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Conferenza di servizi

Pubblicato il 16/12/2010
Pubblicato in: Appalti

Tribunale Amministrativo Regionale Toscana sez.III 26/11/2010 n. 6635

Maggioli Editore

1. Procedimento amministrativo – D.P.R. 447/1998 – Procedimenti di autorizzazione – Sportello unico – Conferenza di servizi – Verbale ai sensi del comma 6, prima parte, dell’art. 4 del d.P.R. cit. – Natura endoprocedimentale – Ricorso – Inammissibilità
2. Procedimento amministrativo – Conferenza di servizi – Determinazione conclusiva della conferenza di servizi e determinazione conclusiva del procedimento – Distinzione – Necessità
3. Procedimento amministrativo – Fattispecie regolata dal d.P.R. 447/1998 – Art. 10-bis legge 241/1990 – Applicabilità – Va esclusa

1. La disposizione contenuta nel comma 6, prima parte, dell’art. 4 del d.P.R. 447/1998 (in base al quale “Il verbale recante le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi, che si pronuncia anche sulle osservazioni di cui al comma 4, tiene luogo del provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento e viene immediatamente comunicato, a cura dello sportello unico, al richiedente”) va coordinata con la disciplina legislativa sopravvenuta, dettata riguardo alla conferenza dei servizi dalla legge generale sul procedimento amministrativo, in particolare risultante dal combinato disposto dei commi 6-bis (“All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede”) e 9 (“Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza”) dell’art. 14-ter della legge 241/1990, commi rispettivamente aggiunti e sostituiti dall’art. 10 della legge 11.2.2005, n. 15. Con il parlare di “provvedimento finale, conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis”, la legge 241/1990 ha infatti distinto, logicamente e cronologicamente, i due momenti procedimentali, rispettivamente costituiti dall’adozione della determinazione conclusiva della conferenza dei servizi e dall’adozione del provvedimento finale, di competenza del responsabile del relativo procedimento, nell’ambito dell’ufficio o della struttura competente. Ne consegue che il responsabile del procedimento è quindi tenuto all’adozione della determinazione conclusiva del procedimento. Il verbale contenente le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi va qualificato, pertanto, come atto endoprocedimentale, sprovvisto di autonoma lesività, con conseguente inammissibilità del ricorso.
2. Alla luce del vigente quadro normativo in tema di conferenza di servizi, la nozione di determinazione conclusiva della conferenza di servizi non può essere sovrapposta a quella di determinazione conclusiva del procedimento, dal momento che, indipendentemente dall’esito della prima, non si verifica l’effetto di sottrarre al responsabile del procedimento la competenza all’emanazione dell’atto conclusivo della serie procedimentale” (TAR Puglia, Lecce, sez. II, 7.6.2005, n. 3131).
3. Non ha pregio la doglianza di violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 nel caso in cui sia stata applicata la normativa del procedimento Suap, recata dal d.P.R. 447/1998, che, ponendosi in termini di specialità rispetto alla legge sul procedimento amministrativo, prevale su quest’ultima, garantendo essa stessa peculiari e più ampie forme di partecipazione del privato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nn. 5314 e 5315 del 10.10.2007).

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 362 del 2007, proposto da:
Covini Fabrizio, in proprio e quale legale rappresentante della FAM.COV s.a.s. di Cofini Fabrizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni B. Bertocchi del Foro di Massa-Carrara – avendo gli Avv.ti Francesco Massa e Luca Sagrato rinunciato al mandato in corso di causa - ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Francesca Gatti in Firenze, Via Del Proconsolo n. 11;

contro

Comune di Massa, rappresentato e difeso dagli avv. Francesca Panesi, Manuela Pellegrini, con domicilio eletto presso Elisa Burlamacchi in Firenze, via La Marmora 14;

per l’annullamento

- dei provvedimenti nn. 4899, 4902, 4910, 4911, 4912, 4913, 4914, 4915, 4922 e 4923 del 18 dicembre 2006 con i quali il Dirigente del Settore Urbanistica, a seguito del verbale n. 79/06 di accertamento dei tecnici comunali, ordinava al Sig. Covini Fabrizio, quale legale rappresentante della FAM.COV. s.a.s. (proprietaria degli immobili censiti al NCEU del Comune di Massa al fg. 161 mapp.le 391 sub.ni 18, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 41, 63 e 64), nonché quale legale rappresentante della Fedo s.r.l. – avendo egli eseguito le opere indicate nel detto verbale nella qualità di legale rappresentante della detta società - : “la cessazione dell’utilizzazione abusiva dell’immobile con il ripristino della destinazione turistico-ricettiva (compreso l’accampionamento nella categoria D2) ed il ripristino dello stato dei luoghi entro 90 gg.”;
- degli atti a tali determinazioni comunque presupposti, connessi e consequenziali;
nonché, a seguito del primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 29 ottobre 2007,
PER L’ANNULLAMENTO
- degli atti connessi a quelli impugnati con il ricorso introduttivo ed in particolare della nota 13 luglio 2007 prot. n. 32435 a firma del Dirigente Responsabile dello Sportello Unico per le Attività Produttive, Arch. Venicio Tacciati (conosciuta in data successiva al 16 luglio 2007), avente ad oggetto la comunicazione del parere negativo 11 luglio 2007 sull’istanza di attestazione di conformità in sanatoria;
- del suddetto parere 11 luglio 2007 a firma del Dirigente del Settore Urbanistica – Servizio Edilizia Privata;
nonché, a seguito del secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 13 dicembre 2007,
PER L’ANNULLAMENTO
- degli atti connessi a quelli impugnati con il ricorso introduttivo e con il primo ricorso per motivi aggiunti, ed in particolare del verbale 28 settembre 2007 prot. n. 10 della Conferenza dei Servizi e della relativa nota di comunicazione 23 ottobre 2007 prot. n. 48054, avente ad oggetto esito negativo di Conferenza dei Servizi per attivazione in sanatoria di R.T.A. in località Poverano, Viale Lungomare di Levante n. 101;
nonché, a seguito del terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 marzo 2008,
PER L’ANNULLAMENTO
- degli atti connessi a quelli impugnati con il ricorso introduttivo e con il primo e secondo ricorso per motivi aggiunti, ed in particolare della determinazione dirigenziale del Comune di Massa 14 gennaio 2008 n. 129, avente ad oggetto “ordinanza di rimessa in pristino opere abusive in Via Lungomare di Levante Ditta Fam. Cov.”;
- nonché, all’occorrenza, dell’art. 7 delle NTA della variante al P.R.G. finalizzata al Recupero delle Strutture ricettive alberghiere approvata con deliberazione consiliare 6 dicembre 2006 n. 63;

Visto il ricorso introduttivo del presente giudizio, con i relativi allegati;
Visti il primo, il secondo e il terzo ricorso per motivi aggiunti, rispettivamente depositati presso questo Tribunale il 29 ottobre 2007, il 13 dicembre 2007 e il 12 marzo 2008, con i relativi allegati;
Visto l`atto di costituzione in giudizio di Comune di Massa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell`udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2010 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti gli avvocati F. Gatti delegata da G. Bertocchi e F. Panesi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Dalla documentazione versata in atti è possibile ricostruire la vicenda contenziosa sviluppatasi nei termini qui di seguito descritti.
