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Non è consentito con un regolamento comunale far pagare la maggiore TIA ai non residenti

Pubblicato il 12/09/2017

di Federico Gavioli - Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4223 del 6 settembre 2017, ha affermato che non è da considerarsi legittimo un regolamento approvato dal Comune che prevede tariffe più alte per la TIA con riferimento ai soggetti non residenti.

Il contenzioso

La vicenda vede coinvolti un contribuente e un Comune veneto di rilevante interesse turistico-balneare; il contribuente era ricorso al TAR avverso il Regolamento TIA del Comune, che determinava "il principio secondo cui la spesa a carico dell'utenza domestica deve essere a sua volta ripartita fra utenze domestiche residenti e non residenti ed i criteri da seguire per determinare la somma pecuniaria da ciascuno dovuta", nonché la delibera di giunta che suddivideva il costo complessivo del servizio d'asporto rifiuti posto a carico delle utenze domestiche nella misura del 33,20% a carico di quelle residenti e del 66,80% a carico di quelle non residenti, inasprendo dunque ulteriormente gli effetti prodotti dalla suddivisione adottata dal Comune per l'anno 2004.

Il contribuente dichiarava di essere proprietario di un appartamento nel suddetto Comune, dove trascorreva dei brevi periodi di vacanza nei mesi estivi.

Il Tribunale amministrativo del Veneto dichiarava inammissibile il ricorso relativamente alla distinzione delle utenze domestiche "residenti" e "non residenti", in quanto già introdotta con una precedente delibera del 2004, la cui impugnazione il medesimo Tribunale già aveva ritenuto tardiva con sentenza del 2005.

Per quanto invece concerne, nel merito, la prestazione pecuniaria imposta e la sua misura (variata nella minima percentuale dello 0,20%), il Tribunale ribadiva che "va escluso che la controversia sulla sua debenza e misura appartenga alla giurisdizione del giudice amministrativo. Invero, ove se ne riconosca la natura di corrispettivo pecuniario per un servizio reso, la lite ha per titolo una posizione di diritto soggettivo e, stante il suo petitum sostanziale, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario".

Avverso tale decisione il contribuente proponeva appello, contestando preliminarmente che il provvedimento impugnato potesse considerarsi meramente confirmativo del precedente Regolamento comunale Tia (delibera del febbraio 2004), stante l'esistenza di nuove ed autonome determinazioni rispetto a quelle adottate nell'anno precedente.

L'analisi del Consiglio di Stato: una disamina della normativa


I giudici amministrativi del Consiglio di Stato nell'analizzare il ricorso del contribuente partono da una dettagliata disamina delle origini e dello sviluppo della tassa sui rifiuti.

In particolare, relativamente alla parte che interessa il presente commento, i giudici amministrativi evidenziano che, con l'entrata in vigore (dal 1° gennaio 1999) dell'art. 49, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio - cosiddetto "decreto Ronchi"), poi modificato dall'art. 1, comma 28, L. 9 dicembre 1998, n. 426, e dall'art. 33, L. 23 dicembre 1999, n. 488, veniva stabilito l'obbligo dei Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati.

A tal fine veniva disposta l'istituzione, da parte dei Comuni, di una "tariffa" per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti comunque giacenti sulle strade ed aree pubbliche (ovvero soggette ad uso pubblico) del territorio comunale. Tale tariffa - denominata tariffa di igiene ambientale (Tia) - "è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio".

Con regolamento del Ministro dell'ambiente (approvato con D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158), veniva quindi elaborato il metodo per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento.

Soggetto passivo della nuova imposta è "chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale".

La tariffa va applicata e riscossa dal soggetto che gestisce il servizio .


Il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 stabilisce inoltre che la Tia deve sempre coprire l'intero costo del servizio di gestione dei rifiuti ed è dovuta anche per la gestione dei rifiuti "esterni" (come già statuiva l'abrogato art. 268, R.D. n. 1175 del 1931).

In seguito la tariffa di cui all'art. 49, D.Lgs. n. 22 del 1997, veniva infine soppressa dall'art. 238, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), sostituendola con la "tariffa per la gestione dei rifiuti urbani" poi denominata (per effetto dell'art. 5, comma 2-quater, D.L. n. 208 del 2008) "tariffa integrata ambientale (TIA)".

La nuova tariffa integrata viene determinata dell'autorità d'ambito territoriale ottimale (Aato), prevista dall'art. 201 dello stesso decreto legislativo, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento ministeriale (da emanarsi, a sua volta, entro sei mesi dalla sopra indicata data di entrata in vigore della parte quarta del decreto legislativo e, quindi, dell'art. 238 in essa compreso) con il quale sono fissati i criteri generali per la definizione delle componenti dei costi e la determinazione della tariffa.

Il caso esaminato

La vicenda oggetto del presente commento, evidenzia il Consiglio di Stato è relativa agli anni d'imposta 2004 e 2005 e riguarda la tariffa di igiene ambientale e non anche la tariffa integrata ambientale di cui all'art. 238, D.Lgs. n. 152 del 2006 (che non trovò applicazione fino al 2009). Il suddetto tributo, come ben rileva la richiamata sentenza costituzionale n. 238 del 2009, sarebbe in realtà una "mera variante della Tarsu disciplinata dal D.Lgs. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest'ultima".

