N. D`Angelo (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010)
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Nel tentativo di superare i limiti imposti dalla normativa urbanistica non di rado si cerca di utilizzare determinate fattispecie (le opere “precarie”) ampliandone l’effettivo ambito applicativo o si creano nuove figure (le autorizzazioni “precarie” o “provvisorie”) di fatto non consentite
Come è noto, con il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’edilizia) la disciplina dell’edilizia ha ricevuto un nuovo assetto procedendosi – tra l’altro – a ricondurre i titoli abilitativi necessari per l’attività edilizia a tre sole tipologie:
- il permesso di costruire;
- la denuncia di inizio attività (D.i.a.);
- la c.d. SuperD.i.a. introdotta, nel Testo Unico, dal d.lgs. n. 301/2002.
Il permesso di costruire è previsto per gli interventi che comportano una trasformazione insieme urbanistica ed edilizia del territorio; l’art. 10 del t.u. subordina al previo rilascio di tale titolo:
- gli interventi di nuova costruzione;
- gli interventi di totale demolizione con ricostruzione;
- gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
- gli interventi di ristrutturazione edilizia con sostanziale modifica dell’esistente, individuati in negativo rispetto alle ipotesi sottoposte a denuncia di inizio attività (interventi che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici);
- i mutamenti di destinazione d’uso realizzati mediante interventi edilizi, individuati in negativo rispetto alle ipotesi sottoposte a denuncia di inizio attività (mutamenti connessi ad interventi di ristrutturazione edilizia, nonché, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, i mutamenti di destinazione d’uso realizzati con opere edilizie).
L’individuazione degli interventi realizzabili mediante D.i.a. viene ricondotta, dall’art 22 del t.u., a due categorie:
- interventi – conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente – non riconducibili a quelli previsti dall’articolo 10 e dall’articolo 6 (1);
- varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
Alle ipotesi previste dal legislatore statale – sia in tema di permesso che di D.i.a. – devono aggiungersi quelle eventualmente indicate dalle singole regioni in virtù di quanto espressamente previsto dall’art. 10, commi 2 e 3, e art. 22, comma 4, del testo unico 380/2001.
L’art. 22, comma 3, lett. a) del t.u., come modificato dal d.lgs. n. 301/2002, ha previsto che – a scelta dell’interessato ed in alternativa al permesso di costruire – possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività (c.d. SuperD.i.a.):
a) gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c) (2);
b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; qualora i piani attuativi risultino approvati anteriormente all’entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001, n. 443, il relativo atto di ricognizione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza, si prescinde dall’atto di ricognizione, purché il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l’esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate;
c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.
La SuperD.i.a. non è un istituto ontologicamente diverso dalla D.i.a. dalla quale differisce soltanto in relazione agli interventi assoggettabili (alternativamente) alla procedura; diverso, invece, è il regime sanzionatorio, poiché:
- nei casi in cui la D.i.a. si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire) la mancanza della denunzia di inizio dell’attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla D.i.a. effettivamente presentata non comportano l’applicazione di sanzioni penali, ma sono previste solo sanzioni amministrative (d.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6).
Ciononostante potrebbe essere punibile penalmente, ai sensi dell’art. 44, lett. a) del medesimo decreto (pure se preceduta da rituale denuncia d’inizio) l’esecuzione di interventi che risultino sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi:
- nei casi previsti in cui la D.i.a. si pone come alternativa al permesso di costruire (ai sensi del successivo art. 44, comma 2-bis) l’assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell’attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla D.i.a. effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b);
- sempre nei casi di D.i.a. “alternativa” al permesso, non trova sanzione penale la difformità parziale; al riguardo la Cassazione – Cass. pen., sez. III, sent. n. 44248 del 23 settembre 2004 – ha precisato che in caso di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzabile con denunzia di inizio attività alternativa al permesso di costruire, ex art. 22, comma 3, dell’art. 22 del citato d.P.R. n. 380/2001, le sanzioni di cui all’art. 44 dello stesso d.P.R. sono applicabili soltanto in caso di assenza o totale difformità dalla D.i.a., atteso che la esclusione dell’ipotesi di parziale difformità dal regime sanzionatorio opera sia in caso di edificazione con permesso di costruire che nella diversa ipotesi di opzione per la D.i.a..
