Alto Contrasto Reimposta
Iscriviti Area Riservata
Menu
Menu
Stemma

sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito aquiliano...

Pubblicato il 30/08/2010
Pubblicato in: Sentenze
devono, quindi, ritenersi sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito aquiliano, sotto la specie di danno da ritardo nell’attribuzione di un’utilitas sostanziale di rilevanza economica che l’Ater  avrebbe più tempestivamente conseguito in assenza del comportamento illegittimo dell’Amministrazione

il Collegio, in applicazione dell’art. 1226 cod. civ., ritiene congruo quantificare in euro centoventimila (oltre interessi e rivalutazione) il danno subito dall’ATER in conseguenza del ritardo illegittimamente serbato dall’Amministrazione comunale di Matera nella gestione della complessiva vicenda di causa.

una volta conseguita da parte dell’ATER (sia pure, con colpevole ritardo da parte dell’Amministrazione) l’effettiva disponibilità delle aree, si è determinata la reintegrazione nella posizione giuridica oggetto dell’originaria pretesa, con la conseguenza per cui la pretesa risarcitoria debba essere limitata alle conseguenze dannose del ritardo nell’attribuzione dell’utilitas originariamente richiesta.

Sotto il profilo generale, il complesso degli elementi sin qui rilevati induce a ritenere che gli atti illegittimi posti in essere dal Comune di Matera abbiano inizialmente frustrato il buon titolo dell’ATER a vedersi assegnare sin dal periodo immediatamente successivo alla rinuncia da parte della soc. le aree per la realizzazione dei 30 alloggi di E.R.P., così come a vedersi consegnare in effettiva disposizione le aree per la realizzazione dei 44 alloggi in edilizia sovvenzionata (risulta agli atti che le aree necessarie alla realizzazione dei complessivi 74 alloggi siano state consegnate all’ATER solo in data 17 febbraio 2006).

