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Oneri a carico del proprietario di un sito inquinato non responsabile della contaminazione

Pubblicato il 15/11/2016
Pubblicato in: Pubblica Amministrazione

di Giuseppe Cassano - Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Il tema trattato nella sentenza in esame, resa dal Consiglio di Stato, è quello dell'adozione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza necessarie a seguito di una situazione di inquinamento di un determinato sito.

Al vaglio dei Giudici di Palazzo Spada è posta, in particolare, la questione dei limiti della responsabilità per danno ambientale del proprietario attuale delle aree interessate da un conclamato fenomeno di inquinamento non ascrivibile, sul piano eziologico, alla sfera di azione dello stesso proprietario.

 

Su tale questione si registra l'intervento dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, con l'Ord. n. 21 del 2013, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione interpretativa: "se i princìpi dell'Unione Europea in materia ambientale sanciti dall'art. 191, par. 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e dalla Dir. 2004/35/UE del 21 aprile 2004 (artt. 1 ed 8, n. 3; 13 e 24) considerando in particolare, il principio per cui "chi inquina, paga", il principio di precauzione, il principio dell'azione preventiva, il principio, della correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all'ambiente - ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 244, 245 e 253, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (recante il Codice in materia ambientale) che, in caso di accertata contaminazione di un sito e d'impossibilità d'individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di ottenere da quest'ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all'autorità amministrativa d'imporre l'esecuzione delle misure di sicurezza d'emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell'inquinamento, prevedendo, a carico di quest'ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l'esecuzione degli interventi di bonifica".

L'Adunanza Plenaria, con l'interpretazione prospettata, si è fatta carico di superare alcune criticità insorte nell'esame di una pluralità di casi, in cui il responsabile dell'inquinamento risultava nella maggior parte dei casi irreperibile per avere, con operazioni negoziali di sospetta portata elusiva, alienato la cosa inquinata, mentre il nuovo proprietario trovava proprio nelle richiamate disposizioni inerenti alla limitazione della sua responsabilità (essendo ammessa solo una responsabilità di tipo patrimoniale correlata al valore commerciale del cespite) una sorta di "commodus discessus" al fine di liberarsi dei ben più gravosi oneri economici connessi alla integrale bonifica del sito.

Da parte sua, con sentenza del 4 marzo 2015 (resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato e chiarito il proprio orientamento (già espresso nella Sent. 9 marzo 2010, C-378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell'ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell'Adunanza plenaria, affermando che "la direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (...) la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi".

Tale decisione conferma dunque la legittimità, alla luce dei principi desumibili dal diritto europeo di matrice unionale, dell'impianto del Codice in materia ambientale che esclude l'imposizione, a carico del proprietario estraneo all'inquinamento del sito, di misure di prevenzione o di riparazione, fatta eccezione per quelle che il soggetto intraprenda spontaneamente ai sensi dell'art. 245.

Quanto al merito della vicenda sottoposta al suo giudizio il Consiglio di Stato ritiene non condivisibile la tesi delle amministrazioni (appellanti) secondo cui gli interventi imposti alla società (appellata) rientrerebbero in quelle misure di emergenza esigibili anche in confronto del proprietario non responsabile dell'inquinamento il quale, in ogni caso, sarebbe tenuto ad eseguire gli interventi di bonifica prescritti per essersi prestato alle preliminari attività di monitoraggio (nella specie, delle acque di falda); in definitiva, secondo le amministrazioni sarebbe pienamente legittimo l'ordine di messa in sicurezza di emergenza della falda a mezzo della realizzazione di barriere idrauliche in prossimità delle sorgenti di contaminazione della falda in aggiunta all'eliminazione dei focolai di inquinamento.

In particolare, le amministrazioni appellanti censurano l'erroneità della gravata sentenza (T.a.r. Marche, Ancona, Sez. I, n. 857/2009) nella parte in cui avrebbe dato per provata l'estraneità della società appellata da ogni responsabilità per inquinamento del sito.

Il Collegio adito pone l'accento su due aspetti di particolare rilievo (già evidenziati dal Giudice di prime cure): il primo riguarda l'imputabilità soggettiva delle attività di bonifica ad un soggetto di cui non è stata provata la responsabilità, neppure a livello concausale, nella produzione dell'inquinamento; il secondo è incentrato sulla natura stessa delle attività imposte (barrieramento idraulico delle falde, non correttamente qualificabili alla stregua di attività di messa in sicurezza di emergenza quanto, piuttosto, riconducibili a vera e propria attività di bonifica del sito).

È così ritenuto confermato il dato, non smentito dalle censure d'appello, secondo cui la società originaria ricorrente è estranea al riscontrato fenomeno di inquinamento della falda acquifera, in assenza di sufficienti elementi probatori (neppure di ordine indiziario) per sostenere la tesi contraria.

Si richiama così in sentenza il pacifico orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, n. 550 del 2016; Cons. Stato, Sez. VI, n. 4225 del 2015) che esclude il coinvolgimento coatto del proprietario di un'area inquinata, non responsabile dell'inquinamento, nelle attività di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza. Al più tale soggetto, in qualità di proprietario dell'area, può essere chiamato, nel caso, a rispondere sul piano patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l'esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto dell'art. 253 del Codice in materia ambientale.

Il Consiglio di Stato, infine, ritiene l'appellata sentenza meritevole di essere confermata anche nella parte in cui, pur ravvisando nel caso concreto, la sussistenza dell'autonoma iniziativa della società proprietaria delle aree nella fase iniziale del procedimento di recupero ambientale, ha escluso che allo stesso potessero essere addossate le importanti opere di bonifica imposte con i gravati provvedimenti; e ciò in considerazione della oggettiva difficoltà di assimilare le opere imposte al proprietario (barrieramento idraulico delle acque di falda) con quelle di messa in sicurezza di emergenza (che risultano conseguenti ad eventi di contaminazione repentina e sono funzionali a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente, ai sensi dell'art. 240, comma 1, lett. m), D.Lgs. n. 152 del 2006).

 


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