In ogni caso ciò che conta non è la qualificazione dell’intervento data dal privato nella D.i.a. presentata, ma l’esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere poi effettivamente eseguite.
In realtà le argomentazioni utilizzate dal Ministero, non appaiono assolutamente convincenti per una serie di ragioni che esamineremo in altra sede e comunque legate al fatto che la normativa, statale e regionale, in tema di edilizia è caratterizzata da un elevato grado di autonomia e rappresenta un settore quasi a sé stante nel panorama legislativo generale; tale specificità settoriale costituisce, di fatto, un ostacolo non facilmente superabile alla diretta applicazione della nuova normativa.
In questa sede è sufficiente osservare come il Ministero, nel medesimo parere, sostenga che la Scia sostituisca (in edilizia) la D.i.a., ma non la D.i.a. alternativa (c.d. Superdia) rendendosi conto dei problemi che questo comporterebbe, ma tale affermazioni è ontologicamente inammissibile. Se anche fosse sostenibile – con un’interpretazione che lo scrivente non condivide – che la Scia sostituisca la D.i.a. in edilizia, conseguenza ineludibile sarebbe l’intervenuta abrogazione della D.i.a. è quindi non sarebbe più possibile (giuridicamente e logicamente) parlare di D.i.a. alternativa in quanto, appunto, la D.i.a. è stata abrogata e non esiste più. In ogni caso occorre dato atto che diversi comuni hanno tenuto conto delle indicazioni ministeriali così che fintanto che non interverrà un diverso indirizzo (della Corte Costituzionale, della giurisprudenza amministrativa o dello stesso legislatore) occorrerà “fare i conti” con la Scia applicata alla (sola) D.i.a. in edilizia.
Tanto premesso va segnalato come, a fronte dei limiti imposti all’attività edilizia, è frequente il ricorso alla figura dell’opera “precaria” per giustificare manufatti altrimenti abusivi. Va infatti segnalato che, secondo la costante interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale, una trasformazione urbanistica e/o edilizia – per essere assoggettata all’intervento autorizzatorio in senso ampio dell’autorità amministrativa – non deve essere precaria; un’opera oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti non è destinata a produrre quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è rivolta a regolare. Restano esclusi, pertanto, dal regime del permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere presto eliminati.
Il problema, però, diventa quello di definire esattamente cosa si intenda per “opera precaria” onde evitare che tale categoria venga utilizzata ben oltre i limiti del consentito.
A tale scopo utili insegnamenti possono trarsi dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione la quale, in proposito, ha affermato, che:
- al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio della concessione edilizia e del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione; per esempio in una sentenza la Corte – Cass. pen., sez. III, sent. n. 20189 del 21marzo 2006 – ha affermato che in materia edilizia la natura precaria di un manufatto, ai fini della sua non sottoposizione al preventivo rilascio del permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore, né dal dato che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo, ma deve riconnettersi ad una intrinseca destinazione materiale dell’opera stessa ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con la conseguente e sollecita eliminazione del manufatto alla cessazione dell’uso;
- ai fini del riscontro del connotato della precarietà dell’opera e della relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio, la Corte ha affermato che – Cass. pen., sez. III, sent. n. 22054 del 25 febbraio 2009 – non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva. La natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio; a tale fine, inoltre, l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti.
Note
(1) L’articolo 6 del t.u. – modificato di recente dal d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modifiche, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73 – prevede i casi di “Attività edilizia libera”.
(2) Trattasi degli interventi di ristrutturazione edilizia (c.d. Ristrutturazione pesante) che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.
(3)Legge 30 luglio 2010, n. 122: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (G.U. n. 176 del 30 luglio 2010 – Suppl.
Ordinario n. 174).
(4) La disciplina della Scia non era prevista dal d.l. ma è stata introdotta dalla legge 122/2010 pubblicata sulla G.U. in data 30 luglio 2010; a norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) le modifiche apportate dalla legge di conversione di un decreto legge hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
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