Le sanzioni amministrative in edilizia possono essere divise in due macro-categorie: pecuniarie o non pecuniarie. Le prime trovano la loro applicazione in relazione a irregolarità edilizie meno gravi e comportano, a carico del trasgressore, una sanzione che si risolve nel pagamento di una somma in danaro. Le sanzioni non pecuniarie, viceversa, si applicano alle irregolarità più gravi e si traducono in provvedimenti di vario tipo quali la sospensione dei lavori, la demolizione e il ripristino dello status quo ante, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
Opere abusive e lottizzazione abusiva Il T.U. edilizia ha fatto propria la distinzione tra opere abusive e lottizzazione abusiva, concetti, questi ultimi, introdotti dalla legge 47/1985.
Le opere edilizie possono dirsi abusive quando: a. siano realizzate in assenza e/o difformità (parziale o totale) dal titolo abilitativo dei lavori; b. siano realizzate con varianti essenziali rispetto al titolo concessorio; il che vuol dire, in altri termini, che il possesso di un titolo edilizio non mette al riparo dalle sanzioni che potrebbero derivare dalla realizzazione di opere difformi da quelle inizialmente progettate e concessionate. Devono essere considerati abusivi anche gli ulteriori interventi relativi a manufatti abusivi non sanati né condonati, anche se riconducibili alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, che ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del comune di ordinarne la demolizione.
Appare, quindi, legittimo il provvedimento repressivo delle opere di completamento dell’opera abusiva anche nell’ipotesi in cui dette opere non richiedano il preventivo rilascio del permesso di costruire (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 14 novembre 2014, n. 5899; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, sent. 29 ottobre 2013, n. 4817; sent. 5 giugno 2013, n. 2910; sent. 11 dicembre 2012, n. 5084; sent. 11 maggio 2011, n. 2624; sent. 2 maggio 2012, n. 2006; sent. 25 febbraio 2011, n. 1218 e sent. 3 dicembre 2010, n. 26788; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 14 gennaio 2011, n. 160; Cass. pen., Sez. III, sent. 24 ottobre 2008, n. 45070).
La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di più edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attività edificatoria incompatibile con l’originaria vocazione dell’area (Cass. pen., Sez. III, sent. 31 marzo 2011, n. 15605). Più recentemente, il Palazzaccio ha chiarito che la lottizzazione abusiva viene attuata con qualsiasi utilizzazione del suolo che preveda la realizzazione di una pluralità di edifici, così da comportare una nuova definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, ovvero quando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione che non possono essere modificate da piani urbanistici attuativi (Cass. pen., Sez. III, sent. 3 febbraio 2014, n. 5105). La lottizzazione abusiva può essere configurata attraverso due ipotesi tipiche: la lottizzazione abusiva di tipo reale o di tipo documentale.
La lottizzazione abusiva di tipo reale o materiale ricorre nell’ipotesi in cui vi sia una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio realizzata in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o semplicemente adottati e in assenza di un titolo abilitativo dei lavori. Essa si attua attraverso l’inizio non autorizzato di opere finalizzate alla trasformazione urbanistica e/o edilizia dei terreni in zona non adeguatamente urbanizzata e in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici. La lottizzazione abusiva materiale può concretizzarsi anche mediante la semplice realizzazione di opere di urbanizzazione capaci di conferire alla zona una articolazione apprezzabile in termini di trasformazione urbanistica, predisponendo i terreni ad accogliere insediamenti non consentiti o non programmati (TAR Latina, Sez. I, sent. 2 ottobre 2014, n. 978; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, sent. 7 novembre 2013, n. 4950).
La lottizzazione abusiva di tipo documentale è più “infida” in quanto non è legata alla realizzazione di opere edilizie. La fattispecie, infatti, è configurabile nel caso in cui il soggetto abbia posto in essere una serie di atti preordinati alla realizzazione di un intervento abusivo. Gli elementi sintomatici possono essere rappresentati dal frazionamento del suolo in lotti di dimensioni tali da essere incompatibili con l’attività agricola, dalla vendita del suolo in lotti di dimensioni tali da rendere ipotizzabile la successiva realizzazione di opere edili ecc. In questo caso, il reato è co nfigurabile a prescindere dall’effettiva realizzazione di opere edilizie abusive essendo sufficiente che siano stati poste in essere una serie di atti che lascino presumere l’intento di procedere alla lottizzazione abusiva del suolo (Cass. pen., Sez. III, sent. 7 febbraio 2008, n. 6080).
Secondo la recente e unanime giurisprudenza, la lottizzazione abusiva si configura come un reato progressivo nell’evento, che sussiste anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o a opere già eseguite, atteso che tali attività, pur integrando la configurazione del reato, non esauriscono il percorso criminoso che si protrae con gli interventi successivi che incidono sull’asseto urbanistico, in quanto l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compromette ulteriormente le scelte di destinazione di uso del territorio riservate alla competenza pubblica.
