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Il Nuovo codice dei contratti e la disciplina sulle varianti

Pubblicato il 22/04/2023
Il Nuovo codice dei contratti e la disciplina sulle varianti

In questa breve dissertazione verranno illustrati i diversi contenuti del Nuovo Codice in merito all’istituto delle varianti apprezzandone i passi in avanti e le prevedibili criticità operative.

 

Premessa:

Il progetto di nuovo Codice ha inteso, a differenza del passato, dedicare un’ampia parte (la Parte I del Libro I) alla codificazione dei principi che riguardano l’intera materia dei contratti pubblici. Questa scelta appare condivisibile e in  coerenza con l’unitarietà che si vuole attribuire alla fonte codicistica, evitando la ramificazione del sistema legislativo che tanti problemi ha creato nel recente passato. La tendenza alla decodificazione, infatti, aveva portato alla creazione di un vero e proprio arcipelago normativo, oggi arginato dal tentativo di un disegno più armonico e organico, reso più facilmente intellegibile e comprensibile proprio dai principi stessi.

Il principio di risultato, che permea la disciplina degli appalti pubblici sia in fase di affidamento che di esecuzione del contratto, dovrebbe auspicabilmente garantire  il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo rispettando i principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Il suo obiettivo è emerso con chiarezza in attuazione del PNRR quando, soprattutto per far fronte alle situazioni emergenziali e rilanciare il paese, è aumentato considerevolmente l’indice di tolleranza e di ammissibilità delle varianti, ampliando le ipotesi rientranti nelle “circostanze impreviste e imprevedibili” che le giustificano.

L’interesse primario della stazione appaltante, e di conseguenza l’interesse pubblico, è infatti quello di entrare nella disponibilità dell’oggetto del contratto nel più breve tempo possibile; a minori tempi di realizzazione, corrispondono minori rischi di eventi incidenti sull’andamento previsto, come per l’appunto l’aumento dei costi.

Per questi motivi, in linea di continuità con le scelte legislative e nel pieno rispetto del principio di risultato, nel nuovo Codice sono sempre ammesse le varianti che trovano copertura nelle somme a disposizione del quadro economico e che non comportano aumenti di spesa, mantenendo la piena funzionalità dell’opera, fermo restando l’obbligo di adeguata prova e motivazione.

Non si dimentichi che il principio del risultato non può essere in alcun modo slegato dall’attuazione dei principi costituzionali del buon andamento, efficienza, efficacia ed economicità, così come da  quelli di matrice più propriamente comunitaria, in riferimento alla legalità e alla concorrenza. Tali aspetti e finalità tuttavia non lo esauriscono, perché l’obiettivo da perseguire resta sempre la realizzazione delle opere pubbliche.

Sebbene la concorrenza venga primariamente tutelata in fase di gara, dove si trova un ampio nucleo di regole ad hoc per la sua garanzia, non può sottacersi che, laddove in fase di esecuzione si stravolga  il contratto facendone eseguire di fatto uno diverso rispetto a quello aggiudicato, le regole della concorrenza vengono effettivamente raggirate e lese.

Si tratta di una ipotesi estremamente comune nella pratica professionale, poiché spesso è proprio a causa delle numerose varianti che nascono le principali patologie degli appalti, come i lunghissimi tempi di realizzazione e la lievitazione dei costi.

E’ proprio a tutela della concorrenza che il legislatore individua i casi tassativi di variante in corso d’opera, poiché è in forza della stessa che si afferma il principio di immodificabilità del contratto.

La sfida finale consiste nel realizzare il delicato bilanciamento tra i due principali interessi contrapposti nella commessa pubblica, ossia la garanzia dell’autonomia contrattuale e la tutela della concorrenza.

 

Analisi  della nuova disciplina:

La disciplina delle modifiche del contratto in corso di esecuzione è inserita nell’articolo 120, che riproduce, seppur con alcuni cambiamenti, l’articolo 106 del D.lgs n.50 del 2016.

La disposizione, nell’ottica di semplificazione e snellimento che caratterizza il nuovo Codice, ricalca quella precedente, e le principali novità riguardano la generale ammissibilità che si riconosce alle modifiche non sostanziali e, di conseguenza, l’inquadramento giuridico e l’individuazione della variante sostanziale.