La Residenza Turistico Alberghiera denominata “Doria” (d’ora in poi “RTA Doria”), sita in Massa, V.le Lungomare di Levante n. 101 -103, originariamente sede della casa per ferie dell’Istituto Maria Ausiliatrice, veniva ristrutturata a seguito di concessione edilizia n. 9310110 del 16 luglio 1994, intestata all’Istituto Maria Ausiliatrice e successivamente volturata alla Fedo s.r.l., dante causa della società FAM.COV. s.a.s. (odierna ricorrente unitamente al Sig. Covini, che agisce in proprio e quale legale rappresentante della suindicata società).
In data 13 novembre 1998 veniva rilasciata concessione in variante n. 9806071 sulla base di un atto unilaterale d’obbligo sottoscritto dalla predetta Fedo s.r.l. in data 2 febbraio 1998, costituente parte integrante della concessione medesima, in cui veniva espressamente riconosciuta e ribadita la destinazione alberghiera, con impegno ad esercitare una gestione unitaria dell’immobile conformemente a tale destinazione.
In particolare, nell’atto unilaterale d’obbligo, la Fedo s.r.l. assumeva formale impegno
- a ristrutturare il fabbricato descritto, “da destinare ad Albergo Residenziale, in conformità sia al progetto approvato con successive varianti di adeguamento, che alle disposizioni vincolistiche in vigore ed in particolare alla Legge Regione Toscana 27 ottobre 1981 n. 78”;
- ad “astenersi, per sé, successori o aventi causa, dal mutare la destinazione d’uso, per come concessa, dell’immobile in questione e ad assicurare l’unitarietà della gestione dell’intero complesso aziendale, fornendo all’Amministrazione Comunale ogni informazione utile al fine della verifica dell’osservanza di tali condizioni” (art. 4);
- “anche nel caso di frazionamento del titolo di proprietà, così come previsto dalla L.R., a garantire la gestione unitaria per la residenza turistico-alberghiera, fornendo i servizi elencati nel precedente articolo 2; pertanto, nel caso di alienazione delle singole unità abitative, i proprietari subentranti si impegneranno a garantire la unitarietà della gestione alberghiera sino alla decadenza del vincolo decennale; le parti comuni non potranno essere alienate separatamente in quanto necessarie a garantire la unitarietà della gestione” (art. 5);
- “in considerazione della particolare destinazione dell’immobile, di affidare la gestione del complesso residenziale ad una Società di gestione con sede in Massa, con la specifica ed unica finalità di gestire il complesso in oggetto; detta Società di gestione nominerà un proprio rappresentante che sia in grado di soddisfare le esigenze gestionali, attribuendogli poteri, doveri, mansioni e retribuzioni” (art. 6).
In data 22 marzo 1999, la medesima Fedo s.r.l. presentava una DIA per taluni interventi edilizi, nella quale veniva espressamente indicata l’utilizzazione turistico ricettiva.
In data 23 gennaio 2001 veniva rilasciata l’autorizzazione ad abitare il “fabbricato destinato a residenza turistico alberghiera – residence” di cui trattasi.
Verificato che la “RTA Doria” non era in possesso di alcuna autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività ricettiva, con verbale n. 79 del 21 agosto 2006 gli agenti del Nucleo controllo attività edilizia della Polizia Municipale del Comune di Massa, a seguito del sopralluogo effettuato in data 16 agosto 2006 presso la “RTA Doria”, accertavano il mutamento di destinazione d’uso delle unità immobiliari da turistico-ricettive a residenziali.
Con nota prot. n. 39384 del 25 agosto 2006 – integrata con nota prot. 46820 dell’11 ottobre 2006 – veniva data comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio.
Con deliberazione di Consiglio Comunale n. 63 del 6 dicembre 2006 veniva definitivamente approvata una parziale modifica normativa alla variante al P.R.G. finalizzata al recupero delle strutture ricettive-alberghiere; in particolare, veniva modificato l’art. 7 delle N.T.A. che disciplina il cambio di destinazione d’uso, prevedendosi, tra l’altro, che “Alle strutture alberghiere è altresì consentita la trasformazione in Residenze Turistico Alberghiere dotate dei requisiti obbligatori per la classificazione “3 stelle”, da intendersi come unica ed indivisibile unità immobiliare a destinazione alberghiera, non suscettibile di frazionamento, da accampionare alla categoria catastale D2”.