Questa è la ragione per la quale si è ritenuto che il reato di lottizzazione fosse inquadrabile nel cosiddetto reato progressivo nell’evento in cui possono concorrere, nell’unicità della fattispecie incriminatrice, il momento negoziale, quello programmatorio mediante l’esecuzione di opere di urbanizzazione e quello attuativo con la costruzione degli edifici (Cass. pen., Sez. III, sent. 13 giugno 2014, n. 25182; sent. 13 febbraio 2013, dep. 3 febbraio 2014, n. 5105; sent. 28 febbraio 2012, n. 12772; sent. 11 maggio 2005, n. 36940; Cass., Sez. Unite, sent. 24 aprile 1992, n. 4708). Anche recentemente, la Cassazione ha mostrato di essere alquanto restrittiva ritenendo che nell’illecito lottizzatorio, non può ritenersi assiomaticamente sussistente la buona fede dell’acquirente per il solo fatto che questi si sia rivolto a un notaio quale pubblico ufficiale rogante, in quanto le parti ben potrebbero rendere dichiarazioni non veritiere, surrettiziamente incomplete o nebulose, oppure produrre documentazione parziale e non corrispondente alla realtà.
La Cassazione ha bacchettato anche il notaio perché il professionista potrebbe concorrere alla lottizzazione abusiva, sia contribuendo con la propria condotta alla realizzazione dell’evento illecito (facendo proprio il fine degli autori del reato, magari anche con attiva induzione propiziatoria) sia per violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell’art. 1176 cod. civ., comma 2 (Cass. pen., Sez. III, sent. 23 dicembre 2013, n. 51710). Ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 380/2001, qualsiasi tipo di opera in grado di stravolgere l’assetto del territorio mirando a realizzare un nuovo insediamento abitativo, può essere considerata come un’ipotesi di lottizzazione abusiva per due ordini di motivi: a. costituisce un ostacolo alla programmazione urbanistica vincolando le scelte dell’amministrazione (che dovrebbero essere caratterizzate da assoluta discrezionalità); b. comporta una variazione nel carico urbanistico. Nell’interpretare l’art. 30 del T.U. occorre tener conto che lo scopo della norma è di preservare la potest à pianificatoria attribuita al comune permettendo a quest’ultimo, parallelamente, di garantire il controllo del territorio, tutto ciò allo scopo precipuo di assicurare un corretto sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard. La verifica tra le opere realizzate e la loro rispondenza alle previsioni dalla normativa urbanistica vigente deve essere effettuata facendo riferimento al risultato finale dell’intervento, ovvero alla complessiva trasformazione dell’area di intervento; il T.U. edilizia, infatti, sanziona non la realizzazione del singolo manufatto, quanto la illegittima trasformazione del suolo (TAR Liguria, Sez. I, sent. 30 aprile 2013, n. 727).
Differenza tra lottizzazione abusiva e costruzione abusiva
La Corte di Cassazione ha tracciato la linea di demarcazione tra lottizzazione abusiva e costruzione abusiva. La prima ipotesi, certamente più grave, ricorre nel caso in cui vi sia una serie di opere o di atti giuridici (a seconda che si tratti di una lottizzazione abusiva reale o documentale) preordinati a ottenere una illegittima trasformazione urbanistica ed edilizia del suolo a scopo edificatorio. L’opera abusiva, viceversa, ricorre nel caso in cui venga realizzato un manufatto in assenza del prescritto titolo abilitativo dei lavori o in difformità da esso ovvero nel caso in cui, pur in presenza di un titolo edilizio, vengano eseguite ulteriori opere afferenti un immobile abusivo. Nel caso dell’opera abusiva, quindi, non viene presa in esame la realizzazione delle urbanizzazioni e delle infrastrutture né viene travalicata la potestà pubblica di provvedere alla disciplina del territorio cittadino (Cass. pen., Sez. III, sent. 29 aprile 2011, n. 16728).
I soggetti responsabili
Dopo aver visto cosa si intende per “abuso edilizio”, individuiamo il soggetto responsabile. In tale prospettiva, occorre fare riferimento all’art. 29 del D.P.R. 380/2001 che fornisce l’elenco dei soggetti ritenuti responsabili dell’abuso edilizio e, come tali, destinatari delle sanzioni amministrative o penali. Rientrano in tale contesto il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori. Quest’ultimo non è responsabile quando abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni e abbia segnalato il fatto al comune (o meglio, al dirigente dell’Ufficio tecnico a cui spetta il relativo potere funzionale ai sensi dell’art. 107 del D.Lgs. 267/2000). Le sanzioni amministrative possono essere inflitte a persone fisiche, a persone giuridiche e a enti di fatto; a differenza delle sanzioni penali, che rivestendo carattere sanzionatorio sono personali e intrasmissibili, le sanzioni amministrative hanno carattere ripristinatorio per cui sono generalmente trasmissibili nei confronti degli eredi del responsabile e degli aventi causa dello stesso, che a lui subentrino nel potere di disponibilità del bene (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 15 maggio 2015, n. 1927). Anzi, come vedremo in seguito, si parla di “sanzioni reali” in quanto attengono al possesso della res a prescindere dalla circostanza che l’attuale possessore sia stato l’esecutore materiale dell’abuso.
