di Giovanni G.A. Dato
Un ente locale ha richiesto un parere in ordine all’esatta portata e alla legittima «applicabilità/operatività» dell’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, come modificato dall’articolo 29, comma 4, della legge 448/2001. La questione è stata esaminata dalla deliberazione della Corte dei conti, Molise, n. 167/2016/PAR.
Il quadro normativo
La disposizione richiamata - secondo la deliberazione in commento - reca una battuta d’arresto nel processo di distinzione dei compiti tra gli organi di governo e l’apparato burocratico (che ha rappresentato un principio cardine delle riforme degli anni ‘90), in quanto consente, nella vigente formulazione, agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa e comunque salva la facoltà di affidare le competenze in esame ai segretari comunali, di adottare disposizioni regolamentari organizzative (anche di tipo derogatorio) attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo (assessori e sindaco) la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, la scelta di avvalersi della potestà derogatoria al principio di separazione dei poteri può avvenire in ambito locale anche in presenza di dipendenti appartenenti alla categoria D; sempre la giurisprudenza amministrativa ha qualificato la disposizione in esame “norma speciale e derogatoria”, rispetto sia al principio di separazione politica-amministrazione sancito dall’articolo 107 del Tuel sia all’articolo 84, comma 5, Dlgs n. 163/2006 (ex codice dei contratti pubblici).
La disciplina in esame, invero, ha l’evidente scopo di assicurare la necessaria funzionalità ai «Comuni-polvere», i cui organici sono privi di posizioni dirigenziali, permettendo loro di coprire le posizioni apicali all’interno della propria “micro-struttura” mediante ricorso ai componenti dell’organo di direzione politica, sì da favorire il contenimento della spesa e consentire soluzioni di ordine pratico.
La permanente vigenza della disciplina
Secondo la deliberazione in esame, data la natura speciale della norma in questione, la stessa risulta insuscettibile di abrogazione tacita o implicita da parte di una norma generale sopravvenuta, quale quella in materia di inconferibilità e incompatibilità recata dal Dlgs n. 39/2013 (come già sostenuto dall’ANCI nel parere del 18 settembre 2014).
Secondo la giurisprudenza contabile, inoltre, quello della separazione tra politica e amministrazione costituisce un principio fondamentale dell’organizzazione pubblica che - pur avendo un fondamento costituzionale - rimane di matrice legislativa ordinaria; esso, dunque, esprime uno dei possibili moduli organizzativi attraverso cui realizzare i principi di buon andamento e imparzialità fermo restando che il legislatore è libero di individuare modelli alternativi e diversi, che prevedono vari livelli di compenetrazione o separazione tra politica e gestione, salvo il limite costituzionale di ragionevolezza di tale scelte.
L’articolo 53, comma 23, Legge n. 388/2000 rappresenta, dunque,un caso paradigmatico in cui il legislatore, in presenza di un’esigenza ragionevole, costituzionalmente rilevante in quanto collegata al buon andamento della Pa, e segnatamente l’esigenza di contenere i bilanci nei Comuni di più modeste dimensioni, ha optato per un parziale ritorno alla commistione fra politica e amministrazione, il cui superamento ha invece rappresentato un principio cardine delle riforme nell’ultimo decennio del secolo scorso.
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