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Infrastrutture: il futuro che verrà...

Pubblicato il 16/11/2022
Infrastrutture: il futuro che verrà...

Le infrastrutture in condizioni di crescente efficienza e di rispetto dell'ambiente sono essenziali per l'ammodernamento del sistema produttivo e per migliorare la qualità della vita dei cittadini.

 

Negli ultimi trent'anni in Italia sono state prodotte troppe norme che hanno modificato il settore dei Lavori Pubblici, mentre non ci si è concentrati su un aspetto fondamentale: quello delle competenze. 

Sia in sede di audizione parlamentare, che al Tavolo Tecnico del MISE per il rilancio sulle infrastrutture al quale siamo stati chiamati a dare il nostro contributo, abbiamo sostenuto in questi anni che senza un’adeguata riforma della Pa che coinvolgesse soprattutto le aree tecniche delle amministrazioni, sarebbe stata impossibile qualsiasi iniziativa di sviluppo e di crescita del sistema. 

Come Osservatorio indipendente abbiamo sempre evidenziato la necessità di investire sugli strumenti migliorativi per accelerare le procedure amministrative e fare ripartire i cantieri, prova ne è stata la richiesta presentata alla Commissione Lavori Pubblici del Senato di inserire nella qualifica dei Commissari ad acta la funzione e le competenze del project manager.

La copiosità delle leggi e l’aumento del sistema dei controlli e delle sanzioni hanno prodotto invece un risultato diametralmente opposto. 

La nuova legislatura dovrà concentrarsi per trovare un giusto equilibrio tra le buone pratiche di management e la burocrazia, il cui apporto allo snellimento delle procedure non deve più essere di tipo conservativo. Il settore degli appalti pubblici deve investire sull’innovazione dell’organizzazione con il BIM, il Project Management e la blockchain, per dare trasparenza e sicurezza al sistema delle procedure.

In questo ultimo anno e mezzo abbiamo guardato con attenzione alle iniziative del Governo Draghi, perché le proposte avanzate in sede parlamentare dal nostro Osservatorio sono state in parte recepite dai ministri Giovannini, Brunetta e Carfagna. 

Il maxi concorso bandito dai ministri Carfagna e Brunetta ha dotato seppure a tempo determinato le Pubbliche Amministrazioni delle regioni meridionali di competenze specifiche in materia di digitalizzazione, un requisito fondamentale se vogliamo aumentare l’attrattività di questa area fondamentale del Paese, soprattutto adesso che si sta immaginando il futuro del Sud con provvedimenti fondamentali come il Next Generation Eu, la programmazione comunitaria 2021-2027 e le Zone Economiche Speciali.

Anche alcuni provvedimenti del ministro ai Trasporti e alla Mobilità sostenibile Giovannini sono andati nella direzione auspicata dall’Osservatorio. Accelerare l’introduzione del Building Information Modelling e la digitalizzazione del costruito, utilizzare la Blockchain per la contrattualistica pubblica e per le piattaforme digitali in funzione presso il catasto, uniformare i database dei lavori pubblici, elaborare il Prezzario unico nazionale, infatti, sono da sempre temi sui quali l’Osservatorio ha concentrato l’azione di sostegno alle politiche di sviluppo e di crescita del sistema Italia. 

Le infrastrutture in condizioni di crescente efficienza e di rispetto dell'ambiente sono essenziali per l'ammodernamento del sistema produttivo e per migliorare la qualità della vita dei cittadini. 

Fino al 2008 l’Italia investiva in media il 3,4% del PIL in infrastrutture, e se nel 2009 gli investimenti raggiungevano quota 29 miliardi, nel 2017 ammontavano a soli 16 miliardi. 

Disinvestire nell’ultimo decennio nelle infrastrutture è costato ogni anno al nostro Paese almeno un punto di PIL (60 miliardi all’anno). L’Italia per investimenti sulle infrastrutture è terzultima in Europa con 1,8%. Solo Irlanda e Portogallo fanno peggio

Se la media europea è del 2,7%, in alcuni Paesi nordici e baltici e sorprendentemente anche in Grecia invece si supera il 4%. Al primo posto c’è l’Estonia con il 5,6% (in prevalenza sono investimenti digitali). 

Nella dotazione e qualificazione delle grandi reti di comunicazione italiana ci sono evidenti deficit.  

Dal punto di vista della logistica, infatti, emergono una limitata capacità intermodale dei grandi nodi di scambio infrastrutturali (porti, aeroporti, interporti) e urbani, e una difficile interconnessione tra le reti e tra i livelli stessi di rete (da nazionale a locale). 

Se dal 2008 al 2016 il problema principale delle stazioni appaltanti pubbliche era quello di individuare le risorse economiche da destinare agli investimenti, dal 2016 paradossalmente il tema si è spostato sulla reiterata incapacità delle amministrazioni locali di programmare, pianificare ed eseguire gli interventi, vanificando nei fatti importanti misure di rilancio per le infrastrutture previste dal Governo Gentiloni già nella programmazione di Bilancio del 2017 (+23% di risorse), e confermate dal Governo Conte 1. I Comuni (+ 108% di imposizione fiscale dal 2008 per fronteggiare la diminuzione dei trasferimenti dallo Stato) hanno ridotto nel triennio 2017-2019 la spesa per investimenti in opere pubbliche di circa 2,5 miliardi. 

Un risultato fortemente negativo dopo un 2016 che si era chiuso con una diminuzione di spesa di 1,7 miliardi, nonostante la possibilità concessa dall’allora Governo Renzi ai Comuni virtuosi di andare in deroga al Patto di stabilità.

Oggi, poi, che gli investimenti infrastrutturali sono collegati in modo così evidente allo sviluppo dell’energia, e quindi alla tenuta dello sviluppo industriale e sociale del Paese, un fattore più degli altri sarà decisivo per colmare il gap infrastrutturale dei territori italiani: la capacità della politica di investire culturalmente sulle opere, imparando a comunicare ai territori il valore strategico delle infrastrutture. 

Se non si riuscirà nella delicata operazione di detonare questa esasperata conflittualità che da quasi trenta anni caratterizza in tutti i territori italiani il rapporto tra la conservazione dell’ambiente e la realizzazione di nuovi investimenti (dopo Tav e Tap si pensi al tema dei rigassificatori), il Paese difficilmente farà quella accelerazione che i veti ideologici non possono più impedire. 

Su questo Giorgia Meloni, che inevitabilmente dovrà affrontare con gli Stati Europei il capitolo del PNRR con una revisione che appare inevitabile alla luce del conflitto ucraino e della crisi energetica dell’ultimo anno, non dovrà avere tentennamenti. 

Il futuro del Paese passa da una nuova stagione di infrastrutture, che superi finalmente la demonizzazione del privato e di tutto quello che deriva dal sistema industriale. 

 

Articolo di Stefano Cianciotta, Presidente Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di ConfassociazioniPresidente di Abruzzo Sviluppo S.p.A., apparso nell'ultimo numero de "Il Nuovo Giornale dell'UNITEL".

 

 




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