Con determinazioni nn. 4899, 4902, 4910, 4911, 4912, 4913, 4914, 4915, 4922 e 4923 del 18 dicembre 2006 del Dirigente del Settore Urbanistica, premesso che era stato accertato il cambio di destinazione d’uso e il frazionamento della originaria struttura ricettiva alberghiera in singole unità immobiliari residenziali accampionate alla cat. A2, tra cui quelle di cui risultava proprietaria la FAM.COV. s.a.s. (proprietaria degli immobili censiti al NCEU del Comune di Massa al fg. 161 mapp.le 391 sub.ni 18, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 41, 63 e 64), nonché la realizzazione di opere edilizie non autorizzate (diversa distribuzione dei locali delle unità immobiliari, pompeiana in legno, ecc.), veniva ordinata la cessazione dell’utilizzazione abusiva dell’immobile con il ripristino della destinazione turistico-ricettiva e dello stato dei luoghi (con riguardo alle suindicate riscontrate difformità edilizie), provvedimenti tutti impugnati con il ricorso introduttivo del presente giudizio.
In data 22 gennaio 2007 veniva presentata, da vari proprietari delle unità immobiliari del complesso sopra indicato, fra cui l’odierna ricorrente, nonché dal legale rappresentante della società Doria s.r.l. – costituita dai vari proprietari con la formale finalità di gestire unitariamente il complesso in oggetto – domanda unica allo SUAP per richiedere la attestazione di conformità in sanatoria ai sensi dell’art. 140 della LRT 1/2005.
Tale istanza era tesa a sanare esclusivamente le modeste difformità edilizie accertate e conteneva contestazioni in ordine ai restanti abusi oggetto dei provvedimenti sanzionatori (in particolare, con riguardo al frazionamento e al cambio di destinazione d’uso dell’immobile de quo).
Non era finalizzata, invece, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, all’ottenimento del titolo abilitativo all’esercizio della struttura ricettiva (cfr. pag. 8 della relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria).
Con nota prot. 32435 del 13 luglio 2007 veniva comunicato il parere negativo espresso in data 11 luglio 2007 dal Dirigente del Settore Urbanistica in merito alla istanza di attestazione di conformità.
L’autorizzazione unica in sanatoria veniva negata sul presupposto che ci fosse stato un abusivo mutamento di destinazione d’uso delle singole unità immobiliari “da unità abitative di R.T.A. a destinazione turistico ricettiva” in “unità immobiliari residenziali”.
Tale abusivo mutamento di destinazione d’uso veniva dedotto da molteplici univoci elementi, quali: l’assenza di autorizzazione amministrativa all’esercizio di R.T.A.; l’occupazione di varie unità immobiliari da parte dei proprietari, alcuni dei quali vi avevano stabilito la propria residenza anagrafica; l’intestazione delle utenze luce e gas delle singole unità abitative ai rispettivi proprietari che provvedevano direttamente al pagamento dei consumi; l’avere la società Doria s.r.l. - costituita per garantire l’unitarietà della gestione alberghiera, e i cui soci e consiglieri erano peraltro i proprietari delle singole unità – esclusivamente compiti di gestione delle parti comuni e di ripartizione delle spese su base millesimale tra i singoli proprietari, analogamente a quanto accade in un condominio; l’assenza di un soggetto deputato alla gestione delle locazioni delle unità abitative per uso turistico ricettivo.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti, depositati il 29 ottobre 2007, veniva impugnato il suindicato parere negativo dell’11 luglio 2007, nonché la nota di comunicazione dello stesso.
A seguito di richieste di convocazione, pervenute nei termini di cui all’art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 447 del 20 ottobre 1998, formulate da alcuni proprietari di unità immobiliari del complesso edilizio di cui trattasi, con nota prot. 36547 del 7 agosto 2007 – ricevuta per quanto qui interessa dal Sig. Covini quale rappresentante della FAM.COV. s.a.s. in data 10 agosto 2007 – veniva convocata la conferenza di servizi per il giorno 28 settembre 2007.
La conferenza di servizi si svolgeva nella data suindicata, con la partecipazione, tra gli altri, dell’Avv. Giovanni Battista Bertocchi e del Geom. Giuseppe Gentili in rappresentanza della FAM.COV. s.a.s. e, preso atto della discussione di cui veniva redatto verbale, valutato che non erano stati apportati elementi innovativi tali da poter superare il precedente diniego, la conferenza si chiudeva con esito negativo.
Con nota prot. 48054 del 23 ottobre 2007 veniva trasmesso agli interessati il verbale della predetta conferenza di servizi del 28 settembre 2007; tale provvedimento veniva ricevuto dall’odierna ricorrente in data in data 26 ottobre 2007.
In data 27 ottobre 2007 la società Doria s.r.l. veniva posta in liquidazione, come risulta dalla visura camerale.
Con nota raccomandata AR prot. n. 51281 in data 13 novembre 2007, stante la definizione negativa della richiesta sanatoria, veniva comunicato l’avvio del procedimento sanzionatorio.
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositati il 13 dicembre 2007, gli odierni ricorrenti impugnavano il verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2007.
Con determinazione n. 129 del 14 gennaio 2008 veniva concluso il procedimento sanzionatorio - cui il Sig. Covini, legale rappresentante della società ricorrente, non riteneva di partecipare - con l’adozione del provvedimento sanzionatorio, mediante il quale veniva nuovamente ordinata alla società ricorrente (in qualità di proprietaria di alcune unità immobiliari della struttura turistico ricettiva) la cessazione dell’utilizzazione abusiva dell’immobile con il ripristino della destinazione turistico-ricettiva (compreso l’accampionamento nella categoria D2) e dello stato dei luoghi (con riguardo alle difformità edilizie accertate: diversa distribuzione dei locali delle unità immobiliari, pompeiana in legno, ecc.).