La competenza a emettere le sanzioni edilizie
In origine, l’art. 4 della legge 47/1985 demandava al Sindaco la competenza in materia di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia. In seguito il legislatore, con l’art. 2, comma 12, della legge 191 del 16 giugno 1998 (cosiddetta Bassanini- ter), attribuì ai dirigenti degli uffici comunali la competenza in materia di vigilanza edilizia e paesaggistico -ambientale, nonché i poteri per la irrogazione delle relative sanzioni amministrative. Tale norma, fu successivamente abrogata dal D.Lgs. 267 del 18 agosto 2000 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che, peraltro, fece proprio il principio della piena separazione dei poteri e delle responsabilità politiche da quelle di indirizzo tecnico e amministrativo. Da ultimo il D.P.R. 380/2001, introducendo una disciplina organica in materia edilizia, con l’art. 27, comma 1, ha conservato in capo ai dirigenti degli uffici tecnici la competenza a emettere i provvedimenti sanzionatori.
Tale norma prevede che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale, per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi». In proposito, la Cassazione ha stabilito che la competenza a irrogare le sanzioni amministrative, che sono tipici provvedimenti amministrativi, trattandosi di atti autoritativi posti essere da una P.A. nell’esplicazione di una potestà amministrativa e aventi rilevanza esterna, è stata devoluta ai dirigenti degli enti locali dall’art. 107, il quale dispone che solo i poteri di indirizzo e di controllo politicoamministrativo spettano agli organi di governo, attribuendo ai dirigenti i compiti non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni degli organi di governo o non rientranti tra quelle del segretario o del direttore generale (Cass. civ., Sez. I, sen. 1° aprile 2004, n. 6362).
La tesi è peraltro condivisa dal giudice amministrativo che devolve alla competenza dei dirigenti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie. Spettano ai dirigenti, inoltre, tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale, così espressamente attribuendo alla dirigenza la competenza in materia di applicazione di sanzioni edilizie; «a norma dell’art. 51, comma 3, legge 142 dell’8 giugno 1990 (oggi, D.Lgs. 267 del 18 agosto 2000), infine, sono di competenza dei dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell’Ente» (TAR Emilia Romagna, Parma, sent. 30 gennaio 2015, n. 31; TAR Trento, sent. 19 gennaio 2015, n. 17; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, sent. 6 febbraio 2014, n. 794).
Secondo il giudice amministrativo il potere di vigilanza di cui all’ art. 27, comma 1 , deve intendersi come potere di carattere generale, radicato in capo al comune e riguardante l’intera attività edilizia sul territorio. La circostanza che il comma 2, nell’ipo tesi in cui il bene ricada in area vincolata, preveda il coinvolgimento dell’ente a cui è affidata la tutela del bene protetto non esclude la competenza del comune. La norma si limita a prevedere un doveroso raccordo tra le due amministrazioni anche perché la Soprintendenza, in ipotesi, potrebbe provvedere direttamente alle opere di demolizione (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 26 gennaio 2015, n. 319 e sent. 18 aprile 2013, n. 2150).
Sanzioni amministrative pecuniarie proporzionali e non proporzionali
In precedenza, abbiamo detto che gli abusi edilizi e urbanistici sono soggetti a sanzioni penali e amministrative; abbiamo precisato che ci saremmo occupati di queste ultime. A questo punto è necessario introdurre una distinzione tra sanzioni proporzionali e contravvenzionali o non proporzionali. Le sanzioni proporzionali sono così chiamate perché rapportate al valore dell’abuso; esse possono essere considerate non solo come una semplice sanzione afflittiva, bensì come un mezzo con cui l’ordinamento colpisce il responsabile dell’abuso confiscandogli l’ingiusto profitto conseguito con la realizzazione dell’opera abusiva (art. 33, comma 2; art. 37, commi 1, 3 e 4; art. 38 T.U. edilizia).
Tale tipo di sanzione ha natura sostitutiva in quanto prevista alternativamente all’applicazione di una sanzione di tipo reale. L’esempio tipico potrebbe essere rappresentato dal caso in cui l’amministrazione, in luogo delle demolizione, applichi la sanzione pecuniaria; in tale ipotesi, per l’appunto, la pena pecuniaria sostituisce la demolizione. Le sanzioni contravvenzionali, viceversa, non sono rapportate al valore dell’abuso realizzato ma sono determinate asetticamente dal Legislatore che fissa un minino e un massimo.
In questo caso, quindi, predomina l’elemento afflittivo della pena, a prescindere dal profitto conseguito dal suo autore. A questo punto sorge un ulteriore problema: secondo quale criterio viene quantificata la sanzione? In proposito, occorre fare riferimento all’art. 11 della legge 689 del 24 novembre 1981 “Modifiche al sistema penale” che prescrive «nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo e un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche».
Il Sole 24 Ore, Il Consulente Immobiliare, Edizione del 15 luglio 2015, n. 979 (Quaderno)
Utilità