Vige l’obbligo delle stazioni appaltanti di garantire che il valore economico dell’appalto consenta il rispetto del costo del lavoro, quale determinato periodicamente in apposite tabelle ministeriali sulla base dei contratti collettivi.
A diversa conclusione non può, peraltro, addivenirsi sulla base del riferimento fatto dall’Amministrazione intimata alla quantificazione dell’importo a base d’asta mediante la decurtazione della spesa storica di una percentuale pari al 5,70 %, come da direttiva impartita dall’Assessorato Regionale della Sanità al fine di garantire il contenimento del costo dei servizi appaltati: è infatti, troncante la considerazione che, in virtù del principio di gerarchia delle fonti, una direttiva assessoriale non può legittimare la violazione di una norma primaria.
L’art. 89, comma 3, del d.lgs.vo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice dei contratti), corrispondente al previgente articolo unico della l. 7 novembre 2000, n. 327, statuisce che, nella predisposizione delle gare di appalto, le stazioni appaltanti devono garantire che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro, come determinato, ai sensi del precedente art. 87, comma 2, lettera g), sulla base di apposite tabelle periodiche predisposte dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Inconducente si appalesa, inoltre, l’ulteriore riferimento fatto alla avvenuta presentazione di offerte da parte di sette ditte, trattandosi di circostanza che, in sé considerata, non consente di ritenere rispettati i minimi retributivi previsti dai contratti collettivi e, pertanto, l’art. 89 più volte citato.
Con ricorso, notificato il 10 settembre 2009 e depositato il giorno 16 successivo, l’impresa indicata in epigrafe esponeva che, con bando e disciplinare pubblicati il 6 luglio 2009, l'Azienda Ospedaliera S. Giovanni di Dio di Agrigento aveva indetto un pubblico incanto per l'affidamento del servizio di pulizia e sanificazione dei propri locali per un periodo di mesi 5 ed un importo complessivo a base d’asta di € 350.000,00, IVA esclusa, di cui € 3.500,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso.
Ritenendo che tale corrispettivo non consentisse il rispetto dei minimi retributivi contrattualmente previsti per la remunerazione del personale necessario per l’espletamento del servizio, l’impresa ricorrente, pur essendo in possesso dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, non aveva presentato alcuna offerta.
Precisato che la propria legittimazione attiva non era preclusa dalla mancata presentazione di un’offerta, in quanto la stessa era stata impedita dalla illegittimità della determinazione della base d’asta, ha chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, del bando e del disciplinare relativi alla gara in questione, nella parte, che quantifica l'importo a base d'asta ed in quella, in cui omette di indicare i parametri per la formulazione dell'offerta e per la determinazione del costo del lavoro.
Il gravame è stato affidato al seguente unico articolato motivo:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 89 del codice dei contratti. Eccesso di potere per violazione delle tabelle ministeriali del 25 febbraio 2009. Violazione: dell’art. 4 del contratto collettivo di categoria; dei principi di buona amministrazione e del divieto di offerte in perdita.
Sarebbero stati violati: l’art. 89 del codice dei contratti, laddove si stabilisce l’obbligo delle stazioni appaltanti di garantire che il valore economico dell’appalto consenta il rispetto del costo del lavoro, quale determinato periodicamente in apposite tabelle ministeriali sulla base dei contratti collettivi; l’art. 4 del contratto collettivo di categoria, che impone all’impresa subentrante in un appalto di assumere alle proprie dipendenze gli addetti al servizio alle stesse condizioni riconosciute dall’impresa cessante.
Ne deriverebbe l’illegittimità del bando e del disciplinare nelle parti di seguito indicate:
- omessa indicazione del numero e della qualifica dei soggetti impegnati nello svolgimento del servizio e, pertanto, dei parametri necessari per la determinazione del costo del lavoro e, conseguentemente, per la formulazione dell'offerta;
- quantificazione importo a base d'asta, stante l’incongruità e l’insufficienza rispetto ai costi della mano d'opera necessari all'espletamento del servizio.
In relazione al secondo profilo, ha precisato che il personale attualmente utilizzato per l’espletamento del servizio era: pari a 55 unità; inquadrato al II livello; con una retribuzione oraria (desumibile dalla tabella ministeriale del 25 febbraio 2009) di € 14,93 ed un monte ore complessivo mensile di 5.291 ore, cosicchè moltiplicando il numero di ore mensili per il costo medio il costo mensile del servizio risultava essere € 78.994,63. Tale cifra, indipendentemente dalla valutazione degli ulteriori costi necessari per l’espletamento del servizio, era superiore agli € 70.000,00 posti a base d’asta.
L’Azienda Ospedaliera San Giovanni di Dio di Agrigento, seppur regolarmente intimata, non si è costituita in giudizio.
Con ordinanza collegiale istruttoria n. 184 del 29 settembre 2009 sono stati richiesti documentati chiarimenti in ordine ai fatti di causa ed, in particolare, ai criteri utilizzati per la determinazione dell'importo a base d'asta.
