Nato con tanti buoni auspici grazie al governo Draghi il PNRR-PNC, attuato in Italia con D.L. 31/05/21 n.77 , in attuazione del Next Generation Eu-Italia-Risorse U.E. 2021-2027-Fondi strutturali-rafforzamento Recovery Plan, si articola in 6 Missioni, 16 Componenti, 151 Investimenti, 63 Riforme. Il Consiglio europeo in data 13 luglio 2021 ha messo a disposizione dell’Italia dall’UE 191,5 mld di euro ,di cui 68,9 mld finanziati da sovvenzioni a fondo perduto (cd. grants) e 122,6 mld finanziati tramite prestiti (cd. loans), la Commissione Europea, a seguito di valutazione positiva, ha erogato al nostro Paese 21 mld a titolo di prefinanziamento di cui 10 mld di sovvenzioni (a fondo perduto) e 11 mld di prestito.
In realtà, l’Italia è stato l’unico Paese Europeo che, oltre a prendere i soldi a fondo perduto, come gli altri, ne ha presi anche però una gran parte “a prestito”, che però le future generazioni, i nostri figli e nipoti, dovranno restituire all’U.E. Ciò è stato fatto nella speranza che questi soldi riuscissero a rimettere in moto l’economia, il mattone si dice è il motore dell’economia, in un’economia così depressa come è quella in Italia e contribuissero ad aumentare così il Pil del nostro Paese che è tra i più bassi in Europa.
Ma il timore di non riuscire a restituire in futuro questi fondi e lo spauracchio della Grecia è sempre presente davanti ai nostri occhi. Intanto però già adesso si sconta un ritardo nella spesa di quanto era stato invece previsto per il 2022.
I principi dell’innovazione tecnologica, la cd. transizione digitale, della transizione verde, la cd. transizione ecologica in favore delle fonti energetiche cd rinnovabili per affrancarsi così dapprima gradualmente e poi sempre più, definitivamente, dalle fonti fossili inquinanti sono aspirazioni molto altisonanti (a parole), tuttavia si scontrano con la realtà dei fatti, contro interessi economici forti delle società, le cd lobbies, che si arricchiscono grazie a queste risorse, e che sono presenti anche all’interno dei palazzi del potere e che “ remano contro” e contro mentalità ancora troppo radicate in senso contrario e dure a morire. È senz’altro positivo anche favorire la costruzione di nuove infrastrutture (ferroviarie) per una mobilità sostenibile , favorire l’istruzione e la ricerca , per la crescita culturale del Paese, nonché la coesione e l’inclusione per non lasciare indietro i più bisognosi e la salute (art 32 Cost.) come diritto soggettivo universale,non riservato a pochi.
Le tanto auspicate e decantate semplificazioni amministrativo-burocratiche (siamo arrivati, per semplificare le procedure, al D.L. semplificazioni cd- quater e questo è emblematico), il D. L. 32/2019 cd. sblocca cantieri, la L. 55/19, il D.L.76/20 conv. in L.120/20 e il D.L.77/21 conv. in L. 108/21, semplificano in realtà solo in parte e, se poi al contempo si richiedono requisiti ferrei e stringenti per le procedure di affidamento e per accedere ai relativi fondi.
