Il recente sblocco degli avanzi di amministrazione per finanziare investimenti riapre l'annosa vicenda sulla detraibilità dell'Iva sulle spese sostenute per realizzarli. A tal fine si è sempre ragionato ancorando la possibilità della detrazione al concetto di «primo utilizzo» ovvero che l'Iva si rende detraibile sin dall'origine se l'ente abbia manifestato l'intenzione di destinare il bene investimento a un’attività che genera operazioni imponibili ai fini Iva.
Classico esempio sono le costruzioni di impianti sportivi, beni per i quali non sempre l'ente può preventivamente stabilire l'onerosità o meno del loro utilizzo o della sua concessione a terzi, in presenza di riserve per usi diretti a carattere istituzionale.
L’impianto sportivo
In tale contesto è opportuno ricordare come la Corte di cassazione (sentenza 1° ottobre 2014 n. 20713) abbia sancito che la rilevanza Iva della concessione onerosa a terzi di un impianto sportivo da parte di un Comune non è rappresentata e ancorata al suo livello di redditività, essendo sufficiente, invece, la riconducibilità di tale attività economica al concetto di sfruttamento del bene, inteso come la possibilità per il Comune di ritrarre in modo stabile dall'impianto concesso in gestione onerosa a terzi una utilità sotto forma di percezione di un corrispettivo avente carattere di stabilità.
Considerando che la Corte ha precisato, inoltre, che nella giurisprudenza comunitaria non si rinviene una precisa definizione del concetto di «introiti aventi un certo carattere di stabilità», ma che è affermazione corrente che:
– «l'attività economica viene considerata di per sé, indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati» (Corte di giustizia europea, sentenza 29 ottobre 2009 n. C-246/2008);
– ciò che qualifica ai fini impositivi un’operazione di carattere economico è la nozione di «sfruttamento» intesa come operazione che miri a trarre da un bene introiti con carattere di stabilità (Sentenza 4 dicembre 1990 n. C-186/89);
– «un’attività economica è considerata economica quando presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall'autore della prestazione» (Sentenza 13 dicembre 2007 n. C-408/06), si può pertanto affermare che non è l'idoneità dell'attività economica a produrre un reddito a renderla oggetto di imposizione, ma semmai la riconducibilità di essa al concetto di sfruttamento del bene, inteso come la possibilità di ritrarre da esso in modo stabile un'utilità sotto forma di percezione di un corrispettivo sia pur esiguo, ove tutto ciò è sufficiente a ricondurre l'attività al campo di applicazione dell'Iva».
Va evidenziato subito il futuro «sfruttamento economico» del bene
In tale quadro, pertanto, è opportuno che i Comuni diano immediata evidenza, sia negli atti di programmazione, sia nelle deliberazioni conseguenti, del preordinato sfruttamento economico dei beni che intendono realizzare per poter procedere con relativa detrazione Iva; ciò in quanto in base agli articoli 63 e 167 della direttiva Iva, il diritto alla detrazione sorge in linea di principio già nel momento in cui il soggetto passivo riceve un bene o un servizio, quindi generalmente prima di effettuare le c.d. operazioni a valle, in termini di «detraibilità prospettica».
Ma se non fosse possibile prevedere uno sfruttamento economico del bene sin dall'origine, la recente sentenza della Corte di Giustizia europea (25 luglio 2018, causa C-140/17), chiarisce come gli enti ben possano recuperare l'Iva attraverso la rettifica della detrazione, anche qualora gli stessi abbiano realizzato l'opera per un originario esercizio di una attività non economica (gestione gratuita), ovvero in assenza di una manifestata espressione di destinare in futuro il bene a operazioni imponibili ai fini Iva.
Nella considerazione che è pregiudizialmente importante non prevedere negli atti comunali dichiarazioni che escludano la destinazione economica del bene, la Corte, con tale storica sentenza, ha precisato che la direttiva comunitaria non preclude il diritto alla rettifica, a favore dell'ente pubblico, dell'Iva assolta all'origine anche in assenza di precise dichiarazioni di destinare il bene ad uno sfruttamento economico che genera attività imponibili, in quanto l'ente era già in possesso di partita Iva e il bene era stato acquisto alle medesime condizioni di un soggetto privato, in assenza di qualsiasi intervento dell'ente in qualità di pubblica autorità.
Questo importante principio enunciato dalla Corte europea lascia ai Comuni ben aperte le porte per poter applicare l'articolo 19-bis2 del Dpr 633/1972 agli investimenti, consentendo così il recupero dell'Iva anche in anni successivi, recupero che, prima di tale intervento, risultava verosimilmente «precluso» in assenza di una originaria dichiarazione di destinare il bene «investimento» ad attività imponibili ai fini Iva.
Il principio contabile 4.2
Da ultimo si ricorda che il principio contabile 4.2 applicato alla contabilità finanziaria dispone, al paragrafo 5.2, che: «il credito Iva imputabile a investimenti finanziati da debito non può essere destinato alla compensazione di tributi o alla copertura di spese correnti. A tal fine, una quota del risultato di amministrazione pari al credito Iva derivante dall'investimento finanziato dal debito, è vincolata alla realizzazione di investimenti. Effettuato il vincolo l'ente può procedere alla compensazione dei tributi o al finanziamento di spese correnti.».
Per procedere a quanto previsto dal principio contabile, pertanto, bisogna determinare l'effettivo credito di Iva imputabile al singolo investimento finanziato da debito in presenza di pluralità di fonti di finanziamento dello stesso quali mutui, risorse proprie, avanzi di amministrazione, contributi e altro lungo tutto il corso di esecuzione dello stesso.
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