Il Collegio ritiene a questo punto di esaminare l’istanza risarcitoria articolata con il primo motivo di ricorso e meglio specificata nei suoi contorni con la memoria in data 1° aprile 2010 (la quale opera ampio rinvio ad un documento recante ‘osservazioni tecniche’ predisposto da un funzionario della stessa ATER).
Secondo l’appellante, la pronuncia in epigrafe risulterebbe erronea e meritevole di riforma per non avere rilevato che nel caso di specie sussistessero tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, fonte di obbligo risarcitorio.
Gli esatti contorni della pretesa risarcitoria avanzata dall’ATER vengono definiti con la memoria del 1° aprile 2010 la quale dà atto che, nelle more del giudizio, il Comune si sia comunque risolto ad assegnare all’appellante dotazioni fondiarie anche per i 30 alloggi di E.R.P. (delibera di G.M. n. 374 del 27 settembre 2005 e successivo verbale di consegna in data 17 febbraio 2006).
Nella tesi dell’appellante, tuttavia, tale tardivo adempimento non oblitererebbe l’esistenza di un danno ingiusto, riferibile alle seguenti voci: i) lesione e pregiudizio dei compiti istituzionali dell’Ente; ii) alea di perdita di contributi; iii) effetti ‘scalari’ prodotti sull’utenza; iv) incremento dei costi realizzativi; v) perdita (posticipazione) di ricavi (canoni locativi).
In particolare, l’ATER chiede che si proceda al ristoro:
1) del maggior valore dei suoli sia per i 30, sia per i 44 alloggi intempestivamente posti a disposizione dell’Ente;
2) della differenza fra il maggior valore del bene (anche per il personale utilizzatore) e l’eventuale minore remunerazione di legittimazione ablatoria ed indennitaria riconoscibile nel PEEP ‘L’Arco’;
3) del ristoro di ogni ulteriore pregiudizio subito e/o subendo dall’ATER, anche per ritardo, per danno sociale e istituzionale inconseguenza della ritardata messa a disposizione delle aree richieste;
4) delle spese generali e vive sostenute e subende, ivi comprese quelle “fiscali, contabili,legali, tecniche, consulenziali, processuali”;
5) delle spese progettuali, tecniche, contabili, fiscali, di partecipazione ai procedimenti di finanziamento ed amministrativi a tutt’oggi sostenute;
6) delle quote di ammortamento e deprezzamento dei beni non utilizzati, nonché della mancata percezione dei frutti civili e naturali (es.: canoni di locazione e proventi delle iniziative costruttive così differite e delle maggiori erigende abitazioni);
7) del danno emergente e del lucro cessante nelle iniziative candidate;
8) dei costi e delle diseconomie prodotti dal maggior prezzo sul mercato di aree di pari caratteristiche insediative, attrattive, costruttive e dotazioni di servizio, nonché dei maggiori costi necessari per infrastrutturazioni, urbanizzazioni e servizi;
9) dei più rilevanti oneri e prezzi costruttivi e tecnici in relazione all’epoca (posticipata) di realizzazione dell’iniziativa;
10) di ogni altra voce indennitaria e di danno ritenuta di giustizia.
Per quanto concerne, in particolare, la quantificazione del danno subito dall’ATER inconseguenza dell’attività illegittima del Comune, l’appellante fa rinvio ad un documento rubricato ‘osservazioni tecniche’ a firma di un proprio funzionario, secondo cui il ristoro del danno patrimoniale dovrebbe comprendere (inter alia):
11) i maggiori oneri e danni incrementali da lievitazione dei costi quale conseguenza del ritardo nella realizzazione dell’intervento. Sotto tale aspetto, il quantum del danno emergerebbe dall’aggiornamento dei ‘limiti di costo unitario al mq.’ approvati dalla Regione Basilicata per l’anno 2008 (in applicazione dei più aggiornati parametri regionali, il maggior costo di realizzazione dell’intervento in questione ammonterebbe ad euro 1.856.327,67 per i 44 alloggi di edilizia sovvenzionata e ad euro 592.985,60 per i 30 alloggi di E.R.P.);
12) il mancato (o ritardato) incameramento di spese tecniche di progettazione, che l’appellante quantifica in euro 229.311,79 per i 30 alloggi di E.R.P. e in euro 289.583,59 per i 44 alloggi di edilizia sovvenzionata;
13) i mancati introiti per i fitti che si sarebbero potuti percepire nei sedici mesi intercorrenti fra il luglio del 2004 (momento in cui l’opera sarebbe stata posta a reddito in assenza degli atti gravati) ed il novembre del 2006 (momento in cui l’opera – secondo le previsioni del 2004 – sarebbe stata effettivamente posta a reddito). Secondo i computi effettuati dall’ATER, tale ritardo avrebbe determinato un danno da mancata percezione di canoni quantificabile in euro 29.747,92 per i 30 alloggi di E.R.P. e in euro 46.357,17 per i 44 alloggi di edilizia sovvenzionata;
14) la maggiorazione dei costi per il nuovo intervento, da computarsi sulla base dei parametri di costo unitario per metro quadro approvati dalla Giunta regionale per il 2003 e ponendoli in comparazione con quelli per l’anno 2001. Applicando tali valori parametrici, emergerebbe un maggior costo totale pari ad euro 116.770,69 per i 30 alloggi di E.R.P. e ad euro 147.111,10 per i 44 alloggi di edilizia sovvenzionata.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

