B. Albertazzi (Approfondimento 18/1/2011)
Documento senza titolo
Dopo le rilevanti modifiche introdotte dal decreto legislativo 4/2008, entrato in vigore il giorno 13 febbraio 2008, la parte quarta del Dlgs 152 del 2006 (a partire dall’art. 177) , recante norme in materia di “Gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”, è stata ulteriormente e radicalmente modificata dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 “Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre”, pubblicato sul Supplemento ordinario n. 269/L alla Gazzetta Ufficiale Serie generale - n. 288 del 10-12-2010, entrato in vigore il 25 dicembre 2010.
Come risulta già dal titolo del nuovo decreto, esso costituisce il recepimento, nell’ordinamento giuridico nazionale, della “Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 , relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”, il cui termine di recepimento da parte degli Stati membri è fissato al 12 dicembre 2010.
La Direttiva che è stata recepita dal d.lgs. 205/2010 possiede, a differenze delle previgenti, caratteri altamente innovativi sotto molti profili. E’ la Direttiva stessa ad affermare, nei propri “consideranda”, che: “8 - E`…necessario procedere a una revisione della direttiva 2006/12/CE per precisare alcuni concetti basilari come le definizioni di rifiuto, recupero e smaltimento, per rafforzare le misure da adottare per la prevenzione dei rifiuti, per introdurre un approccio che tenga conto dell`intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali, non soltanto della fase in cui diventano rifiuti, e per concentrare l`attenzione sulla riduzione degli impatti ambientali connessi alla produzione e alla gestione dei rifiuti, rafforzando in tal modo il valore economico di questi ultimi. Inoltre, si dovrebbe favorire il recupero dei rifiuti e l`utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali. Per esigenze di chiarezza e leggibilità, la direttiva 2006/12/CE dovrebbe essere abrogata e sostituita da una nuova direttiva.
9 - Poiché le principali operazioni di gestione dei rifiuti sono ormai disciplinate dalla normativa comunitaria in materia di ambiente, è importante che la presente direttiva si adegui a tale impostazione. L`accento posto sugli obiettivi ambientali stabiliti dall`articolo 174 del trattato porterebbe maggiormente l`attenzione sugli impatti ambientali connessi alla produzione e alla gestione dei rifiuti nel corso dell`intero ciclo di vita delle risorse. La base giuridica della presente direttiva dovrebbe pertanto essere l`articolo 175.
10 - Una regolamentazione efficace e coerente del trattamento dei rifiuti dovrebbe applicarsi, fatte salve talune eccezioni, ai beni mobili di cui il detentore si disfi o abbia l`intenzione o l`obbligo di disfarsi.”
Anche nel testo vigente il legislatore delegato ha affidato al Ministero dell’ambiente il compito di predisporre varie decine di decreti applicativi delle nuove norme in materia di rifiuti , sostitutivi delle precedenti norme applicative, le quali però rimangono transitoriamente in vigore fino alla loro effettiva sostituzione.
La nozione di rifiuto nella direttiva comunitaria
La normativa ambientale italiana, ed in particolare quella in materia di rifiuti è , come quella di tutti i Paesi membri della U.E., è di stretta derivazione comunitaria.
L’entrata in vigore della nuova direttiva quadro rifiuti, Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 , relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive,pubblicata sulla G.U.C.E. L. 312 del 22 novembre 2008, ha obbligato il legislatore nazionale ad adeguare le norme vigenti nel settore alle nuove norme comunitarie, soprattutto per quanto attiene ai concetti di “rifiuto”, “sottoprodotto” e “recupero”.
Nel diritto dell’ambiente, la nozione di rifiuto è una delle questioni più dibattute a livello sia giurisprudenziale che dottrinale. Ciò non vale solo per l’ordinamento italiano, ma anche per l’ordinamento di altri Stati membri e per il diritto comunitario. La definizione di rifiuto assume rilevanza sia nel caso in cui un residuo di produzione diventa rifiuto (cd. sottoprodotti), sia nel caso in cui un bene di consumo divenuto rifiuto cessa di essere tale a valle di determinate operazioni di recupero (cd. end of waste).
E’ la stessa Commissione europea ad osservare che l’“attuale definizione di “rifiuto” non fissa chiari confini rispetto al momento in cui un rifiuto è stato trattato adeguatamente e deve dunque essere considerato un prodotto. Si tratta di una situazione problematica, perché crea incertezza giuridica e genera costi amministrativi per le imprese e le autorità competenti. Può inoltre ingenerare divergenza di opinioni tra i vari Stati membri e perfino tra una regione e l’altra, con conseguenti problemi per il mercato interno. A ciò si aggiunge il fatto che sul mercato circolano materiali riciclati di scarsa qualità che creano difficoltà per i potenziali acquirenti e anche per i venditori coscienziosi.” (1)
La Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 , relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, stabilisce, nel proprio articolo 3 “Definizioni” che, ai fini della presente direttiva si intende per:
“1) "rifiuto" qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l`intenzione o l’obbligo di disfarsi”.
E’ assai evidente che, rispetto alle previgenti direttive, il legislatore comunitario ha, per la prima volta eliminato gli inutili riferimenti agli allegati che contenevano
a) un elenco generico delle categorie dei rifiuti;
b) un elenco armonizzato di rifiuti, che precisava immediatamente che “L`inclusione di un determinato materiale nell`elenco non significa tuttavia che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza. La classificazione del materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all`articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE”.
I riferimenti agli allegati non servivano affatto a meglio specificare la nozione di rifiuto, ma finivano invece per alimentare ulteriore confusione in proposito. Ciò era stato confermato anche dalla Sentenza Corte di Giustizia CE, Sesta Sezione 18 aprile 2002, proc. C-9/00, Palin Granit Oy 22.
“L`art. 1, lett. a), comma 1, della direttiva 75/442 definisce rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell`allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l`obbligo di disfarsi». L`allegato I della direttiva ed il CER specificano ed illustrano tale definizione, proponendo elenchi di sostanze ed oggetti che possono essere qualificati come rifiuti. Tali elenchi hanno tuttavia solo carattere indicativo e la qualificazione di rifiuti dipende soprattutto, come giustamente sottolinea la Commissione, dal comportamento del detentore, a seconda che egli voglia disfarsi o meno delle sostanze in oggetto. Di conseguenza l`ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi» (sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 26). 23.
Anche la nozione di rifiuto, comunitaria, oggi vigente continua ad essere imperniata sul significato del termine “disfarsi”. Tuttavia tale nozione viene circoscritta da due specifici articoli della direttiva e cioè dagli articoli 5 e 6, intitolati rispettivamente “Sottoprodotti” e “Cessazione della qualifica di rifiuto”, che non trovano riscontro nelle norme previgenti, ma che costituiscono il recepimento nelle norme comunitarie di almeno una parte dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia degli ultimi dieci anni, in materia di rifiuto e non rifiuto (soprattutto per quanto attiene alla nuova nozione di “sottoprodotto”).
Note
(1) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 21.12.2005, COM(2005) 666 def.
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