Presento il nuovo numero del nostro “pensatoio” e, come gli altri Colleghi in precedenza, mi accingo diligentemente a enucleare i contributi, approfondirli e quindi prefigurarveli nel modo più accattivante possibile per spingervi alla lettura; insomma tecnica.
Al terzo contributo è però suonata nella mente, forse anche in parallelo con il compulsivo lavoro di chiusura dei miei progetti PNRR, una locuzione: tenere insieme i pezzi…
Probabilmente non è un intelligente metodo comunicativo anticipare il finale di una storia, ma indubbiamente il caso invoglia.
A fronte dei diversi interventi, delle situazioni differenziate, credo di potere rappresentare senza contestazioni che vi sia un unico fil rouge fra tutte le notazioni lette: uno scollamento fra le parti e un defatigante lavoro per cercare di riportare tutto alla sintesi finale.
Più banalmente: alla fine bisogna pur giungere in qualche modo al “prodotto”, al risultato che, sicuramente, è il convitato più negletto di tutto il sistema.
Nell’antichità, certo meno complicata, non meno complessa, il rischio dello scollamento era minore; il progettista della cattedrale sapeva che non proponeva ipotesi “in vitro”, ma doveva lavorare in simbiosi con i mastri murari, gli scalpellini, per giungere all’unità, e nessuno era delegato a “incollare” le parti, perché il codice di conoscenze era condiviso e comune, e nessuno prevaricava.
Il mio Maestro, Marcello D’Olivo, citava sempre che Vanvitelli produsse per la Reggia di Caserta 13 tavole, per il resto ognuno sapeva perfettamente cosa fare.
La complicazione si lasciava alla casta sacerdotale: che dialogassero misteriosamente, ben remunerati e omaggiati, con gli Dei, li vi era la divisione, ma ognuno stava nel suo.
E invece no, ora i nostri “sacerdoti” vogliono pervicacemente violare questo patto, ed entrare (in astratto, per carità) con minuzia in ogni dettaglio del mondo di coloro che “fanno”.
Da buoni illuminati autoreferenziali - pur se oggi con nomi diversi (commìs, “boiardi”, alti funzionari) - essi si pongono quale elemento centrale del dialogo tra il teorico e il reale con il risultato che, visto che poi qualcuno le mani se le deve pur sporcare, mastri e scalpellini debbono alla fine tenere insieme tutti i pezzi che non combaciano di un puzzle mal fustellato.
Siate pazienti su questa lunga giaculatoria, ma credo che un essere debba imparare dai propri errori, e osservo da molte parti avviene; non nel nostro Paese.
Parlo infatti di situazioni che conoscete, anzi scontate sulla vostra pelle, e il senso di quello che ho esposto è la sintesi delle storie che oggi pubblichiamo, nella sostanza di tutte, perché la morale ricorrente nella Penisola è comunque: non contano le cose, ma il nome delle stesse… (che poi, se nomina sunt consequentia rerum, capisco che la massima creazione amministrativa dei nostri templari su quattro parole ne chiami due: resistenza e resilienza. Quella nostra ovviamente).
Nel numero che proponiamo, oramai completamente “bruciato”, il nostro Presidente Claudio Esposito, - parafrasando Hemigway e, forse, Gary Cooper dietro la mitragliatrice in una vana ed eroica resistenza - nel proprio editoriale rappresenta in maniera chiara il non senso, lo smarrimento, la solitudine di coloro che debbano materialmente operare sul Piano nazionale, in una piccola antologia di tutti i ricorrenti e sciatti imprimatur di una burocrazia ormai più vicina la metaverso che alla realtà.
Nel secondo editoriale, ben più serio del mio, Raffaele Di Marcello parla dei P.E.B.A. (piani per l’abbattimento delle barriere architettoniche), nei quali, dalla rapida disamina di alcune leggi regionali, appare come sempre la compulsione sulle condizioni al contorno piuttosto che sulle rampe fuori norma.
I nostri Coordinatore area Nord, Danilo Villa, e Centro, Giuseppe De Iuliis, ci rappresentano quindi due situazioni apparentemente “tecniche”.
Il primo, in continuità con Di Marcello, ci ricorda del Bonus per l’abbattimento delle barriere architettoniche, che vira da operazione di civiltà ad adempimento, nel quale sembra prevalere più una astratta tempistica che un valido supporto del Ministero agli enti locali e che, come sempre nel Bel Paese, viene spesso ben risolta con il “faidate” e interpretazioni flessibili, come nel caso della Provincia di Lecco.
Giuseppe a propria volta accende i fari sullo stato degli Sportelli per le attività produttive, che a tutt’oggi, pur nella correttezza della visione generale, non riescono a essere percepiti e usati compitamente dai cittadini, come sempre a causa dell’utilizzo bordeline di procedure che sembrano più finalizzate all’auto compiacimento che al problem solving.
Per il Comitato Urbanistica il nostro Benedetti prefigura di acquisire una laurea magistrale in diritto amministrativo, con master successivo e borsa di dottorato, unica possibilità per il malcapitato che debba gestire la realizzazione di una piscina senza rischiare di essere portato in ceppi nell’isola di Santo Stefano, (che poi, in fondo, è così bella…traghetto da Formia, andateci).
Poi Antonio Dolce, del Comitato lavori Pubblici, espone alcune riflessioni sulla misteriosa isola di Thule, pardon, sull’Anac. Si invoca un reale snellimento del Codice dei Contratti ma, non sfuggirà ai più attenti, che a Roma, nel congresso Unitel di aprile (!) 2016 ipotizzammo, con le rotative del Poligrafico dello Stato ancora fresche di inchiostro, che il nuovo strumento legislativo appena pubblicato avesse già lo stigma dell’occasione perduta.
E con taglio diverso dal tecnico, ma in fondo dicendo le stesse cose, Federica Paleari, del prestigioso studio legale A.O.R., ci fa una rapida panoramica del problema della produzione delle leggi in Italia e, soprattutto, i dubbi sulla effettiva configurazione del nuovo codice, e dei relativi contenuti.
Il secondo ospite Stefano Cianciotta, guarda caso, focalizza su endemici problemi: copiosità e astrattezza delle leggi, mancanza di supporto tecnico legali agli enti esponenziali, carenza di personale, e il nodo della formazione sulla quale è meglio stendere un velo più che pietoso.
Chiudiamo il numero “facendo rete”, con una interessante cameo di Dante Caserta sul consumo di suolo in Italy, problemino non da poco da affrontare con serietà ma anche dovizia in sede legislativa, e quindi con Piero Fantilli che riporta acqua al mio mulino e ci delizia, con raffinata crudeltà, con le nequizie del diritto europeo vagliato da quello nazionale sul problema del demanio.
Mai una gioia…, buona lettura.
Gianfilippo Lo Masto
Caporedattore de "Il Nuovo Giornale dell' UNITEL"
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