conferenza unificata, ma, secondo la ricorrente, ciò risulta insufficiente alla luce della già citata sentenza n. 303 del 2003, poiché non si prevede l’intesa con la singola Regione interessata dalle specifiche localizzazioni.
Il vulnus delle competenze regionali sarebbe ancor più rilevante nel comma 4 dell’art. 11, secondo il quale si può prescindere dall’intesa con la Conferenza unificata, se la stessa non viene raggiunta entro novanta giorni. Anche a questo proposito, la Regione Toscana rileva l’inidoneità dell’intesa in Conferenza come meccanismo di salvaguardia delle attribuzioni costituzionali della singola Regione, incise da un piano, da un accordo e da un programma che localizzano direttamente interventi edilizi sul proprio territorio.
La ricorrente sottolinea, al riguardo, come la norma impugnata non rispetti i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003, secondo cui l’intesa con la Regione interessata costituisce il presupposto essenziale per la compatibilità costituzionale di una normativa statale che, in applicazione dell’art. 118 Cost., attragga in capo allo Stato potestà legislative affidate dall’art. 117 Cost. alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La difesa regionale ricorda, inoltre, la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 6 del 2004) secondo la quale, ove la normativa incida su ambiti di competenza regionale in applicazione dell’art. 118 Cost., l’imprescindibile fase concertativa deve essere salvaguardata attraverso la previsione di un’«intesa forte». È richiamata, da ultimo, la sentenza n. 339 del 2005, in cui si precisa come l’intesa debba essere raggiunta anche attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo.
In definitiva, la Regione Toscana sottolinea la necessità quantomeno di «una fase di dialogo fra le parti» e di «un contatto tra i diversi interessi ed una dialettica leale e costruttiva fra i differenti soggetti di rilevanza costituzionale»; in caso contrario, la previsione dell’intesa si tradurrebbe in una statuizione solo formale.
Il comma 4 dell’art. 11, anche alla luce di quanto stabilito dal successivo comma 11, non soddisfa, secondo la difesa regionale, i requisiti anzidetti in quanto ammette che si possa procedere pur in mancanza dell’intesa.
19.1.4. – Infine, l’art. 11, comma 12, del d.l. n. 112 del 2008 violerebbe l’art. 119 Cost. Secondo la ricorrente, il fondo statale, istituito dalla norma impugnata, assorbirebbe i finanziamenti previsti per l’edilizia residenziale dalle precedenti normative, incidendo su una materia (l’edilizia residenziale pubblica) che non è riservata alla competenza esclusiva statale. La difesa regionale ritiene che non sia rinvenibile alcuna giustificazione a sostegno della previsione, in tale materia, di riserve finanziarie gestite a livello ministeriale, trattandosi di funzioni pubbliche ordinarie delle Regioni e degli enti locali, per le quali lo Stato deve assicurare l’integrale copertura finanziaria ex art. 119 Cost.
Per le ragioni anzidette, l’istituzione del fondo in esame non sarebbe riconducibile a quanto statuito dall’art. 119, quinto comma, Cost. Al riguardo, la Regione Toscana richiama la sentenza n. 451 del 2006, con la quale la Corte costituzionale ha escluso l’illegittimità della norma che istituiva il fondo per l’edilizia a canone speciale, in quanto qualificabile come intervento speciale ai sensi del citato art. 119, quinto comma


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