L’unica soluzione per rispettare le milestone e i target previsti per l’attuazione del PNRR sarebbe applicare direttamente i regolamenti comunitari, che prevedono procedure più snelle ed agili rispetto a quelle nazionali, perché la normativa nazionale interna (per il codice degli appalti, D. Lgs. n.50/2016 c’è una proposta di modifica in ottica di semplificazione), è ancora troppo complessa e farraginosa. In realtà non corrisponde al vero che procedure e norme chiare e semplici favoriscano la corruzione ed il malaffare, anzi al contrario è una normativa complessa e formalistica di matrice kelseniana a favorire la commissione e l’occultamento degli abusi. Nella gerarchia delle fonti infatti il regolamento comunitario è direttamente applicabile negli Stati membri e non necessita di normativa nazionale interna di recepimento, al contrario delle direttive, ma il nostro Parlamento/Governo per timore di perdere una parte della propria sovranità in materia legislativa non resiste alla tentazione di voler a tutti i costi normare e fare da tramite o intermediario rispetto alla normativa comunitaria (che al contrario di quella nazionale predilige la sostanza alla forma)
La magistratura, dal canto suo, non aiuta certo in tal senso , le prime pronunce dei giudici amministrative sono emblematiche di una mentalità pregressa dura a morire, stante anche l’elevato tasso di litigiosità degli italiani nel voler sempre e comunque proporre ricorso per qualunque cosa. Occorre in tal senso attuare un cambio di passo e di mentalità per realizzare (tecnicamente si dice “mettere a terra”) progetti in un arco temporale ristretto ( dal 2021 al 2026), per cui invece negli anni passati occorreva almeno il doppio del tempo, se tutto andava bene. È necessario negli enti pubblici collaborare tutti insieme, con spirito di sacrificio e lavoro di squadra, per “portare a casa il risultato” e non continuare invece a ragionare con la mentalità ormai anacronistica degli impiegati degli uffici pubblici, meri burocrati e chiusi in “compartimenti stagno”, per cui ognuno si limita a fare solo ed esclusivamente ciò per cui è stato assunto, che rientra nelle proprie competenze ed in quelle del proprio ufficio, senza interessarsi per nulla di ciò che fanno gli altri. Occorre avere in tal senso un bagaglio culturale multi/interdisciplinare e trasversale.
I principi comunitari alla base del Pnrr vogliono favorire in particolare, tra le altre cose sopracitate, in Italia la “coesione territoriale” nord/sud, eliminando del tutto i divari territoriali. Tuttavia finora i Comuni maggiormente favoriti sono stati i Comuni del nord, maggiormente strutturati in termini economici,di personale e di mezzi.
La riserva del 40% delle risorse in favore dei Comuni del Sud è “a parole e sulla carta”, ma non prevede strumenti giuridici cogenti per farla rispettare. Il timore è che il Pnrr, anziché favorire la coesione, la omogeneizzazione dei Comuni nel territorio nazionale, si trasformi invece in uno strumento che accentui ancora di più le differenze tra i Comuni più grandi, virtuosi e strutturati (quelli del nord) rispetto a quelli più piccoli, meno virtuosi e meno strutturati in termini di risorse finanziarie, umane e strumentali (quelli del sud). Nei fatti, solo i Comuni con il personale in grado di fare i progetti, o che avevano i progetti già pronti da anni nei cassetti (per vari motivi non realizzati), riescono ad accedere ai fondi, quelli più piccoli invece possono assumere il personale tecnico necessario solo una volta approvati i progetti, rendicontandone le spese nei relativi quadri economici, mentre avrebbero bisogno di questo personale già “a monte”, proprio per redigere e predisporre i progetti.
Ad esempio: soltanto i Comuni più grandi hanno i piani urbanistici-paesaggistico-territoriali aggiornati per poter accedere ai fondi. I mille esperti assunti a livello centrale dovrebbero aiutare invece i Comuni più piccoli e in maggiori difficoltà. Un Sindaco di un Comune del Nord ha infatti già fatto una proposta: ”Se i Comuni del Sud non sono in grado di spendere i fondi del Pnrr, dateli a noi che sappiamo come spenderli”. I Ministeri, per attuare i controlli sul Pnrr, hanno incrementato i propri organici di tutto il personale che potevano assumere, la stessa cosa invece non è avvenuta per i Comuni. Dal 1 gennaio 2027 i Soggetti titolari dei progetti (le Amministrazioni Centrali) potranno stabilizzare il personale assunto a tempo determinato per il Pnrr, mentre una sorte diversa è riservata alla stessa categoria di personale invece assunta dai Comuni, figlia di un Dio minore, che dovrà, per essere stabilizzata (assunta a tempo indeterminato), sostenere un nuovo concorso pubblico con la sola riserva del 40% dei posti disponibili. Ma da qui a cinque anni nei Comuni già sotto organico andranno in pensione migliaia di impiegati e allora si replicherà lo stesso problema attuale.
