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NULLA SARA’ PIU’ COME PRIMA: Osserva innanzi tutto il Collegio...

Pubblicato il 26/07/2010
Pubblicato in: Sentenze

NULLA SARA’ PIU’ COME PRIMA: Osserva innanzi tutto il Collegio che la circostanza che il contratto d’appalto abbia avuto nel frattempo integrale esecuzione osta alla rinnovazione della gara e giustifica quindi la richiesta di tutela risarcitoria per equivalente.

Va dunque ritenuto sussistente l’elemento soggettivo della colpa.Si rinvengono, poi, anche gli altri elementi costitutivi dell’illecito civile, e cioè il danno ingiusto subito dalla società ricorrente e il nesso causale tra la condotta dell’ente appaltante e il danno.

Occorre a tal fine considerare che, essendo la gara risultata illegittima nella parte relativa ai criteri stessi di valutazione delle offerte così come delineati dal capitolato d’appalto, non è possibile stabilire a posteriori l’esito che la procedura selettiva avrebbe avuto in presenza di altri parametri valutativi, allo stato indeterminati perché frutto di scelte autonome dell’ente appaltante oltre che suscettibili di applicazione attraverso apprezzamenti tecnico-discrezionali per loro natura non ricostruibili ex post in modo automatico.

Non vi è insomma la certezza che, in mancanza delle violazioni riscontrate, la società ricorrente avrebbe vinto la gara, e ciò fa sì che il bene della vita risarcibile non è rappresentato dall’aggiudicazione dell’appalto quanto piuttosto dalla chance di conseguire tale risultato, nella fattispecie sacrificata dall’illegittima determinazione delle norme di gara.