I giudici di Palazzo Spada evidenziano che la discrezionalità dell'ente territoriale nell'assumere le determinazioni al riguardo, in particolare, nello stimare in astratto la capacità media di produzione di rifiuti cui la norma fa riferimento per tipologie, ha natura eminentemente tecnica, non "politica". Come tale, si deve basare su una stima realistica in ragione della caratteristiche proprie di quel territorio comunale e se del caso della sua vocazione turistica: deve insomma concretamente rispettare, nell'esercizio di siffatta discrezionalità tecnica, il fondamentale e immanente principio di proporzionalità, incluse adeguatezza e necessarietà.

Il Consiglio di Stato ritiene corretti i rilievi mossi dal contribuente ricorrente e accoglie l'appello.

Nel merito i giudici amministrativi rilevano che il ricorrente contesta, richiamando i "motivi dedotti a sostegno del richiesto annullamento delle delibere n. 25 del 28 febbraio 2005 e n. 59 del 28 febbraio nel ricorso notificato", il fatto che il Comune abbia ritenuto di sottoporre a tassazione diversa le utenze abitative dei residenti rispetto a quelle dei non residenti, sottoponendo queste ultime, peraltro, ad un maggior carico tributario.

In particolare, la deliberazione del consiglio comunale n. 25 del 28 febbraio 2005, addossava il 30% del carico tributario, il cui ammontare era stato accertato ed approvato con la delibera del consiglio comunale n. 59, di pari data, alle utenze domestiche ed il restante 70% a quelle non domestiche ; quindi, prevedeva che la spesa a carico dell'utenza domestica dovesse essere a sua volta ripartita fra utenze domestiche residenti e non residenti, riportando altresì i criteri da seguire per determinare la somma pecuniaria da ciascuno dovuta.

A sua volta, la delibera di giunta, suddivideva il costo complessivo del servizio di asporto rifiuti posto a carico delle utenze domestiche nella misura del 33,20% a carico delle utenze domestiche residenti e del 66,80% a carico di quelle non residenti, inasprendo ulteriormente gli effetti prodotti dalla suddivisione adottata dal Comune per l'anno 2004.

Ai fini dell'inquadramento delle utenze domestiche nell'una o nell'altra categoria, andavano considerate utenze domestiche residenti quelle occupate dai nuclei familiari che vi avevano stabilito la loro residenza, come risultante dall'anagrafe del Comune, mentre andavano considerate non residenti tutti gli altri immobili ad uso abitativo .

Il ricorrente evidenziava come il costo complessivo del servizio a carico delle utenze domestiche (dal Comune individuato nel 30% dell'intero importo da sostenere nel 2005) fosse stato posto a carico dei fruitori del servizio in modo non omogeneo e, soprattutto, non rapportato alla quantità d'immondizie da loro prodotti e del servizio ricevuto.

Criterio distintivo per l'applicazione del maggiore o minor carico fiscale, infatti, era la circostanza formale di essere o meno residenti nel Comune e non invece, come per legge, la capacità effettiva di produrre un minore o maggiore quantitativo di rifiuti.

Per l'effetto, documentava l'appellante come la spesa complessiva a carico delle utenze domestiche "non residenti" fosse pari al 66,80% (ex art. 11, comma 6 dell'impugnato Regolamento Tia), a carico di quelle "residenti" essendo invece posto solo il restante 33,20%.

Le conclusioni

I giudici amministrativi evidenziano che se corrisponde al vero che la legge non obbliga l'ente impositore a determinare in maniera rigorosamente omogenea e paritaria le tariffe in relazione agli immobili cui si riferisce il tributo, essendo l'amministrazione comunale titolare di un potere tecnico-discrezionale che deve necessariamente tenere conto delle peculiarità delle varie possibili fattispecie oggetto di regolamentazione in ragione delle caratteristiche del suo territorio e della produzione di rifiuti, è pur anche vero che una tale valutazione non può giungere a contraddire le finalità stesse e la ratio del tributo. Ratio all'evidenza strumentale alle finalità, consistenti nell'idoneità e necessità del gettito tributario a coprire i costi complessivi del servizio erogato, ripartendone ragionevolmente gli oneri in coerenza la natura di tassa e con la quantità di rifiuti potenzialmente producibili dalle varie tipologie di beni e delle rispettiva capacità inquinante.

Appare evidente che, nel caso di specie, il criterio formale della residenza scelto dal Comune per diversificare il carico tributario tra i soggetti passivi d'imposta contraddice i caratteri e i limiti di cui si è detto.

Si deve ricordare che l'attribuzione della residenza in un determinato Comune ha natura puramente amministrativa e anagrafica, al più rilevando come situazione che attesta il "luogo in cui la persona ha la dimora abituale", e di per sé nulla implica circa la maggiore o minor produzione di rifiuti solidi urbani.

Appare inoltre illegittima, siccome irragionevole ed in contrasto con il principio di proporzionalità, anche l'ampiezza dello scostamento tra Tia applicata alle utenze abitative domestiche e Tia applicata a quelle non domestiche.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale accoglie il ricorso e annulla i provvedimenti impugnati con condanna del Comune al pagamento, in favore dell'appellante, delle spese di lite.

Cons. di Stato 6 settembre 2017, n. 4223

 


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