Per vincere la cd “amministrazione difensiva”, o paura della firma dei dirigenti/funzionari/responsabili dei servizi nei Comuni, è previsto che gli stessi rispondano solo in caso di dolo o colpa grave.
Le procedure di affidamento per lavori/servizi e forniture per importi più modesti prediligono lo strumento dell’ affidamento diretto, per importi più elevati è prevista invece una procedura negoziata, con o senza pubblicazione di un bando di gara, con invito, a seconda dei casi, ad almeno 5 o 10 operatori economici,nel rispetto del principio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche della diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, individuate in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici,assicurando così il rispetto dei principi della libera concorrenza,pubblicità e trasparenza nonché della parità di trattamento degli operatori economici. Cosi ragionando, però ci troviamo di fronte ad un paradosso,un ossimoro, vale a dire che si utilizzano procedure e strumenti più agili e snelli, in quanto tali meno concorrenziali, per ragioni di necessità e urgenza, in una fase emergenziale che va fino al 30 giugno 2023, per dare attuazione a obiettivi e finalità comunitari che invece impongono sempre il rispetto di principi della massima concorrenza e parità di trattamento (par condicio) tra gli operatori economici e l’obbligatorio inserimento nei contratti delle cd.” clausole sociali “ ( favorire al massimo il rispetto della parità di genere uomo-donna e l’inserimento giovanile,sotto i 36 anni, nel mondo del lavoro e dei soggetti disabili). È inoltre previsto anche l’obbligo di riassorbimento di almeno il 70% del personale già impiegato, sia nel sopra che nel sotto soglia, vale a dire del personale dipendente del pregresso affidatario (cd. uscente), da parte del nuovo aggiudicatario (cd. entrante),assicurando pari condizioni contrattuali e continuità nella prestazione lavorativa. Tale principio deve essere inteso in senso comunitario, ma non in senso assoluto, ma in senso relativo, cioè la misura deve essere proporzionale e adeguata alle esigenze organizzative dell’appaltatore (o aggiudicatario entrante).
In particolare, non si comprende come sia possibile favorire l’inserimento giovanile, in specie delle PMI (piccole e medie imprese, che in Italia rappresentano la maggior parte di quelle esistenti (circa l’80%), quando invece la legge prevede espressamente l’esigenza che siano “ scelti soggetti in possesso di pregresse e documentate esperienze analoghe, anche individuati tra coloro che risultano iscritti in elenchi o albi istituiti dalla SA ( stazione appaltante), comunque nel rispetto del principio della rotazione”. Come se il semplice rispetto di quest’ultimo, di per sé, garantisse la libera concorrenza. Ma se la libera concorrenza non è rispettata a monte , come se ne può far discendere il relativo rispetto a valle, per effetto di una sorta di sanatoria con validità ed efficacia retroattiva (ex tunc)? Come se la rotazione riuscisse a sanare ex post un vizio che invece è ab origine (ex ante). In genere risultano vincitrici, nella stragrande maggioranza dei casi, sempre le stesse grandi società multinazionali (poche numericamente), che si aggiudicano le gare più rilevanti da un punto di vista economico, le sole in grado di garantire (per la disponibilità di ingenti risorse finanziarie, strumentali ed umane) così la probabilità di realizzazione con successo dell’opera. Contrastare questo strapotere, pare possibile, allo stato dell’arte, solo attraverso il ricorso agli strumenti del: RTI (raggruppamento temporaneo di imprese) e al subappalto, anche oltre i limiti previsti dalla legge ( stabiliti in misura così rilevante, soltanto in Italia, per prevenire e contrastare la corruzione e le infiltrazioni di tipo mafioso-criminale negli appalti pubblici. In caso di