 Riferisce la società ricorrente che in data 4 agosto 2004 il Comune di Fiorenzuola d’Arda indiceva una gara, con il metodo di aggiudicazione dell’«offerta economicamente più vantaggiosa», per l’affidamento dell’appalto avente ad oggetto un “intervento di messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale del sito denominato ex discarica Ca’ Nova nei Comuni di Alseno (PC) e Fiorenzuola d’Arda (PC)”; che il bando prevedeva un importo a base d’asta pari a € 1.351.788,06 (i.v.a. esclusa) e un importo per oneri di sicurezza, non soggetto a ribasso, pari a € 27.500,00 (i.v.a. esclusa); che, espletata la gara, l’appalto veniva aggiudicato al raggruppamento “ALFA + BETA Ambiente S.r.l. (mandataria) e GAMMA S.r.l. (mandante)” con determinazione n. 902 in data 6 ottobre 2004 del Funzionario Responsabile del Settore Gestione patrimoniale e Ambiente del Comune di Fiorenzuola d’Arda; che la ricorrente, non risultata vincitrice, adiva il giudice amministrativo lamentando l’illegittimità di una selezione viziata dalla mancata separazione tra requisiti soggettivi di partecipazione alla gara ed elementi oggettivi di valutazione delle offerte; che, considerando fondata la doglianza, questa Sezione annullava gli atti di gara (sent. n. 242/2005), con pronuncia confermata poi dal Consiglio di Stato (decis. n. 1446/2006); che, nonostante le molteplici istanze dell’interessata, solo in data 23 dicembre 2005 l’Amministrazione comunale ordinava la sospensione dei lavori affidati al raggruppamento aggiudicatario, mentre il reale smantellamento del cantiere si completava a seguito delle ulteriori disposizioni dell’ente locale del 29 marzo 2006.
Ritenendo di avere subito gravissimi danni dalla condotta del Comune di Fiorenzuola d’Arda, ed in particolare di non avere potuto conseguire il legittimo affidamento dell’appalto, la società ricorrente assume di avere diritto al conseguente risarcimento. La responsabilità dell’Amministrazione scaturirebbe non solo dall’erronea determinazione dei criteri di scelta del contraente, ma anche dall’omessa tempestiva attuazione del giudicato di primo grado – con la conseguenza che l’esecuzione del contratto si è medio tempore completata –, il tutto in ragione di un comportamento che rivelerebbe l’evidente sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa. Palese poi sarebbe il nesso di causalità rispetto al pregiudizio determinatosi a carico della ditta, che ha partecipato ad una gara falsata dall’illegittima fissazione dei criteri di selezione e ha poi visto di fatto negata la possibilità di una rinnovazione della stessa. Quanto, invece, ai danni, a ristoro del “lucro cessante” competerebbe – quale utile (presunto) di impresa – la somma di € 114.948,00, pari al 10% del valore dell’offerta economica presentata, o quanto meno spetterebbe una somma pari al 7% del valore dell’offerta, in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dalla procedura (soprattutto per l’ottimo punteggio conseguito in ordine ai criteri di aggiudicazione esenti da vizi); a ristoro del “danno emergente”, invece, la ditta avrebbe titolo a recuperare quanto speso per la partecipazione alla gara (spese di cancelleria/fotocopie/traduzioni varie: € 1.000,00; acquisto documentazione di gara: € 19,17; premio per perfezionamento di cauzione provvisoria: € 78,00; n. 1 marca da bollo per offerta economica: € 11,00; costi per presentazione certificato Registro delle Imprese: € 87,00; costo per ottenimento referenza bancaria: € 25,00; n. 1 sopralluogo per la partecipazione alla gara: totale € 1.230,10; costi di redazione per il progetto tecnico: totale € 23.046,00; costi di predisposizione atti di gara: totale € 3.506,00; n. 3 partecipazioni alle sedute pubbliche di gara e n. 3 sopralluoghi in Comune per presa visione documentazione amministrativa dell’a.t.i. aggiudicataria: totale € 3.717,30), gli ulteriori costi per la difesa in giudizio (€ 4.080,00 per la predisposizione di una relazione geotecnica), gli oneri legati al tentativo di evitare il protrarsi della situazione di illegittimità conseguente all’annullamento giudiziale degli atti di gara (n. 6 sopralluoghi per verifica andamento lavori e relazioni tecniche + spese: totale € 5.252,92).
Conclude dunque la società ricorrente per la condanna del Comune di Fiorenzuola d’Arda alla corresponsione della somma complessiva di € 157.000,49 – e in via subordinata di € 122.516,37 –, oltre alla rivalutazione e agli interessi legali.
Si è costituito in giudizio il Comune di Fiorenzuola d’Arda, opponendosi all’accoglimento del ricorso.
All’udienza in data 8 giugno 2010, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Fa valere la società ricorrente il diritto al risarcimento dei danni che assume subiti in conseguenza dell’infruttuosa partecipazione ad una gara d’appalto, svolta con il metodo di aggiudicazione dell’«offerta economicamente più vantaggiosa», i cui atti ha essa stessa fatto annullare dal giudice amministrativo per l’illegittima formulazione dei criteri di valutazione delle offerte, criteri che indebitamente includevano anche profili soggettivi delle concorrenti. Di qui la richiesta di condanna dell’Amministrazione appaltante alla corresponsione della somma complessiva di € 157.000,49 o – in via subordinata – di € 122.516,37, allo scopo di vedersi ristorata del mancato conseguimento dell’utile d’impresa (10% dell’offerta economica) o quanto meno del pregiudizio corrispondente alle concrete possibilità di aggiudicazione dell’appalto se assegnato con regolare gara (7% dell’offerta economica), nonché dei costi affrontati per la partecipazione alla procedura selettiva, per la predisposizione di una relazione geotecnica utilizzata nella difesa in giudizio, per i sopralluoghi resisi necessari dopo l’annullamento giudiziale degli atti di gara onde evitare il protrarsi della situazione di illegittimità.