Più nello specifico, il comma 1 è riservato alle modifiche consentite dal punto di vista qualitativo, perché non snaturanti, e la lettera a) sancisce la possibilità di inserire nei documenti di gara specifiche clausole, chiare, precise e inequivocabili, che introducono specificazioni sulle soglie ammesse.

Il comma 2 regola le modifiche, sempre non snaturanti, accolte in ragione del dato quantitativo, per cui, nei casi stabiliti al comma 1, lettere b) e c), ovvero per i servizi supplementari, il contratto può essere modificato con aumento di prezzo non eccedente il 50 per cento del valore del contratto iniziale (nulla di nuovo sul punto).

Fin qui nulla di nuovo se non l’ eliminazione  della lett. e) del comma 1 dell’attuale art. 106, inserendo nel solo comma 5 la previsione della generale ammissibilità delle modifiche non sostanziali.

Questa totale apertura del legislatore nei confronti delle varianti non sostanziali, trova la sua genesi  nella Legge 29 giugno 2022 n.79, recante “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”. Il Codice ha riprodotto, infatti, l’ipotesi per cui, in caso di incrementi del costo dei materiali, si ammettono varianti in corso d’opera “senza che sia alterata la natura generale del contratto e ferma restando la piena funzionalità dell’opera”, purché volte ad assicurare “risparmi rispetto alle previsioni iniziali da utilizzare esclusivamente in compensazione per far fronte alle variazioni in aumento dei costi dei materiali” (articolo 7, comma 2quater).

A parere di chi scrive l’innovazione apportata dal comma 5 è sicuramente positiva, in linea con quanto stabilito dalla legge 79/22 e idonea a fronteggiare le criticità emerse nell’ultimo periodo a seguito del fenomeno caro-materiali; tuttavia sarebbe stato opportuno recepire e mutuare uno stralcio di quanto statuito dal comma 6 dell’art. 106 del Dlgs 50/16 allorchè si precisa che  “le stazioni appaltanti possono stabilire nei documenti di gara soglie di importi per consentire le modifiche “ così da limitare l’abuso, o comunque l’uso eccessivo, delle modifiche non sostanziali al progetto.

 

Così come formulato, infatti, il disposto normativo del comma 7 del nuovo Codice permette una discrezionalità ampia sia alla stazione appaltante che all’appaltatore, seppur apparentemente delimitata dai parametri di cui alle lettere a) e b), ispirati entrambi ai principi del risparmio e del miglioramento tecnico/economico.

Sotto il profilo pratico non pochi possono essere i problemi operativi per il RUP a fronte di possibili e reiterate istanza volte a modificare sistematicamente l’impostazione progettuale ottimizzando i costi di approvvigionamento.

Non è difficile immaginare come l’operatore economico possa, nei vari scenari operativi, cavalcare la previsione normativa che permetterebbe nei limiti delle somme previste nel quadro economico di proporre soluzioni dichiarate equivalenti o migliorative in termini economici, tecnici o sui tempi di ultimazione.

Residuerebbe in capo al RUP l’ingrato compito di effettuare tale valutazione che in taluni casi è facile prevedere sotto l’aspetto tecnico risulterà tutt’altro che agevole in un contesto in cui non viene peraltro codificato l’iter di presentazione, l’eventuale sospensione dei termini e le modalità di effettuazione della valutazione ( si veda l’iter sulla proposta migliorativa reiterata anche dal comma 8 art. 8 del DM 49/2018).

Il tardivo riscontro da parte del RUP, in assenza di espressa previsione normativa, potrebbe addirittura ribaltare sulla committenza l’omesso e tempestiva istruttoria e il ritardo conseguente nell’attuazione della commessa.

 

Risulta d’altronde,  ben evidente l’atteggiamento di favore che l’ordinamento mostra nei confronti del mantenimento del contratto: si preferisce far ricorso ad alcuni principi di carattere generale che possano plasmare il rapporto contrattuale, inducendo le parti al suo riequilibrio in itinere, piuttosto che il rimedio della risoluzione, applicabile esclusivamente in extrema ratio.