A fondamento del provvedimento sanzionatorio venivano poste le stesse motivazioni contenute nel diniego di sanatoria del luglio del 2007, ulteriormente corroborate, tra l’altro, dall’accertato mancato svolgimento da parte della Doria s.r.l., in stato di liquidazione dal 27 ottobre 2007, di alcuna attività di gestione unitaria della struttura ricettiva, e dal rilievo che nel corso della conferenza di servizi del 28 settembre 2007, diversi soggetti partecipanti avevano ammesso che l’attività ricettiva non era mai stata svolta. Si evidenziava, inoltre, che il frazionamento delle singole unità immobiliari era avvenuto in mancanza della prescritta autorizzazione edilizia, necessaria, trattandosi di intervento qualificato dalla legge come “ristrutturazione edilizia”. Su tali premesse, pertanto, e accertato che il ricorrente, quale legale rappresentante della FAM.COV. s.a.s., aveva effettuato un “cambio di destinazione e frazionamento di unità abitative originariamente concessionate come parte di residenza turistico alberghiera in singole unità immobiliari residenziali accampionate alla cat. A2 (sub 18, 22, 27, 28, 29, 30, 41, 63, 64)”, nonché una serie di opere edilizie, specificamente elencate, non autorizzate, relative alle suindicate singole unità immobiliari, veniva adottato il provvedimento sanzionatorio in questione. La disciplina di cui veniva espressamente fatta applicazione era costituita dal succitato art. 7 delle N.T.A. della variante al P.R.G. finalizzata al Recupero delle Strutture ricettive alberghiere approvato con deliberazione consiliare 6 dicembre 2006, dall’art. 134 L. reg. n. 1/2005 recante la disciplina sanzionatoria per “gli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti senza denuncia di inizio attività in totale difformità o con variazioni essenziali”, e dall’art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004.
Con il terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 marzo 2008, il Sig. Covini, in proprio e quale legale rappresentante della società FAM.COV. s.a.s., ha, quindi, impugnato la suindicata determinazione dirigenziale del Comune di Massa 14 gennaio 2008 n. 129, nonché, all’occorrenza, il citato art. 7 delle NTA della variante al P.R.G..
2. E’ necessario premettere che le misure repressive oggetto del presente giudizio si fondano sull’accertamento di una complessiva operazione che ha determinato la mancata attivazione di un’unitaria attività alberghiera nella struttura ricettiva denominata “Doria”, assentita dal Comune come R.T.A.: i proprietari delle singole unità immobiliari si sono infatti limitati a costituire una società, la Doria s.r.l. – il cui oggetto, dichiarato negli atti notarili, è: “la gestione di alberghi, immobili ad uso residenziale e turistico, strutture ricettive per il turismo, ristoranti, pizzerie, bar, pubblici esercizi in genere” – che invero, come accertato dal Comune ed evidenziato negli atti del procedimento sanzionatorio, non ha mai svolto alcuna attività di gestione unitaria della struttura ricettiva e che è in stato di liquidazione dal 27 ottobre 2007.
Pertanto, il Comune, considerata la vicenda da un punto di vista complessivo, ha ritenuto che le attività di carattere edilizio e negoziale poste in essere dai soggetti a vario titolo coinvolti – individuati nei molteplici provvedimenti adottati – unitariamente considerate abbiano comportato la trasformazione dell’immobile in un organismo completamente diverso da quello assentito.
Conseguentemente, il Comune ha emesso vari provvedimenti sanzionatori, fra cui quelli oggetto del presente giudizio, tesi al ripristino della destinazione del complesso immobiliare a residenza turistico ricettiva.
Ciò premesso, il ricorso introduttivo del presente giudizio, con cui sono state impugnate le determinazioni dirigenziali nn. 4899, 4902, 4910, 4911, 4912, 4913, 4914, 4915, 4922 e 4923 del 18 dicembre 2006, con le quali veniva, appunto, ordinata la cessazione dell’utilizzazione abusiva dell’immobile con il ripristino della destinazione turistico-ricettiva e dello stato dei luoghi, è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Tali provvedimenti risultano, infatti, superati dal successivo provvedimento sanzionatorio n. 129 del 14 gennaio 2008, impugnato con il terzo ricorso per motivi aggiunti.
2.1. Con il primo ricorso per motivi aggiunti è stato impugnato il parere negativo espresso in data 11 luglio 2007 dal Dirigente del Settore Urbanistica in merito alla istanza di attestazione di conformità in sanatoria ai sensi dell’art. 140 della LRT 1/2005 presentata dai ricorrenti, nonché la nota prot. 32435 del 13 luglio 2007 con cui veniva comunicato il suindicato parere negativo.
In sostanza, l’Amministrazione comunale riteneva che la sanatoria – richiesta, come si è visto, in relazione a modeste difformità edilizie accertate – dovesse essere negata essendo stato accertato un abusivo cambio di destinazione d’uso delle singole unità immobiliari da “unità abitative di RTA a destinazione turistico ricettiva” in “unità immobiliari residenziali”.
Il primo ricorso per motivi aggiunti è infondato.
Per quanto attiene la lamentata violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 (primo dei motivi aggiunti), la doglianza non ha pregio, atteso che, nel caso di specie, è stata applicata la normativa del procedimento SUAP, recata dal D.P.R. n. 447/1998, che, ponendosi in termini di specialità rispetto alla legge sul procedimento amministrativo, prevale su quest’ultima, garantendo essa stessa peculiari e più ampie forme di partecipazione del privato (cfr., Cons. di Stato, sez. IV, nn. 5314 e 5315 del 10 ottobre 2007).
A ciò si aggiunga che è pacifico in giurisprudenza il principio secondo il quale il predetto art. 10 bis non si applichi allorquando il provvedimento conclusivo del procedimento abbia contenuto vincolato; nel caso di specie, stante la presentazione di una istanza di sanatoria che non comprendeva tutti gli abusi accertati e sanzionati ed anzi muoveva dal presupposto che fosse confutabile la fondatezza delle contestazioni relative alla più grave fattispecie di abuso, consistente nel cambio di destinazione d’uso dell’immobile, l’Amministrazione non aveva alcun margine di discrezionalità per determinarsi diversamente.