Osserva innanzi tutto il Collegio che la circostanza che il contratto d’appalto abbia avuto nel frattempo integrale esecuzione osta alla rinnovazione della gara e giustifica quindi la richiesta di tutela risarcitoria per equivalente.
Quanto, allora, alla “colpa” – che è requisito della responsabilità patrimoniale anche nei casi in cui si imputi all’Amministrazione pubblica di avere adottato provvedimenti illegittimi –, va ricordato che deve trattarsi di violazione grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione dell’atto viziato, mentre l’elemento soggettivo dell’illecito difetta se ricorrono i presupposti dell’errore scusabile, e cioè se vi è sussistenza di contrasti giudiziari, incertezza del quadro normativo di riferimento o complessità della situazione di fatto (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2009 n. 3750). Nella fattispecie, come risulta evidente dalle ragioni della dichiarata illegittimità degli atti di gara, l’Amministrazione ha omesso di osservare regole di azione (imperniate sulla necessaria distinzione tra requisiti soggettivi di qualificazione delle imprese e criteri oggettivi di valutazione delle offerte) che, per essere espressione di consolidati principi in materia di gare per l’affidamento degli appalti pubblici di servizi (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2003 n. 1993; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 16 aprile 2003 n. 3897), non si presentavano fonte di apprezzabile incertezza per gli operatori del settore – ben consapevoli di dover evitare l’elaborazione di una disciplina di gara recante l’indebita commistione tra elementi utili all’ammissione alla procedura selettiva ed elementi utili all’assegnazione dei punteggi alle singole offerte –, non essendo del resto neppure emerse specifiche circostanze fattuali che, per la loro peculiarità, rendessero scusabile l’errore commesso. Va dunque ritenuto sussistente l’elemento soggettivo della colpa.
Si rinvengono, poi, anche gli altri elementi costitutivi dell’illecito civile, e cioè il danno ingiusto subito dalla società ricorrente e il nesso causale tra la condotta dell’ente appaltante e il danno.
Occorre a tal fine considerare che, essendo la gara risultata illegittima nella parte relativa ai criteri stessi di valutazione delle offerte così come delineati dal capitolato d’appalto, non è possibile stabilire a posteriori l’esito che la procedura selettiva avrebbe avuto in presenza di altri parametri valutativi, allo stato indeterminati perché frutto di scelte autonome dell’ente appaltante oltre che suscettibili di applicazione attraverso apprezzamenti tecnico-discrezionali per loro natura non ricostruibili ex post in modo automatico. Non vi è insomma la certezza che, in mancanza delle violazioni riscontrate, la società ricorrente avrebbe vinto la gara, e ciò fa sì che il bene della vita risarcibile non è rappresentato dall’aggiudicazione dell’appalto quanto piuttosto dalla chance di conseguire tale risultato, nella fattispecie sacrificata dall’illegittima determinazione delle norme di gara.
Come la giurisprudenza ha avuto più volte modo di rilevare (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2009 n. 3829) la chance è ristorabile ogni qual volta la possibilità di vittoria sia seria, anche se non necessariamente superiore al 50%, e il relativo danno va liquidato in via equitativa, avuto riguardo al grado di probabilità che il ricorrente avrebbe avuto di aggiudicarsi la gara, ovvero quantificando il risarcimento con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di esito favorevole, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara. Di qui la spettanza alla società ricorrente di una somma pari all’utile presunto (fissato in via forfettaria nel 10% dell’offerta economica della ditta) diviso per il numero delle imprese partecipanti alla gara (cinque) e ulteriormente abbattuto del 50%, secondo il principio dell’aliunde perceptum, in mancanza di dimostrazione dell’omessa utilizzazione di mezzi e manodopera in altri appalti (v., exmultis, Cons. Stato, Sez. V, 8 gennaio 2009 n. 23), con il risultato che il “lucro cessante” da riconoscere in via equitativa alla società ricorrente corrisponde all’1% dell’importo dell’offerta economica dalla stessa formulata nella gara oggetto di annullamento giudiziale.