Tale ordinanza è stata eseguita con il deposito della nota prot. n. 21 del 13 ottobre 2009, nella quale l’Amministrazione intimata ha precisato che tale importo era stato determinato prendendo come riferimento la spesa storica e decurtandola del 5,70 %, in ossequio ad una direttiva dell’assessorato regionale della sanità in materia di contenimento della spesa dei servizi appaltati.
Con ordinanza cautelare n. 1128 del 25 novembre 2009 l’istanza cautelare è stata accolta ai soli fini della fissazione della udienza di merito.
Si è, altresì, disposto:
- un supplemento di istruttoria volto allo specifico accertamento dei criteri utilizzati per quantificare il costo del personale nel rispetto dei minimi contrattuali;
- l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle ditte, che, nelle more della trattazione del ricorso, avevano presentato istanza di partecipazione alla gara in questione.
L’impresa ricorrente ha provveduto alla integrazione del contraddittorio.
L’Amministrazione intimata ha depositato una nota non contenente elementi istruttori ulteriori rispetto a quelli già acquisiti in giudizio.
Alla pubblica udienza del 29 gennaio 2010, su conforme richiesta del difensore della impresa ricorrente, il gravame è stato posto in decisione.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?
La controversia ha ad oggetto il bando ed il disciplinare della gara indetta dall’Azienda Ospedaliera San Giovanni Di Dio di Agrigento per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione dei propri locali per un periodo di mesi 5 ed un importo complessivo a base d’asta di € 350.000,00, IVA esclusa, di cui € 3.500,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso.
2. Preliminarmente va riconosciuta all’impresa ricorrente, la quale non ha presentato domanda di partecipazione alla gara in questione, la legittimazione ad agire, stante l’orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questo TAR, secondo il quale le clausole di un bando, che siano tali da impedire la partecipazione o la formulazione della offerta, non presuppone necessariamente la presentazione della domanda di partecipazione, stante che l’esame della stessa condurrebbe alla esclusione del candidato (vedi, tra le altre, C.G.A., sez. giur., 4 novembre 2008, n. 885 e 8 marzo 2007, n. 185; Consiglio di Stato, IV, 30 maggio 2005, n. 2804; Corte di Giustizia C.E,, decisione 12.2.2004 – C7230/02; TAR Sicilia Palermo, I, 24 maggio 2007, n. 1432).
3. Ciò premesso, può procedersi all’esame del primo profilo dell’unico articolato motivo, avente carattere assorbente, con il quale si deduce la violazione dell’art. 89 del codice dei contratti, laddove si stabilisce l’obbligo delle stazioni appaltanti di garantire che il valore economico dell’appalto consenta il rispetto del costo del lavoro, quale determinato periodicamente in apposite tabelle ministeriali sulla base dei contratti collettivi.
La doglianza è fondata.
L’art. 89, comma 3, del d.lgs.vo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice dei contratti), corrispondente al previgente articolo unico della l. 7 novembre 2000, n. 327, statuisce che, nella predisposizione delle gare di appalto, le stazioni appaltanti devono garantire che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro, come determinato, ai sensi del precedente art. 87, comma 2, lettera g), sulla base di apposite tabelle periodiche predisposte dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Nella fattispecie in esame, dalla documentazione versata in atti dalla ricorrente, la quale è l’aggiudicataria cessante del servizio, è emerso che: il personale attualmente utilizzato è inquadrato al II livello ed è pari a 55 unità; il monte ore complessivo mensile è di 5.291 ore.
Il costo medio orario di tale personale può essere ricavato dal decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 25 febbraio 2009, pubblicato sul supplemento ordinario n. 38 alla GURI n. 72 del 27 marzo 2009, che, sulla base del CCNL del 19 dicembre 2007, lo ha quantificato, con riferimento al 1° giugno 2009, per il sud e le isole, in € 14,93.
Orbene, moltiplicando il numero di ore mensili (5.291) per il costo medio (14,93), il costo mensile del servizio risulta essere pari ad € 78.994,63.
Ne deriva che l’importo mensile a base d’asta (i.e. 70.000,00) è insufficiente ai fini della copertura dei minimi retributivi contrattuali risultanti dalla succitata tabella ministeriale, con conseguente illegittimità in parte qua degli atti impugnati.
A diversa conclusione non può, peraltro, addivenirsi sulla base del riferimento fatto dall’Amministrazione intimata alla quantificazione dell’importo a base d’asta mediante la decurtazione della spesa storica di una percentuale pari al 5,70 %, come da direttiva impartita dall’Assessorato Regionale della Sanità al fine di garantire il contenimento del costo dei servizi appaltati.
E’, infatti, troncante la considerazione che, in virtù del principio di gerarchia delle fonti, una direttiva assessoriale non può legittimare la violazione di una norma primaria.
Concludendo, in forza di quanto suesposto, assorbite le ulteriori censure, il ricorso è fondato e va accolto.
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 2378 del 4 marzo 2010, emessa dal Tar Sicilia, Palermo
Utilità