Ugualmente non ha pregio la doglianza di cui al secondo dei motivi aggiunti, con la quale si assume che l’Amministrazione, per agire correttamente, avrebbe dovuto riconoscere la sanabilità delle modeste opere edilizie (trattandosi di mere difformità esecutive ascrivibili alla manutenzione straordinaria o al massimo al restauro) e prendere, nel contempo, atto del fatto che la destinazione d’uso non era oggetto di sanatoria edilizia.
In realtà, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, essendo stato il cambio di destinazione d’uso già oggetto di precedenti provvedimenti sanzionatori (impugnati con l’atto introduttivo del presente giudizio), l’istanza di attestazione di conformità in sanatoria avrebbe dovuto investire anche tale abuso, non essendo ipotizzabile la sanatoria di interventi edilizi inerenti ad un immobile in relazione al quale sia stato accertato e sanzionato un abusivo mutamento di destinazione d’uso.
Né, infine, si può (terzo motivo aggiunto) fondatamente sostenere – al fine di contestare l’accertato cambiamento di destinazione d’uso - che la vendita frazionata (ed il conseguente accatastamento per singole unità immobiliari) fosse espressamente consentita dall’atto unilaterale d’obbligo, fermo il mantenimento della “gestione unitaria per la residenza turistico-alberghiera” a mezzo della apposita società di gestione, e che la vendita frazionata di singole “unità abitative” di R.T.A. non sia vietata da alcuna norma di legge.
A riguardo, va evidenziato come questa Sezione si sia più volte pronunciata, con ampia motivazione pienamente condivisa dal Collegio, in ordine alle problematiche connesse con fenomeni di abusivismo accertati presso strutture concessionate come RTA.
In particolare, con la sentenza n. 119 del 29 gennaio 2009, è stato definito un analogo giudizio respingendo il ricorso promosso da proprietari di altra struttura RTA avverso i provvedimenti con cui il Comune aveva ordinato loro la cessazione dell’utilizzazione abusiva dell’immobile ed il ripristino della destinazione turistico ricettiva. In quella circostanza la Sezione, dopo aver precisato che la destinazione a residenza turistico alberghiera di un immobile “si caratterizza con l’apertura del bene al pubblico, ovvero si esprime attraverso atti di offerta al pubblico dei servizi ad esso inerenti e la gestione unitaria dell’immobile, come precisa l’art. 27 della L.R. n. 42 del 23/3/2000 (Cons. Stato, IV, 22/11/1989 n. 824; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 20/4/2007 n. 426; TAR Liguria, 21/2/1987 n. 86)”, e che “La caratteristica peculiare di tale tipologia di fabbricato è costituita dall’essere finalizzata all’accoglienza di soggetti terzi rispetto ai proprietari ed ai gestori”, ha statuito che “il frazionamento della proprietà in varie abitazioni, unitamente all’accampionamento nella categoria catastale A/2 (indicante abitazione di tipo civile) anziché D/2 (propria di alberghi e pensioni), è sintomatico del venir meno della necessaria unicità della struttura sotto il profilo gestionale e della sua naturale destinazione all’accoglienza di terzi, e connota l’esistenza di più unità immobiliari residenziali distinte, anziché di un’unica struttura ricettiva alberghiera (Cons.Stato, V, 21/5/1999, n.592).
Non depone in senso contrario la clausola dei contratti di compravendita, richiamata nel ricorso, che impegna l’acquirente ad adibire l’immobile allo svolgimento di attività turistiche (… omissis …), in quanto, mentre l’indivisibilità del bene ne costituisce caratteristica intrinseca opponibile a tutti, una volta che l’immobile sia frazionato in molteplici unità abitative il conferimento delle stesse ad una gestione unitaria sarebbe soltanto oggetto di un incoercibile impegno contrattuale di ciascun acquirente (TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 20/4/2007, n.426). Infatti la destinazione turistico alberghiera, quale definita dall’art.27 della L.R. n. 42/2000, viene meno qualora il godimento degli alloggi o dei sevizi provenga dalla titolarità delle unità abitative o delle quote nelle quali è stato frazionato l’immobile (TAR Emilia Romagna, Bologna, I, 11/9/2008, n.3974).
Inoltre, nonostante l’univoca classificazione della struttura come residenza turistico alberghiera espressa in sede di presentazione del progetto di ristrutturazione (… omissis …), i ricorrenti non hanno indicato alcun nominativo di terzi, diversi dai proprietari e dal gestore, che abbiano usufruito dei servizi della struttura medesima.
Pertanto, a prescindere dall’esistenza, al momento della realizzazione dell’intervento edilizio, di norma urbanistica esplicitamente preclusiva del frazionamento, l’effettuazione di quest’ultimo, unitamente agli altri elementi sopra evidenziati, appare incompatibile con la destinazione impressa all’edificio”.
2.2. Il primo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.
2.3. Con il secondo ricorso per motivi aggiunti è stato impugnato il verbale 28 settembre 2007 prot. n. 10 della conferenza dei servizi e la relativa nota di comunicazione 23 ottobre 2007 prot. n. 48054, avente ad oggetto esito negativo di Conferenza dei Servizi per attivazione in sanatoria di R.T.A. in località Poverano, Viale Lungomare di Levante n. 101.
Tale ricorso è inammissibile.
Osserva il Collegio che, ai sensi del comma 6, prima parte, dell’art. 4 del prefato d. P. R. 447/98: “Il verbale recante le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi, che si pronuncia anche sulle osservazioni di cui al comma 4, tiene luogo del provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento e viene immediatamente comunicato, a cura dello sportello unico, al richiedente”.
