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SONO DA CONSIDERARE i maggiori responsabili del risarcimento liquidato all’impresa

Pubblicato il 09/06/2010
Pubblicato in: Sentenze
In definitiva, quindi, nessun dubbio ha il Collegio circa la sottoposizione degli appellanti_PROGETTISTA E DIRETTORE DEI LAVORI_ alla giurisdizione della Corte dei conti: sicuramente SONO DA CONSIDERARE  i maggiori responsabili del risarcimento liquidato all’impresa per l’anomala conduzione dell’appalto.

Alla luce della ricostruzione cronologica della vicenda, appare infondata la tesi difensiva degli appellanti secondo cui la responsabilità dell’andamento anomalo dell’appalto è da addebitare all’impresa esecutrice. Quest’ultima, infatti, aveva adempiuto al proprio obbligo di predisporre i calcoli statici relativi alle strutture in c.a., come previsto dal Capitolato, ma è a causa delle carenze del progetto esecutivo che non è intervenuta la approvazione degli stessi da parte degli uffici competenti.

Appare, quindi, ininfluente la mancata valutazione da parte del giudice civile di tale elaborato, del quale l’impresa, quando decise di procedere alla risoluzione del contratto e ad ottenere il risarcimento del danno in conseguenza del lunghissimo lasso di tempo decorso senza potere svolgere alcun lavoro, non poteva comunaque fare alcun uso.

Da tutto quanto fin qui esposto, emerge con ogni evidenza la colpa grave dei due professionisti, che hanno svolto i loro incarichi in modo estremamente superficiale, con un comportamento caratterizzato da violazione di precise disposizioni di legge, da omissioni ed inficiato da scelte arbitrarie.

Nella fattispecie i due architetti hanno svolto tanto l'incarico di progettista che di direttore dei lavori. Inoltre, la domanda risarcitoria è relativa al complesso dell'attività professionale svolta e non soltanto a quella riferita alla progettazione, come dimostra la contestazione relativa alla consegna dei lavori, alla loro sospensione e ripresa nonché alla predisposizione della perizia di variante.

E’ pacificamente ammesso che il direttore dei lavori per la realizzazione di un'opera pubblica, in considerazione dei compiti e delle funzioni che gli sono devoluti che comportano l'esercizio di poteri autoritativi nei confronti dell'appaltatore e l'assunzione della veste di agente, deve ritenersi funzionalmente, anche se temporaneamente, inserito nell'apparato organizzativo della Pubblica Amministrazione che gli ha conferito l'incarico, quale organo tecnico e straordinario della stessa (vedi per tutte Cass. S.U. 23.3.2004, n. 5781). Diversamente avviene nei confronti del progettista di un'opera pubblica, in quanto non è ravvisabile un rapporto di servizio tra la stazione appaltante e tale progettista, il cui elaborato deve essere fatto proprio dall'amministrazione mediante specifica approvazione. Il rapporto tra il progettista e l'amministrazione conferente è ritenuto, pertanto, di natura meramente privatistica e deriva da un contratto d'opera professionale, che non importa l'inserimento del soggetto nell'organizzazione della amministrazione (cfr. Cass. n. 188/99).

Allorchè, invece la domanda è proposta nei confronti di un soggetto incaricato sia della progettazione che della direzione dei lavori ed investa l’intera attività posta in essere, non può giungersi alla scissione delle giurisdizioni, affermandosi quella del giudice ordinario per il danno causato nella qualità di progettista e quella del giudice contabile per il danno causato nella qualità di direttore dei lavori. Il cumulo dei due incarichi professionali di progettista e di direttore dei lavori nello stesso soggetto, infatti, dà luogo ad una complessiva attività professionale tanto che i doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori, sussistono già durante la progettazione, che così continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori, mentre i doveri di quest'ultima assorbono anche quelli del progettista (Cass. civ., Sez. Unite, 20/03/2008, n.7446).
Da tutto quanto fin qui esposto, emerge con ogni evidenza la colpa grave dei due professionisti, che hanno svolto i loro incarichi in modo estremamente superficiale, con un comportamento caratterizzato da violazione di precise disposizioni di legge, da omissioni ed inficiato da scelte arbitrarie.
Passando alla quantificazione del danno erariale, corrispondente al risarcimento liquidato in sede civile dalla Corte di appello di Palermo, la difesa dei due professionisti ne ha contestato l’ammontare richiesto, sostenendo che il Comune in quella sede non si sarebbe adeguatamente difeso. Invero, rileva il Collegio che le poste risarcitorie individuate nella sentenza sono una conseguenza dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di appalto e costituiscono l’esatto ammontare del danno subito dall’impresa, composto dalle spese sostenute, dal valore dei lavori eseguiti, dal mancato utile (10% delle opere ineseguite), dalle spese generali di cantiere, il tutto con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, oltre ovviamente la rifusione, per il principio della soccombenza legale, delle spese di entrambi i gradi di giudizio e di quelle successive di esecuzione.
Riconosciuto corrispondente al danno erariale quanto richiesto dal Procuratore regionale nell’atto di citazione, pari ad € 123.764,47, ritiene il Collegio sul punto di dovere parzialmente accogliere l’appello incidentale proposto dal Procuratore generale che ha impugnato il capo della sentenza con il quale è stata determinata a poco meno del 50% della somma sopra indicata, l’ammontare della condanna per i due professionisti
In proposito, questo giudice concorda sulla responsabilità concorrente di tutta la stazione appaltante, che avrebbe dovuto adottare provvedimenti idonei a sbloccare la situazione di stallo venutasi a creare o quanto meno a cercare di limitare i danni. Tuttavia, non può ritenersi che l’incidenza causale del comportamento dei due professionisti sulla produzione del danno possa essere ritenuta inferiore o pari a quella degli altri organi del Comune, dovendosi ritenere gli appellanti sicuramente i maggiori responsabili del risarcimento liquidato all’impresa per l’anomala conduzione dell’appalto.

Ritiene, allora, il Collegio che l’ammontare del danno addebitato agli architetti non possa essere inferiore al 60% dell’intero danno subito dal Comune, modificando così la condanna al pagamento della complessiva somma di € 74.258,00, comprensiva di rivalutazione monetaria, pari ad € 37.129,00 ciascuno.

A cura di Sonia LAzzini
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