Risponde, infatti a questa esigenza, ed all’enunciazione di principio contenuta nell’articolo 9 del nuovo Codice, quanto stabilito dal comma 8 dell’articolo in esame: in tale sede il legislatore favorisce e caldeggia la rinegoziazione del contratto tramite clausole ad hoc previste nel contratto o mediante richiesta espressa che l’appaltatore formula al Rup (alla cui ricezione quest’ultimo “provvede a formulare “la proposta di un nuovo accordo entro tre mesi”), arrivando finanche a prevedere che la parte svantaggiata, in assenza di un accordo, agisca in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto “salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione”.

Tale innovazione normativa risponde all’esigenza di venire incontro alla parte contrattualmente svantaggiata dalla reformatio in peius del sinallagma contrattuale manifestatasi nel corso dell’esecuzione del contratto, che in questi ultimi anni ha spesso originato un uso eccessivo ed indiscriminato dell’art. 1467 cc al fine di ottenere un riequilibrio, ora assicurato da questa statuizione.   

La generale ammissibilità delle varianti non sostanziali risulta, inoltre, coerente con il raggiungimento dell’obiettivo di risultato che il nuovo Codice si pone, tanto da consentire a tal fine una maggiore elasticità al progetto per compensare gli aumenti dei costi delle costruzioni.

La seconda importante novità che viene introdotta nel nuovo Codice riguarda la definizione di modifica sostanziale. Il comma 6 della disposizione ripropone gli aspetti più significativi e innovativi dell’articolo 72 della direttiva 2014/24/UE. A differenza della disciplina precedente, si è preferita una nozione unitaria di modifica “snaturante”, in armonia con la disciplina comunitaria, che utilizza una terminologia piuttosto generica ma pragmatica, consentendo le modifiche che non alterano “la natura generale del contratto”.

La nuova norma, perciò, tralasciando le ricostruzioni dottrinali più teoriche sugli elementi essenziali del contratto, traspone il concetto di non alterazione della sua natura generale con la seguente dizione: “nonostante le modifiche, la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa possano ritenersi inalterate” (commi 1, 3 e 5).

Vi sono altre due novità da evidenziare all’interno dell’articolo, una introdotta dal comma 11 del nuovo testo ed un’altra caratterizzata dalla soppressione dei commi 9 e 10 dell’art. 106 del vecchio Codice 50/16, entrambe incentrate sul principio del risultato e finalizzate ad ottenere uno snellimento procedurale.

Il comma 11 dell’art. 120, all’istituto dell’ “opzione di proroga” già previsto dal vecchio Dlgs 50/16 aggiunge quello della proroga tecnica, di cui viene consentita l’adozione nei casi eccezionali di “oggettivi e insuperabili ritardi “ nella conclusione della procedura di affidamento del contratto: in siffatte evenienze viene consentita la proroga del contratto con l’appaltatore uscente al fine di scongiurare situazioni di pericolo a persone, cose, animali, igiene pubblica che potrebbero scaturire dall’eventuale interruzione delle prestazioni. 

 

Al contrario, invece, l’articolo oggi esaminato sopprime i commi 9 e 10 dell’art 106 del Dlgs 50/16 ove veniva previsto il cosiddetto errore progettuale; in tale circostanza il legislatore ha ritenuto inopportuna un’apposita previsione dell’errore progettuale all’interno della norma sulle modifiche sia perché l’eventuale errore non risulterebbe determinante ai fini dell’inserimento nella fattispecie variante piuttosto che nella fattispecie modifica sia (soprattutto) perché la disciplina delle conseguenze sulla responsabilità  dei progettisti è stata inserita nella parte del Codice destinata a regolamentare la progettazione .

Tale scelta non appare condivisibile in un contesto operativo ove al di là della possibile difficoltà di inquadrare il confine tra imprevisto ed errore progettuale vede il RUP, incomprensibilmente, attestare generalmente la genesi della variante sempre e comunque in uno scenario di imprevedibilità di cui alla lettera c) .

La mancata contestazione dell’errore progettuale impedisce di poter addebitare i maggiori costi alle assicurazioni dei progettisti con evidenti maggiori oneri posti  sempre e comunque in capo alla committenza.....

 

Autore: Ing. Pier Luigi Gianforte PhD Docente di Appalti Pubblici presso la Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione e consulente per Aziende ed Enti Pubblici

 


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