La domanda risarcitoria è parzialmente fondata, nei termini che seguono.
2.2.2. Sotto il profilo generale, il complesso degli elementi sin qui rilevati induce a ritenere che gli atti illegittimi posti in essere dal Comune di Matera abbiano inizialmente frustrato il buon titolo dell’ATER a vedersi assegnare sin dal periodo immediatamente successivo alla rinuncia da parte della soc. Deca le aree per la realizzazione dei 30 alloggi di E.R.P., così come a vedersi consegnare in effettiva disposizione le aree per la realizzazione dei 44 alloggi in edilizia sovvenzionata (risulta agli atti che le aree necessarie alla realizzazione dei complessivi 74 alloggi siano state consegnate all’ATER solo in data 17 febbraio 2006).
Appare, altresì, innegabile che i ritardi in questione (di cui è possibile tener conto ai fini risarcitori, trattandosi di ritardata attribuzione di una utilitas sostanziale la cui spettanza in capo al richiedente risulta accertata – Cons. Stato.Ad. Plen. 15 settembre 2005, n. 7 -) abbiano determinato in capo all’Azienda appellante un pregiudizio patrimoniale meritevole di ristoro.
Si osserva al riguardo che, una volta conseguita da parte dell’ATER (sia pure, con colpevole ritardo da parte dell’Amministrazione) l’effettiva disponibilità delle aree, si sia determinata la reintegrazione nella posizione giuridica oggetto dell’originaria pretesa, con la conseguenza per cui la pretesa risarcitoria debba essere limitata alle conseguenze dannose del ritardo nell’attribuzione dell’utilitas originariamente richiesta.
Per ciò che attiene l’individuazione dell’elemento psicologico della colpa il Collegio ritiene nel caso di specie di prestare puntuale adesione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di acclarata illegittimità dell’atto amministrativo asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio, per ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della fattispecie: al contrario, egli potrà invocare l’illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che non si è trattato di un errore scusabile. Spetterà a quel punto all’Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una fonte normativa, di formulazione incerta, di previsioni da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 3 giugno 2006, n. 3981; id., Sez. VI, sent. 9 marzo 2007, n. 1114).
Impostati in tal modo i termini della questione, il Collegio osserva che nel corso del giudizio non sia emersa alcuna delle richiamate circostanze astrattamente idonee ad escludere la sussistenza del requisito della colpa, dovendosi pertanto ritenere il carattere di inescusabilità della complessiva condotta nell’occasione posta in essere e la conseguente sussistenza del requisito della colpa ai fini risarcitori.
2.2.4. In base a quanto esposto infra, sub 2.2.2. e 2.2.3. devono, quindi, ritenersi sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito aquiliano, sotto la specie di danno da ritardo nell’attribuzione di un’utilitas sostanziale di rilevanza economica che l’appellante avrebbe più tempestivamente conseguito in assenza del comportamento illegittimo dell’Amministrazione.
Per ciò che attiene alla quantificazione del danno da riconoscere all’odierna appellante, il Collegio ritiene di fare applicazione della previsione di cui all’art. 1226 cod. civ., secondo cui quando il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.
Ai fini della quantificazione in concreto del danno da ristorare, il Collegio ritiene di prendere le mosse dall’indicazione delle poste risarcitorie dinanzi richiamate infra, sub 2.1. (numm. 1)-14)), operando tuttavia le decurtazioni rinvenienti dalle osservazioni che seguono:
- quanto alla voce dinanzi indicata sub 1), il Collegio osserva che l’incremento di valore subito dai suoli nelle more del ritardo nel loro conseguimento non costituisca di per sé una voce di danno autonomamente ed integralmente risarcibile, fatta salva la possibilità per l’ATER di dimostrare in concreto che il ritardo nella messa a disposizione dei suoli abbia determinato maggiori costi di acquisizione e realizzazione (sul punto, cfr. infra);
- quanto alla voce dinanzi indicata sub 2), il Collegio osserva che la domanda risarcitoria relativa alla “differenza fra il maggior valore del bene (anche per il personale utilizzatore) e l’eventuale minore remunerazione di legittimazione ablatoria ed indennitaria riconoscibile nel PEEP ‘L’Arco’” sia formulata in modo sostanzialmente generico e, comunque, ipotetico e non possa, quindi, essere presa in considerazione ai fini della concreta quantificazione del quantum risarcitorio;
- quanto alle voci dinanzi indicate sub 3), il Collegio osserva: i) che il ristoro del danno da ritardo (che, pure, deve essere nella specie riconosciuto) non può condurre a duplicazioni di poste risarcitorie, quali conseguirebbero dall’integrale accoglimento della richiesta nella specie avanzata. Un discorso del tutto analogo vale con riferimento alla pretesa risarcitoria relativa al ‘danno emergente e lucro cessante delle iniziative candidate’; ii) che il ‘danno sociale ed istituzionale’ conseguente alla mancata disponibilità delle aree non risulta nella specie dimostrato nelle sue singole componenti;
- quanto alle voci indicate sub 4) e 5), il Collegio osserva che il ristoro debba necessariamente essere limitato al quantum di spese generali fiscali, contabili, tecniche e consulenziali direttamente ed immediatamente riferibili alla ritardata messa a disposizione delle aree (un discorso in tutto analogo deve essere operato con riferimento alle spese progettuali, tecniche, contabili e di partecipazione ai procedimenti di finanziamento ed amministrativi), laddove è evidente che la stragrande maggioranza di tali spese sarebbe stata comunque sostenuta anche in assenza del ritardo dell’iniziativa imputabile all’Amministrazione. Per quanto concerne, poi, il ristoro delle spese legali, la relativa voce trova una più adeguata sedes compositiva nell’ambito della pronuncia alle spese di lite di cui all’art. 91, c.p.c. (sul punto, cfr. infra);
- quanto alle voci dinanzi richiamate sub 8) e 10), il Collegio osserva che le relative istanze non possano trovare accoglimento, atteso il carattere obiettivamente generico della domanda risarcitoria in tale occasione proposta;
- quanto ai maggiori costi di costruzione dinanzi richiamati sub 11) e 14), il Collegio ritiene che le quantificazioni presuntivamente proposte dall’ATER sulla scorta dei pertinenti parametri approvati dalla Regione Basilicata debbano essere congruamente ridotte in considerazione del fatto che i parametri in questione rappresentano meri ‘limiti di costo’ e che l’appellante non ha fornito la prova in concreto di aver sostento costi attestati sul livello più alto indicato dalla Regione;
- quanto alla voce dinanzi richiamata sub 12), il Collegio osserva che, venendo in rilievo il mero ritardo nell’incameramento delle spese tecniche di progettazione, non è possibile far coincidere il quantum risarcitorio con l’importo delle spese medesime. Pertanto, l’importo richiesto dovrà essere congruamente ridotto.
In base a quanto sin qui esposto il Collegio, in applicazione dell’art. 1226 cod. civ., ritiene congruo quantificare in euro centoventimila (oltre interessi e rivalutazione) il danno subito dall’ATER in conseguenza del ritardo illegittimamente serbato dall’Amministrazione comunale di Matera nella gestione della complessiva vicenda di causa.