Ciò farebbe pensare che non sia necessaria alcuna determinazione ulteriore, conclusiva del procedimento, da parte del S. U. A. P, circa l’istanza presentata dalla ricorrente.
Tale disposizione va tuttavia coordinata con la disciplina legislativa sopravvenuta, dettata riguardo alla conferenza dei servizi dalla legge generale sul procedimento amministrativo, in particolare risultante dal combinato disposto dei commi 6 bis (“All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede”) e 9 (“Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza”) dell’art. 14 ter della legge 241/90, commi rispettivamente aggiunti e sostituiti dall’art. 10 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.
Con il parlare di “provvedimento finale, conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis”, la legge 241/90 ha infatti distinto, logicamente e cronologicamente, i due momenti procedimentali, rispettivamente costituiti dall’adozione della determinazione conclusiva della conferenza dei servizi e dall’adozione del provvedimento finale, di competenza del responsabile del relativo procedimento, nell’ambito dell’ufficio o della struttura competente.
Al riguardo, la giurisprudenza ha condivisibilmente affermato che: “Alla luce del vigente quadro normativo in tema di conferenza di servizi, la nozione di determinazione conclusiva della conferenza di servizi non può essere sovrapposta a quella di determinazione conclusiva del procedimento, dal momento che, indipendentemente dall’esito della prima, non si verifica l’effetto di sottrarre al responsabile del procedimento la competenza all’emanazione dell’atto conclusivo della serie procedimentale” (T. A. R. Puglia Lecce, sez. II, 7 giugno 2005, n. 3131).
Alla luce delle considerazioni che precedono (cfr., TAR Campania, Salerno, sez. II, 24 settembre 2009 n. 5048) il responsabile del procedimento è quindi tenuto all’adozione della determinazione conclusiva del procedimento, originatosi a seguito della richiesta di titolo unico.
Il verbale contenente le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi va qualificato, pertanto, come atto endoprocedimentale, sprovvisto di autonoma lesività, con conseguente inammissibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti.
2.4. Il secondo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, dichiarato inammissibile.
2.5. Con il terzo ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti hanno impugnato la determinazione dirigenziale del Comune di Massa 14 gennaio 2008 n. 129, avente ad oggetto “ordinanza di rimessa in pristino opere abusive in Via Lungomare di Levante Ditta Fam. Cov.”, nonché, all’occorrenza, l’art. 7 delle NTA della variante al P.R.G. finalizzata al Recupero delle Strutture ricettive alberghiere approvata con deliberazione consiliare 6 dicembre 2006 n. 63.
Si può prescindere dall’esame della eccezione di irricevibilità del ricorso in questione per la parte in cui è volto ad impugnare il suindicato art. 7, sollevata dall’Amministrazione resistente, stante l’infondatezza del ricorso nel merito.
Con il primo dei motivi aggiunti viene censurato il provvedimento impugnato sotto il profilo della illegittimità derivata attesi i vizi che affliggerebbero il parere 11 luglio 2007 del Settore Urbanistica – Servizio Edilizia Privata e la relativa nota 13 luglio 2007 di comunicazione dello S.U.A.P. (impugnati con il primo ricorso per motivi aggiunti), nonché il verbale 28 settembre 2007 della conferenza di servizi e la nota 23 ottobre 2007 (impugnati con il secondo ricorso per motivi aggiunti).
La censura non ha pregio, stanti l’infondatezza del primo ricorso per motivi aggiunti e l’inammissibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti.
Con gli ulteriori motivi aggiunti viene dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per vizi propri, nonché l’illegittimità del succitato art. 7 delle N.T.A. della variante al P.R.G..
In particolare, con il secondo dei motivi aggiunti, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 134 della L.R. n. 1/2005 e degli artt. 34 e segg. della L.R. n. 42/2000, asserendo che “non è dato comprendere in che modo sia possibile dare esecuzione all’ordinanza comunale, provvedendo al ripristino della destinazione turistico-ricettiva”.
Buona parte delle argomentazioni formulate si fondano sul tentativo di sostenere che la società Doria avrebbe da sempre gestito unitariamente la residenza turistico alberghiera di cui trattasi, e che la sanatoria è stata richiesta per le sole opere edilizie e non per il contestato cambio di destinazione d’uso che si assume insussistente.
Si asserisce, poi, che la predetta società, “resasi conto” di essere sprovvista del titolo abilitativo all’esercizio di R.T.A., avrebbe presentato “apposita domanda unica allo Sportello Unico delle Attività Produttive ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 447/1998 per ottenere tale titolo”.
Non può che convenirsi con la difesa comunale nel ritenere che il motivo è palesemente infondato e pretestuoso.
In realtà, come emerge dalla ricostruzione innanzi esposta della vicenda per cui è causa, la doglianza è destituita di fondamento in punto di fatto, essendo comprovato che la società Doria – in stato di liquidazione dal 27 ottobre 2007 - non ha mai svolto alcuna attività di gestione unitaria della struttura ricettiva, e che la domanda unica presentata in data 22 gennaio 2007 dalla ricorrente allo S.U.A.P. per richiedere l’attestazione di conformità in sanatoria ai sensi dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005, non era finalizzata all’ottenimento del titolo abilitativo all’esercizio della struttura ricettiva.
Con il terzo dei motivi aggiunti, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 134 della L.R. n. 1/2005 e degli artt. 34 e segg. della L.R. n. 42/2000, difetto di presupposto, travisamento di fatto, illogicità, contraddittorietà, atipicità e perplessità, in quanto i requisiti funzionali che connotano le residenze turistico alberghiere e le differenziano dalle comuni residenze sono, ai sensi dell’art. 27 della L.R. n. 42/2000, la “offerta al pubblico” e la “gestione unitaria”, requisiti che non sarebbero per certo esclusi dalla vendita frazionata delle singole unità immobiliari, non essendo normativamente prescritta la proprietà unica del complesso immobiliare ricettivo (anzi, nel caso di specie, essendo espressamente consentita la vendita frazionata nell’atto unilaterale d’obbligo).