mancato rispetto della normativa, i soggetti di cui sopra rispondono per danno erariale per un “facere”, ma lo stesso vale anche in caso di omissione o inerzia. Tuttavia non nel caso in cui ciò si verifichi per impossibilità di tipo oggettivo (ad esempio per mancanza di personale tecnico necessario per la predisposizione di progetti molto complessi, nel caso di appalto di servizi di progettazione senza esito positivo o nel caso in cui non si trovino imprese disponibili ad effettuare i lavori perché già impegnate (ad es. nel bonus 110%) o perché non partecipanti alle gare (andate deserte), in quanto il loro margine di guadagno si è notevolmente ridotto a causa dell’aumento incontrollato dei prezzi dei materiali. In tal senso vale il brocardo latino:”Ad impossibilia nemo tenetur”(non imputabilità dell’inadempimento contrattuale per impossibilità oggettiva di fornire la prestazione.) Per gli affidamenti di maggior rilievo è necessario il ricorso a forme aggregate di committenza (CUC per i lavori per Comuni più piccoli e non capoluogo,MEPA per servizi e forniture, che si è visto, scoraggiano la proposizione di ricorsi al giudice amministrativo).
La mentalità di fondo che ha animato tutto il Pnrr è stata quella di accentrare tutto il più possibile a livello centrale dello Stato. Le Regioni sono state del tutto pretermesse dalla gestione dei relativi fondi. Il Ministero di riferimento, per il tramite del Mef, gestisce infatti i fondi e li eroga direttamente ai Comuni, in anticipazione la prima tranche e poi a rendicontazione dei Comuni per Sal, ove però il Comune sia in grado di anticipare con fondi propri. In caso contrario si procederà per sole anticipazioni (che vanno dal 10% normalmente, al 20-30% in casi eccezionali), ma il Comune dovrà pur sempre di volta in volta rendicontare le spese effettivamente sostenute, effettuate tramite documenti di spesa: fatture e mandati di pagamento quietanzati.
La verità è che non si fidano nemmeno dei Comuni, in spregio del principio di leale collaborazione istituzionale, del principio di presunzione di legittimità degli atti amministrativi e di buona fede.
In Italia è imperante la mentalità del sospetto e del controllo a ogni piè sospinto. È lo Stato Etico (hegeliano) paternalistico o Stato di polizia a dirti cosa puoi, ma più spesso cosa non puoi e non devi fare. Tu Comune non hai autonomia decisionale e di spesa. Sarebbe stato più semplice erogare direttamente i fondi ai Comuni che poi di volta in volta che spendevano, li rendicontavano al Ministero di riferimento e al Mef, con un controllo successivo, ex post e non ex ante.
Il rischio, almeno per i piccoli comuni, è che una volta realizzate queste grandi infrastrutture pubbliche, delle “cattedrali nel deserto” secondo alcuni, poi gli stessi Comuni non abbiano le risorse strumentali (umane e finanziarie) per farle funzionare, in quanto i fondi di cui trattasi sono destinati esclusivamente alla loro realizzazione e non anche al loro successivo e necessario funzionamento.
Il cd decentramento amministrativo e contabile è rimasto sulla carta, come i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, lettera morta, in favore invece di una concezione accentratrice ed autoritaria.
Bisogna poi sfatare la vulgata che circola secondo cui non si siano riuscite a reperire le professionalità necessarie all’attuazione del PNRR, tramite il concorso dei 2800 tecnici per i Comuni del Sud, perché si tratta di contratti poco appetibili, in quanto a tempo determinato. In realtà il numero delle domande presentate era rilevante, ma un concorso pubblico eccessivamente selettivo, ripetuto per ben due volte, non è riuscito a coprire tutti i posti messi a concorso.
Articolo di Marco Scipioni, esperto legale - giuridico- amministrativo per il PNRR presso il Comune Raiano (AQ).
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