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PER NON INCORRERE NELL’ESCUSSIONE DELLA CAUZIONE PROVVISORIA, NON SONO AMMESSE LE AUTOCERTIFICAZIONI

Pubblicato il 28/10/2010
Pubblicato in: Sentenze

PER NON INCORRERE NELL’ESCUSSIONE DELLA CAUZIONE PROVVISORIA, IL DOCUMENTI PER LA DIMOSTRAZIONE DEI REQUISITI SPECIALI DEVONO ESSERE CONSEGNATA IN ORIGINALE: NON SONO AMMESSE LE AUTOCERTIFICAZIONI

Il provvedimento di incameramento della cauzione provvisoria, così come la segnalazione all’Autorità di Vigilanza e le sanzioni di legge, sono legittimi, in quanto atti dovuti e vincolati al presupposto acclarato della causa di esclusione (conforme, ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, 17 maggio 2010 n° 1549) .

Sostiene il ricorrente che, in sede di verifica a campione, sarebbe possibile, per l’impresa partecipante ad una procedura di evidenza pubblica, autocertificare il possesso dei requisiti di qualificazione, ed in particolare, per quanto rileva in questa sede, il costo del personale.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

L’assunto è smentito dal quadro normativo vigente ratione temporis e, sul tema specifico, rimasto nella sostanza immutato anche dopo l’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici.
L’istituto della verifica a campione trova la sua disciplina generale nell’art. 71 del d.P.R. n° 445/2000, a tenore del quale “Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare controlli, anche a campione, in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47. I controlli riguardanti dichiarazioni sostitutive di certificazione sono effettuati dall’amministrazione procedente con le modalità di cui all’art. 43 consultando direttamente gli archivi dell’amministrazione certificante ovvero richiedendo alla medesima, anche attraverso strumenti informatici o telematici, conferma scritta di quanto dichiarato con le risultanze dei registri da questa custoditi”.
La ratio della norma, letta in combinato disposto con gli artt. 46 e 47 del medesimo testo unico, è quella, sì, di semplificare gli adempimenti procedurali a carico dei cittadini all’atto della presentazione di un’istanza alla P.A. (come si desume dall’inciso “anche contestuali all’istanza”, al primo comma dell’art. 46), ma, al contempo, di non inquinare la genuinità dei procedimenti amministrativi e dei loro esiti provvedimentali. Per tale ragione, l’art. 71 del d.P.R. n° 445/2000 prevede che, nel corso del procedimento, o a valle di esso, l’amministrazione controlli la veridicità di quanto autocertificato, attraverso accesso diretto ai dati contenuti in atti pubblici, certificati amministrativi e pubblici registri, non potendo, ad ogni evidenza, ritenersi soddisfatto un controllo legale attraverso la reiterazione dell’autodichiarazione a firma dello stesso originario dichiarante.
Nelle procedure ad evidenza pubblica, ferma l’ossatura dell’istituto generale sopra richiamato, il legislatore ha aggiunto alcune differenze specializzanti, tra cui la previsione dell’onere di documentare i requisiti di qualificazione in capo all’interessato, stante la normale disponibilità, da parte di quest’ultimo, dei dati da comprovare.
La giurisprudenza ha, peraltro, ritenuto, con orientamento indiscusso, che l’interpretazione degli oneri di verifica e prova dei requisiti soggettivi di qualificazione debba essere più restrittiva e rigorosa nel settore degli appalti pubblici rispetto al regime generale, stante l’interesse generale alla salvaguardia della trasparenza nell’attribuzione di benefici pubblici.
In particolare, per quanto attiene alla dimostrazione dei requisiti di capacità economico finanziaria, recenti pronunce hanno affermato l’infondatezza della pretesa di non condurre la verifica sulla scorta di documenti ufficiali, per la “non irragionevole esigenza di attribuire rilievo ad elementi certi, desumibili da dati certi, definitivi e dimostrabili, in congruenza con l’esigenza di assicurare la piena attendibilità delle indicazioni fornite in ordine ad un requisito di partecipazione alla procedura” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 17 maggio 2010 n° 1524).
Una simile esigenza assume un significato ancora più pregnante in materia di organico medio annuo e di costo del lavoro, dove la necessità di fornire una dimostrazione mediante documentazione avente valore legale, proveniente da soggetti muniti di poteri certificativi, appare fondata sull’interesse pubblico ad escludere dalla competizione concorsuale operatori che potrebbero sfruttare condizioni non virtuose del mercato del lavoro, sotto il profilo della regolare assunzione dei dipendenti, per ottenere vantaggi concorrenziali a scapito dei diritti dei lavoratori, delle garanzie di affidabilità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa necessarie per la corretta esecuzione dell’appalto pubblico, con correlativa distorsione della leale concorrenza tra operatori economici.
Per tutte le superiori argomentazioni, dev’essere ritenuta pienamente legittima, proporzionata e ragionevole la richiesta, rivolta nel caso di specie dalla stazione appaltante all’odierna ricorrente, di documentare il requisito controverso mediante nota integrativa al bilancio, ovvero mediante dichiarazione resa dal presidente del collegio sindacale o da un consulente del lavoro.
A fronte del mancato assolvimento dell’onere di documentazione con le modalità prescritte, non restava all’amministrazione alcun margine di discrezionalità rispetto alla doverosa esclusione della ditta ricorrente e all’applicazione delle misure sanzionatorie disposte.
Tale conclusione è confermata dal testo dell’art. 18 del d.P.R. n° 34/2000, invocato in impugnativa, laddove, al comma undicesimo, dispone che il costo complessivo per il personale dipendente è documentato, per i soggetti tenuti alla presentazione del bilancio “con il bilancio corredato dalla relativa nota e riclassificato in conformità alle direttive europee” e, per i soggetti non tenuti alla sua redazione, “con idonea documentazione”, alla quale deve aggiungersi e non sostituirsi “una dichiarazione sulla consistenza dell’organico”.
Le doglianze incentrate sulla presunta violazione della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 1 marzo 2000 n° 182/400/93 vanno respinte, attesa la natura meramente interpretativa interna della detta circolare, annoverabile nell’ambito della prassi amministrativa, come tale inidonea ad assurgere al rango di fonte normativa o di parametro di legittimità di atti e parimenti insuscettibile di fondare alcuna pretesa.

A cura di Sonia Lazzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 12597 del 18 ottobre 2010 pronunciata dal Tar Sicilia, Palermo

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