Anche tale motivo è infondato.
A riguardo non possono che richiamarsi le considerazioni già sviluppate sub 2.1., in relazione al terzo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti.
E’ appena il caso di aggiungere che risulta vano il tentativo dei ricorrenti di individuare nel richiamo operato dalla concessione edilizia n. 9806071 del 13 novembre 1998 al contenuto dell’atto unilaterale d’obbligo sottoscritto in data 2 febbraio 1998 il titolo abilitativo per un intervento di frazionamento.
Infatti, in tale atto unilaterale d’obbligo il titolare si impegnava, come si è visto, a realizzare un “Albergo Residenziale”, organizzando e mantenendo l’esercizio aziendale e garantendo la destinazione, nonché ad avviare l’esercizio dell’attività alberghiera astenendosi “per sé, successori o aventi causa, dal mutare la destinazione d’uso, per come concessa, dell’immobile in questione” e assicurando “l’unitarietà della gestione dell’intero complesso aziendale” anche nel caso di frazionamento del titolo di proprietà.
Risulta, pertanto, evidente che il frazionamento del titolo di proprietà viene contemplato come mera eventualità – condizionato, in ogni caso, come è ovvio, alla verifica della sua concreta fattibilità, alla luce della normativa vigente – e che non è ipotizzabile un legittimo frazionamento disgiunto dalla apertura del bene al pubblico e dalla unitarietà della gestione dell’intero complesso aziendale indispensabili perché venga garantita la destinazione d’uso ad Albergo Residenziale.
Pertanto, considerato che l’Albergo Residenziale non è mai stato attivato nel complesso immobiliare de quo, l’intervenuto frazionamento non può ritenersi in alcun modo compatibile con la destinazione impressa all’edificio.
A ciò si aggiunga che – come evidenziato nel provvedimento impugnato – il frazionamento delle singole unità abitative deve ritenersi ricompreso nella categoria della ristrutturazione edilizia, con la conseguenza che sarebbe stato comunque necessario un idoneo titolo abilitativo che, nella specie, non è mai stato rilasciato.
Né potrebbe allo stato essere rilasciato, ostandovi l’art. 7 delle N.T.A. della variante al P.R.G. finalizzata al recupero delle strutture turistico ricettive, approvata con deliberazione del Consiglio Comunale n. 63 del 6 dicembre 2006.
Tale disposizione – della quale questa Sezione, con la richiamata sentenza n. 119 del 29 gennaio 2009, ha condivisibilmente riconosciuto la legittimità sotto i medesimi profili denunciati in questa sede con il quarto dei motivi aggiunti (violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione) – non impedisce il trasferimento per quota di proprietà indivisa, ma vieta, come si è visto, per le residenze turistico alberghiere – facendo puntuale applicazione dei contenuti propri della destinazione a residenza turistico alberghiera, indicati nell’art. 27 della L.R. n. 42/2000 (gestione unitaria della struttura, e apertura al pubblico della stessa), così come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, alla quale il Collegio aderisce pienamente, richiamata sub 2.1., in relazione al terzo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti - il frazionamento della proprietà in molteplici unità abitative e impone la categoria catastale D2, ponendo così un preciso vincolo urbanistico-edilizio teso a garantire la conservazione dei requisiti essenziali della R.T.A. sopra evidenziati, mirando ad evitare che il conferimento dei singoli beni alla gestione unitaria alberghiera sia rimesso all’arbitrio dei rispettivi acquirenti.
Né può fondatamente replicarsi che il citato art. 7 sarebbe una normativa sopravvenuta ai titoli edilizi del 1994 e del 1998 nonché al contestato accatastamento ed alla alienazione delle unità abitative a FAM.COV. s.a.s. avvenuta nel 1999, accatastamento e alienazione che, secondo la tesi amministrativa, avrebbero comportato l’abusivo frazionamento della R.T.A..
L’obiezione non coglie nel segno in quanto la specifica destinazione è stata impressa all’immobile proprio con i titoli edilizi invocati dai ricorrenti, e un frazionamento della R.T.A. disgiunto, giova ripetersi, da una gestione unitaria della struttura e da un’offerta al pubblico dell’immobile, risulta incompatibile con la destinazione impressa all’edificio e si traduce in un abusivo mutamento di destinazione d’uso conseguente ad una trasformazione dell’immobile in un organismo completamente diverso da quello assentito.
Su tali presupposti non si può, pertanto, utilmente invocare l’inapplicabilità di una norma sopravvenuta.
Con il quinto dei motivi aggiunti, si assume che la determinazione dirigenziale 14 gennaio 2008 e l’art. 7 della variante – laddove affermano che è presupposto necessario di una R.T.A. l’accatastamento nella categoria D2 – sarebbero inoltre illegittimi in quanto non spetterebbe al Comune (bensì all’Agenzia del Demanio) stabilire la categoria di accastamento di un immobile (difetto di potere), e non vi sarebbe nessuna connessione tra la disciplina catastale e la disciplina edilizia ed urbanistica (difetto di presupposto).
La doglianza non ha pregio, atteso che il diverso accatastamento è un atto meramente consequenziale del ripristino della originaria destinazione d’uso abusivamente mutata.
Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 134, comma 2, della L.R. n. 1/2005, difetto di istruttoria, difetto di presupposto, atipicità del provvedimento amministrativo, sull’assunto che l’Amministrazione non potrebbe ordinare al privato di accatastare la propria unità abitativa nella categoria D2, né di ripristinare l’unicità ed indivisibilità della unità immobiliare (ciò che sarebbe possibile fare solo con la alienazione di tutte le unità immobiliari alla dante causa), posto che non esisterebbe una norma di legge che le conferisca tale potere.
Con il settimo motivo di ricorso, i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. 79, 134 e 135 della L.R. n. 1/2005.
