CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – sentenza 19 ottobre 2016 n. 21186.
Determinazione dell’indennità di espropriazione per p.u.
Sulla necessità, per la determinazione dell’indennità di espropriazione, di fare riferimento non già alla contrapposizione vincoli conformativi/espropriativi, ma alla ricorrenza o meno delle “possibilità legali di edificazione” al momento del decreto di espropriazione.
Ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione per p.u., l’art. 5 bisdel d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. con modif. nella legge 8 agosto 1992 (ora recepito negli artt. 32 e 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – T.U. espropriazioni) ha prescelto, quale unico criterio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato, quello dell’edificabilità legale, per cui un’area va ritenuta edificabile quando essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, senza possibilità legale di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata da un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente.
Ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, non rileva che la destinazione di zona consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici, atteso che l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica rimessa inderogabilmente all’iniziativa pubblica non è assimilabile al concetto di edificazione preso in considerazione dal menzionato art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 agli effetti indennitari, da intendersi come estrinsecazione dello “ ius aedificandi ” connesso al diritto di proprietà.
L’inserimento dei suoli nella cosiddetta zona F (aree destinate ad opere di interesse collettivo) di uno strumento urbanistico (piano di fabbricazione o piano regolatore generale) è inquadrabile in linea di principio nella zonizzazione del territorio e, dunque, determina il carattere non edificabile dei suoli stessi.
La destinazione a verde pubblico ha carattere normalmente conformativo, soprattutto laddove non risulta neppure allegato che detta destinazione, anziché essere finalizzata ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, abbia imposto un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica.
La determinazione dell’indennità di espropriazione per p.u. deve avvenire sulla base non già della contrapposizione vincoli conformativi/espropriativi, ma della ricorrenza delle “possibilità legali di edificazione” al momento del decreto di espropriazione (L. n. 359, art. 5 bis, comma 3 e art. 32, comma 1 e art. 37, comma 3 T.U.): accertamento risolto in modo inequivoco e troncante dal comma 4 dell’art. 37 T.U. espropriazioni, per il quale, premessa la ininfluenza dei vincoli espropriativi, non sussistono le possibilità legali di edificazione “quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale, …ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata”.
Nel caso in cui l’espropriato contesti, anche sotto il profilo della natura non agricola, ma parzialmente edificatoria, del terreno, la quantificazione operata dalla Corte di Appello con il criterio del vam (valore agricolo medio) previsto dagli artt. 16 della legge n. 865 del 1971 e 5 bis, comma quarto, della legge n. 359 del 1992 e dichiarato incostituzionale dalla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, la stima dell’indennità deve essere effettuata utilizzandosi il criterio generale del valore venale pieno, tratto dall’art. 39 della legge n. 2359 del 1865, applicandosi la menzionata pronuncia di illegittimità ai rapporti non ancora definitivamente esauriti ed irrilevante rivelandosi la circostanza che il giudice “a quo“, allo scopo di evitare una “reformatio in pejus” della somma già offerta dall’espropriante, abbia comunque riconosciuto una indennità che, seppure di importo superiore a quella conseguente all’applicazione del VAM, non trovi giustificazione nel predetto valore venale di mercato del terreno ablato.
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