Gli accadimenti degli ultimi tempi mi portano di nuovo a trattare tematiche ambientali a chiusura del trittico di narrazione già pubblicati sui n. 4/2022 e 1/2023 del nostro giornale.
D'altronde la "prevenzione del rischio" è ormai un tema ineludibile per la Pubblica Amministrazione che si trova a cambiare radicalmente il proprio approccio al territorio ed all'evoluzione climatica: non più sole politiche di Protezione Civile post evento calamitoso, ma politiche di prevenzione del rischio mirate alla cura dei dissesti che sono tutt'altro che sconosciuti.
Eppure, i soldi per mettere mano all’Italia che si allaga, frana e purtroppo uccide ci sono. E ci sono pure piani straordinari per usarli. Hanno nomi trionfali e rassicuranti, da “ItaliaSicura” a “ProteggItalia”, per citare i più recenti. La verità dei numeri è però un’altra: dal 1999 a oggi sono stati finanziati 11mila progetti per la riduzione del rischio idrogeologico, ma quelli ultimati sono meno della metà. Un dato che dimostra che il cambiamento climatico non può esser l’ombrello con cui i politici e gli amministratori di questo Paese riparano sé stessi da ogni responsabilità, attuale e storica, dal governo Renzi e prima ancora fino al governo Meloni di oggi. Nell’arco di 20 anni e 14 governi, a fronte di 6 milioni di persone che vivono in aree a rischio alluvionale, la spesa effettiva per opere di prevenzione del rischio idrogeologico si è fermata a 7 miliardi, un quarto dei 26 miliardi certi e (certificati) necessari a rinforzare argini, costruire scolmatori e casse di espansione per le piene, allargare i canali tombati, tirar su muri di contenimento. Per fare, dunque, ciò che avrebbe evitato le stragi da nubifragio di ieri e di oggi.
Negli specchi di palude dell’Emilia-Romagna si riflette in queste ore un Paese che convive con il rischio e piange l’ennesima tragedia evitabile. Se volete farvi davvero del male potete navigare le banche dati sulle zone a rischio e sulla spesa effettiva per evitarlo realizzate dall’Ispra. Tolgono ogni alibi ai decisori pubblici quelli sulle aree esposte a eventi alluvionali e franosi raccolti nella piattaforma IdroGeo: con il 70% della popolazione e del territorio esposti, l’Emilia-Romagna svetta nella classifica nazionale dei territori potenzialmente allagabili (45,6%), seguita dalla Calabria (17,2%), Marche, Abruzzo e tutte le altre. Quella di oggi, insomma, è ancora un’Italia da bollino rosso per un milione di famiglie, 2,4 milioni di persone, che vivono in aree alluvionali a pericolosità “elevata”.
Per introdurre quindi una disamina sulle possibili AZIONI è necessario dare un'occhiata al pregresso:
L’intervento più radicale in materia è stato il “ProteggItalia”. Un Piano nazionale per la “mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale” da 14,3 miliardi di euro in 12 anni fino al 2030. Una svolta nelle intenzioni del primo governo Conte che il M5S annunciava come una “misura storica” e non a torto, visti i precedenti e lo stato delle cose. Il 20 febbraio 2019 arriva dunque il decreto che promette una svolta radicale sugli investimenti per la mitigazione del rischio idrogeologico, agendo sul fronte dei fondi, delle competenze e delle procedure che dovevano essere finalmente improntate non a rincorrere l’emergenza ma a una programmazione pluriennale con un’ottica sistemica e funzionale. In parte ha funzionato. Negli ultimi 5 anni, dal 2019 al 2023, gli interventi ultimati in tutta Italia sono stati solo 597 con una spesa effettiva di 308 milioni, pari a una media di 61 milioni l’anno anziché 1,1 miliardi come prevedeva il ProteggItalia.
Parimenti lontano dall’obbiettivo era arrivato il tentativo di centralizzare la gestione della materia con una cabina di regia a Palazzo Chigi. Ci provò Matteo Renzi nel maggio del 2014 istituendo una specifica unità di missione “contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche” in seno alla Presidenza del Consiglio chiamata ItaliaSicura. La struttura è stata operativa fino a luglio 2018 e poteva contare su 7,7 miliardi di euro. Fino a quando il governo Lega-M5S la chiuse (con il decreto-legge n.86 del 2018) e trasferì le sue competenze al Ministero dell’Ambiente. Oggi si assiste al rimpallo di responsabilità, ma i numeri dicono che né prima né dopo l’accelerazione promessa è arrivata: nel periodo di ItaliaSicura (2014-2018) sono stati ultimati 163 progetti su 405 finanziati.
Il quadro non è certo edificante ed anche le cifre ci raccontano di un Paese che non vuole imparare da sé stesso e dal suo passato.
Le ragioni non politiche ma tecnico-procedurali le racconta ancora una volta la Corte dei Conti. L’ultima analisi su progressi e criticità in materia risale all’autunno 2021, con un giudizio grave e preoccupato. Per i magistrati contabili il “ProteggItalia” ha certo avuto il pregio di “unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa”. Qualche dato. Quando si tira una linea su 3,1 miliardi per la voce “misure di emergenza”, che sono di competenza della Protezione Civile e dei 18 commissari delegati per il triennio 2019-2021, il differenziale tra le risorse stanziate per progetti approvati e i pagamenti effettuati (rilevati dal numero di gare avviate e dai relativi importi finanziati che entrano nel ciclo di realizzazione delle opere) è inferiore alla metà: 1 miliardo su 2,2. Alla voce “misure di prevenzione”, di competenza stavolta del ministero dell’Ambiente, si registrano altri ritardi, ad esempio per quelle a valere sui fondi del “Programma di Sviluppo Rurale Nazionale”: su 356 milioni di progetti finanziati il totale nel biennio 2019-2020 pagato è di 77,3 milioni, in pratica dei 35 progetti finanziati ancora nel 2019 solo 23 hanno concluso l’iter con il pagamento, pari al pari al 21,7 per cento della “dote”.
La stessa Corte dei Conti auspica un cambio di passo con la PNRR benché abbia una dote minimale rispetto al fabbisogno: 2,4 miliardi di euro!!
Inutile ricommentare l'eseguità del fondo previsto, già in precedenza abbiamo avuto modo di criticare aspramente la destinazione dei finanziamenti PNRR non calibrati sulle effettive necessità infrastrutturali del paese e sulle fragilità territoriali.
In queste criticità si innesta pertanto l'attività residuale degli Enti Locali: anche UNITEL ne ha parlato in seno al X congresso nazionale con l'intervento della Dott.ssa Serena Rischia di ISPRA che, pur ribadendo la presenza di blocchi normativi che non consentono di attivare una molteplicità di interventi, ha ribadito l'importanza che i Comuni garantiscano una fattiva programmazione regionale degli interventi di prevenzione dei dissesti attraverso la piattaforma ReNDiS (ricordo al proposito che la graduatoria regionale prevede comunque una valutazione a punteggio per accedere al finanziamento ministeriale).
Non possiamo pertanto che auspicare l'attivazione delle progettazioni di settore con i professionisti che potranno utilizzare da subito la piattaforma RaStEM.
Il Consigliere Nazionale
Danilo Villa
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