Con esso i ricorrenti ritengono di poter circoscrivere l’oggetto delle contestazioni agli stessi mosse ai soli aspetti prettamente edilizi, pretendendo di ricondurre gli abusi contestati alla categoria della manutenzione straordinaria.
Le censure di cui al sesto e al settimo motivo di ricorso, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
Invero, come già evidenziato, l’immobile de quo è stato oggetto di una complessa operazione comprendente attività di carattere edilizio e negoziale che, in una visione complessiva della vicenda, ha comportato la trasformazione dell’immobile in un organismo completamente diverso da quello assentito, con ciò integrando gli estremi della ristrutturazione edilizia senza titolo.
Il fondamento normativo del potere esercitato dall’Amministrazione nel caso di specie va ricercato, pertanto, nell’art. 134 della L.R. n. 1/2005, nonché nel succitato art. 7 delle N.T.A. della variante al P.R.G. che è meramente applicativo, come innanzi precisato, dell’art. 27 della L.R. n. 42/2000 correttamente interpretato (oltreché nell’art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004, richiamato nel provvedimento impugnato).
Ne consegue che il ripristino della originaria destinazione d’uso abusivamente mutata non può che passare attraverso il ripristino dell’unicità ed indivisibilità della unità immobiliare (ferma restando la possibilità di effettuare dei trasferimenti per quota di proprietà indivisa) e l’accatastamento dell’immobile nella categoria D2.
Dalle considerazioni innanzi esposte discende l’inconferenza del primo profilo di doglianza di cui all’ottavo dei motivi aggiunti, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 79, 134 e 135 della L.R. n. 1/2005 sul presupposto che il mero cambiamento d’uso senza opere, quale quello del caso che ci occupa, sarebbe effettuabile senza titolo e quindi non sarebbe sanzionabile, non avendo il Comune di Massa provveduto a dettare la disciplina delle localizzazioni e delle funzioni di cui all’art. 58 della L.R. n. 1/2005.
Ugualmente inconferente è l’ulteriore profilo di doglianza del medesimo motivo aggiunto, con il quale si sostiene che l’atto unilaterale d’obbligo del 2 febbraio 1998, l’unica fonte da cui discenderebbe l’obbligo del mantenimento della destinazione d’uso ricettiva, avrebbe natura meramente privatistica e pertanto l’adempimento dello stesso sarebbe incoercibile con i poteri sanzionatori pubblicistici della P.A…
In realtà, come già detto, la specifica destinazione è stata impressa all’immobile con le concessioni edilizie; pertanto, ogni diversa destinazione comporta un abuso sanzionabile dall’Amministrazione, secondo le previsioni della L.R. n. 1/2005.
Né possono trarsi argomenti favorevoli dalla circostanza che l’impegno assunto dall’originaria concessionaria e dante causa della ricorrente, la società Fedo s.r.l., a mantenere la destinazione turistico ricettiva per dieci anni, sarebbe scaduto il 2 febbraio 2008.
Infatti, i ricorrenti non possono pretendere in alcun modo di giovarsi della scadenza del suindicato termine decennale, dovendosi ritenere – come correttamente sottolineato dal Comune di Massa nelle proprie memorie difensive – che lo stesso non abbia mai iniziato a decorrere a causa della mancata attivazione ab origine della gestione turistico ricettiva unitaria della R.T.A. Doria.
Appare, infine, inconferente il richiamo alla destinazione di zona in cui ricade il fabbricato secondo il vigente P.R.G..
Infatti, come si desume dalla cartografia del P.R.G., l’intervento è ricompreso in zona “residenziale satura” in cui, secondo l’art. 24 delle N.T.A., sono fatte salve le destinazioni d’uso esistenti.
Con il nono dei motivi aggiunti, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 134, comma 2, L.R. n. 1/2005, difetto di istruttoria e difetto di presupposto, in quanto, anche nell’ipotesi che il frazionamento catastale e l’alienazione separata delle unità immobiliari fossero ascrivibili alla ristrutturazione edilizia, l’Amministrazione, verificato che il ripristino dello stato dei luoghi non era possibile, attesa l’impossibilità che l’unicità del complesso immobiliare venisse ripristinata, presupponendo la alienazione di tutte le unità abitative del complesso ad un unico soggetto (mentre la ricorrente è proprietaria solo di alcune delle attuali unità abitative del complesso Doria), avrebbe dovuto irrogare una sanzione pecuniaria.
La censura non può essere condivisa.
La destinazione di zona dell’area su cui insiste l’immobile per cui è causa (“residenziale satura”) confligge insanabilmente con l’abusivo mutamento di destinazione d’uso della R.T.A., imponendo all’Amministrazione l’adozione della sanzione ripristinatoria, senza che la stessa possa farsi carico dell’individuazione delle soluzioni tecnico-legali necessarie per ripristinare la destinazione d’uso originaria.
Con il decimo dei motivi aggiunti, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004, in quanto il Comune avrebbe dovuto, anziché ordinare il ripristino, attivare il procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica disciplinato dalla suddetta norma.
La censura non ha pregio, atteso che l’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere elencate al comma 4 dell’art. 167 sopra richiamato può essere effettuato solo a seguito di presentazione di apposita domanda da parte del proprietario, possessore o detentore dell’immobile interessato, come previsto al comma 5 dello stesso articolo.
2.6. Il terzo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.
3. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana - Sezione I, definitivamente pronunciandosi in ordine al ricorso n. 362/07 indicato in epigrafe e sui relativi ricorsi per motivi aggiunti, così decide:
- dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale;
- respinge il primo ricorso per motivi aggiunti;
- dichiara inammissibile il secondo ricorso per motivi aggiunti;
- respinge il terzo ricorso per motivi aggiunti.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e C.P.A..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall`autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2010 con l`intervento dei Magistrati:
Angela Radesi, Presidente
Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore
Gianluca Bellucci, Consigliere

L`ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/11/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO



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