Non compete invece all’interessata il recupero dei costi di partecipazione alla gara. Per costante giurisprudenza (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144), simili costi restano ordinariamente a carico delle imprese sia in caso di aggiudicazione sia in caso di mancata aggiudicazione, onde gli stessi rilevano come “danno emergente” solo quando l’impresa subisce un’illegittima esclusione e in tal modo viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili, mentre nell’ipotesi in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione o per la perdita della chance di aggiudicazione non vi è titolo alla reintegrazione dei costi di partecipazione alla gara, altrimenti il risarcimento farebbe conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che sarebbe derivato dall’aggiudicazione dell’appalto.
Non compete neppure il ristoro delle spese sostenute nel precedente processo per la predisposizione di una relazione geotecnica, avendo già la giurisprudenza chiarito che i costi per difendersi in giudizio non costituiscono un “danno emergente” di cui può essere chiesto il risarcimento in via autonoma ex art. 2043 cod.civ., e ciò in quanto la relativa pretesa va fatta valere unicamente in sede di rimborso delle spese legali secondo la peculiare disciplina dettata dagli artt. 90 - 97 cod.proc.civ. (v. Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751).
Né, poi, sussistono i presupposti per il risarcimento del danno che si assume derivato dalle verifiche che la ditta sarebbe stata costretta ad effettuare, successivamente alla pronuncia giudiziale di primo grado, per accertare se l’Amministrazione avesse dato séguito all’obbligo di sospensione dell’esecuzione del contratto, in vista della rinnovazione della gara. In effetti, indipendentemente da ogni altra considerazione, si rivela di per sé decisiva la circostanza che i sei sopralluoghi indicati in ricorso (pag. 16), relativamente al periodo 16 febbraio - 8 marzo 2006, non trovano corrispondenza in alcuna ulteriore iniziativa della ditta, che risulta avere avanzato formali richieste all’ente locale (anche con “atti di diffida”) nell’anno 2005, mentre non è stata documentata nessuna altra rimostranza né dato prova di contatti successivi tra le parti (a pag. 6 del ricorso si fa genericamente riferimento ad un “…ulteriore invito da parte della Ricorrente S.r.l. …” ma senza fornire riscontro alcuno circa l’an e il quando di tale iniziativa), avendo del resto l’Amministrazione comunale già disposto la sospensione dei lavori fin dal 23 dicembre 2005 e poi adottato le determinazioni definitive il 29 marzo 2006. In assenza, allora, di elementi che oggettivamente pongano in relazione i richiamati sopralluoghi con attività preordinate a conseguire l’ottemperanza al giudicato, appare non provato il nesso di causalità tra l’illecita condotta dell’ente appaltante e il danno lamentato in tale fase dalla ditta per la presunta destinazione del personale ai controlli suindicati.
Non può, infine, essere presa in esame la richiesta di attribuzione di un’ulteriore somma per il cosiddetto “danno curriculare”, ovvero per il pregiudizio legato al mancato accrescimento della capacità di competere sul mercato, effetto ampliativo che si sarebbe verosimilmente realizzato in capo alla ditta con l’aggiudicazione dell’appalto. Trattandosi di domanda formulata nella memoria conclusiva (pag. 9), viene in rilievo quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui è inammissibile la domanda di riconoscimento di una nuova voce di danno proposta attraverso una semplice memoria non notificata alle controparti, poiché dinanzi al giudice amministrativo tutte le domande, comprese quelle intese a conseguire il risarcimento del danno cagionato dall’atto o dal comportamento amministrativo, devono essere proposte nelle forme ordinarie del “ricorso” ovvero dei “motivi aggiunti”, e le parti resistenti devono essere poste in condizione di formulare le proprie difese con le modalità ed entro i termini desumibili in via generale dagli art. 22 e segg. della legge n. 1034 del 1971 (v. TAR Liguria, Sez. I, 21 aprile 2006 n. 391; v. anche Cons. giust. amm. Reg. Sic. 15 maggio 2006 n. 234). Per risolversi, allora, nell’introduzione di un autonomo profilo di danno risarcibile e dunque nell’ampliamento del thema decidendum senza l’osservanza delle formalità previste per la corretta instaurazione del contraddittorio, la pretesa risulta in parte qua inammissibile.
In definitiva, il ricorso va accolto limitatamente al riconoscimento, a titolo di “lucro cessante”, di una somma pari all’1% dell’importo dell’offerta economica presentata dalla ditta ricorrente nella gara annullata. Su detta somma compete la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, da computarsi dalla data di (illegittima) aggiudicazione definitiva dell’appalto e fino alla data di deposito della presente decisione (che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta), mentre sull’importo via via rivalutato, in mancanza di qualsiasi prova circa l’insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo, non spettano gli interessi compensativi (v. Cons. Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144); dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo, infine, sono dovuti gli interessi legali.


A cura di Sonia Lazzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 310 del 22 giugno 2010 pronunciata dal Emilia Romagna, Parma

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