Si legga anche

L’ errore scusabile è  configurabile, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata: si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell'errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione

Il Consiglio di Stato con la decisione numero 3981 del 23  giugno 2006 ci offre alcuni importanti spunti di riflessione in tema di responsabilità della pubblica amministrazione:

<le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria possono essere parimenti soddisfatte restando all'interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell'illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, utilizzando, per la verifica dell'elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt.2727 e 2729 c.c

Fermo restando l’inquadramento della maggior parte di fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all’interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio, sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.

     Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

     Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata>

Inoltre, andando al di fuori dei confini italiani e spaziando in europa, il Supremo giudice Amministrativo ci fa notare che:

<Inoltre, va considerato che la stessa Corte di Giustizia, pur non facendo riferimento alla nozione di colpa della p.a., utilizza, a fini risarcitori, il criterio della manifesta e grave violazione del diritto comunitario, sulla base degli stessi elementi, descritti in precedenza e utilizzati nel nostro ordinamento per la configurabilità dell’errore scusabile (Corte Giust. CE, 5 marzo 1996, C- 46 e 48/93, Brasserie du Pecheur, in cui, al punto 78, viene riconosciuto che alcuni degli elementi indicati per valutare se vi sia violazione manifesta e grave sono riconducibili alla nozione di colpa nell'ambito degli ordinamenti giuridici nazionali).>

§§§§§§§§§§§§§§§

L’annullamento dell’aggiudicazione non è satisfattivo della pretesa della ricorrente, in quanto, come da questa dedotta e non contestato, i lavori in questione sono stati eseguiti dall’A.T.I. aggiudicataria o comunque si trovano in uno stato che non consente il subentro di altra impresa.

In accoglimento del motivo di appello, deve, quindi, ritenersi che l’aggiudicazione della gara sia illegittima, in quanto le A.T.I. classificate ai primi due posti della graduatoria dovevano essere escluse per il mancato possesso in capo alle imprese mandati della necessaria attestazione SOA per la categoria prevalente OS25.

Deve, quindi, essere esaminata la domanda di risarcimento del danno, riproposta in appello.
Con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, questa Sezione ha già aderito a quell’orientamento favorevole a restare all'interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell'illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, (Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006 n. 3981; 9 novembre 2006 n. 6607; IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500).
Sotto il profilo dell’elemento oggettivo dell’illecito, si rileva che la ricorrente ha dimostrato che, in assenza dell’illegittimità commessa dall’amministrazione, avrebbe ottenuto l’aggiudicazione dell’appalto, in quanto le uniche due A.T.I., che la precedevano in graduatoria, avrebbero dovuto essere escluse.
Sussiste, dunque, il danno per non aver potuto eseguire i lavori e non aver tratto il relativo utile di impresa e tale danno si pone in rapporto di diretta causalità con la accertata illegittimità.
Per quanto concerne, l’elemento soggettivo, sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, va ribadito che non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della p.a... Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione peri danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.
Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile

Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
 Si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell'errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.
Spetta, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la configurabilità concreta della colpa, che spetta poi all'amministrazione superare; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.
Va, infine, precisato che alcun elemento contrario alla effettuata ricostruzione della nozione di colpa della p.a. può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria.
Con una recente sentenza la Corte di Giustizia ha sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei soggetti lesi in seguito alle violazioni del diritto comunitario che regolano la materia dei pubblici appalti alla allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico siano stati commessi colposamente o dolosamente (Corte Giust., 14 ottobre 2004, C-275/03).
Tuttavia, tale decisione appare riferirsi all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.a. e non alla esigenza di accertare la responsabilità, prescindendo dalla colpa dell’amministrazione
Come illustrato, nell’ordinamento italiano la possibilità per il privato danneggiato di utilizzare presunzioni pone sostanzialmente a carico della p.a. l’onere di dimostrare l’esistenza di un errore scusabile, senza alcuna lesione, quindi, dei principi comunitari.
Inoltre, va considerato che la stessa Corte di Giustizia, pur non facendo riferimento alla nozione di colpa della p.a., utilizza, a fini risarcitori, il criterio della manifesta e grave violazione del diritto comunitario, sulla base degli stessi elementi, descritti in precedenza e utilizzati nel nostro ordinamento per la configurabilità dell’errore scusabile (Corte Giust. CE, 5 marzo 1996, C- 46 e 48/93, Brasserie du Pecheur, in cui, al punto 78, viene riconosciuto che alcuni degli elementi indicati per valutare se vi sia violazione manifesta e grave sono riconducibili alla nozione di colpa nell'ambito degli ordinamenti giuridici nazionali).

Merita di essere segnalata la decisione numero 1114 del  9 marzo 2007 emessa dal Consiglio di Stato ed in particolare il seguente passaggio:

< Precisata la nozione di colpa della p.a., si tratta ora di applicare i suesposti principi alla fattispecie in esame.

     Nel caso di specie, l’amministrazione ha ammesso alla procedura due A.T.I., che non avevano i requisiti per partecipare, violando lo stesso bando da lei predisposto.

     Né può essere invocata la poca chiarezza della lex specialis, in quanto questa è stata appunto approvata dalla stessa amministrazione.

     Va, infine, evidenziato che non esclude la colpa la circostanza che il giudice di primo grado abbia dato ragione all'amministrazione con decisione ribaltata in appello, in quanto anche il Tar può incorrere in errore (come nel caso di specie, causa l’erronea applicazione dell’art. 28 del d.P.R. n. 34/00) e comunque non appare ragionevole dare rilevanza ad un fatto successivo a quello che ha generato l'illecito; aderendo a tale impostazione, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi del giudizio, finendo il giudizio di primo grado ad essere quello decisivo.

     Si è trattato, quindi, di un evidente errore, che in alcun modo può essere ritenuto scusabile e ciò conduce a ritenere sussistente l’elemento della colpa dell’amministrazione appellata.

     3.3. Sotto il profilo della quantificazione del danno, la ricorrente ha indicato il criterio del 25 % dell’offerta presentata, quale mancato ammortamento delle spese generali di azienda (15 %) e mancato utile che l’impresa avrebbe tratto dall’aggiudicazione dell’appalto (10 %).

     Il criterio indicato non corrisponde a quello utilizzato dalla prevalente giurisprudenza (10 % dell’importo offerto dal ricorrente).

     Tuttavia, la giurisprudenza ha anche precisato che il danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito (10 %), solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile, (Cons. Stato, V, 24 ottobre 2002 n. 5860; VI, 9 novembre 2006 n. 6607).>
In applicazione di detto principio, il danno risarcibile deve essere ridotto al 5 % dell’importo offerto e corrisponde ad euro 27.727,95 (5 % di euro 544.559,19).

     Tale somma deve intendersi già  attualizzata e deve essere aumentata, in via equitativa, ad Euro 35.000,00 in considerazione dell’ulteriore danno, consistente nell’incidenza del mancato svolgimento del rapporto con la p.a. sui requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare (cfr., sempre, Cons. Stato, VI, 9 novembre 2006 n. 6607); l’aumento è in questo caso particolarmente rilevante, in considerazione della specificità dei lavori in questione e della difficoltà di svolgere lavori dello stesso tipo ai fini della formazione di una pregressa esperienza dell’impresa.
A cura di Sonia LAzzini

Riportiamo qui di seguito la decisione numero 4660 del 20 luglio 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato
 Allegati
Scarica


Utilità