In tema di informativa tipica (espressamente adottata, infatti, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 490 dell’8 agosto 1994), non residua alla stazione appaltante alcun margine di sindacabilità del provvedimento prefettizio impugnato
la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente posto in rilievo che la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette evenienze e non necessita, quindi, di dimostrazione nell’attualità delle infiltrazioni mafiose (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI^, 8 giugno 2009, n. 3491; n. 901 del 17 febbraio 2009; n. 364 del 30 gennaio 2007; Sez. V^, n. 2796 del 30 maggio 2005).
Il giudizio espresso si collega ad un’ampia sfera di discrezionalità dell’Autorità cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell’ordine pubblico quanto alla ricerca ed alla valutazione degli elementi rilevatori delle condizioni di pericolo ipotizzate dall’ art. 4 del d.lgs. n. 490/1994. Nei confronti delle misure di prevenzione adottate il sindacato in sede giurisdizionale si attesta nei limiti dell’ assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere quanto alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti ed alla logicità delle conclusioni (cfr., Sez. VI, nn. 3491/2009 e 901/2009 cit.).
E l'esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace, e dunque anche nel caso in cui sussistano semplici elementi indiziari, non esclude che la determinazione prefettizia che disponga l'interruzione di rapporti tra P.A. e società su cui grava (o su cui gravi anche solo il sospetto) l'esistenza di cause interdittive ex art. 4 d.lgs. n. 490/1994, pur se espressione di un ampia discrezionalità, può essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profilo della sua logicità e dell'accertamento dei fatti rilevanti (cfr. Sez. VI, n. 1056 del 7 marzo 2007).
Ciò premesso, può osservarsi che i due A., padre e figlio, erano titolari entrambi e gestivano imprese chiamate, tra l’altro, all’espletamento di attività edilizie; gli indirizzi delle imprese stesse coincidevano; l’A.R. (il padre) era stato condannato per un reato (riciclaggio) di natura ostativa nel 2001; era stato controllato, inoltre, in epoca non lontana, con due pregiudicati, entrambi pure condannati per reati ostativi; così come era stato controllato, anche se in epoca più remota, lo stesso A.A. con altro pregiudicato pure condannato per reati ostativi.
In questa situazione è da ritenere che correttamente sia stata adottata l’impugnata informativa, in quanto i rapporti tra padre e figlio, ancorché, di per se soli, non aventi carattere determinante ai fini dell’adozione della misura interdittiva, qualora siano corroborati, come nel caso in esame, da elementi significativi ulteriori (quale, in particolare, la coincidenza di sede legale delle imprese facenti capo agli A., quella del figlio, tra l’altro, di recente origine - 2003), possono legittimamente indurre a ritenere – su di un piano presuntivo non privo di spessore - che tra le imprese stesse corrano, o possano, comunque, verosimilmente correre rapporti tali da far dedurre l’esistenza di un unico centro decisionale, ovvero situazioni di condizionamento, sì da giustificare l’adozione della contestata misura.
Ne consegue che già la condanna del padre di A.A. per reato ostativo poteva assumere rilievo ai fini dell’adozione dell’informativa in parola; e se si considera che a tale circostanza, già significativa, andavano ad aggiungersi (soprattutto per l’A.R, ma, anche se più indietro nel tempo, anche per A.A.) rapporti con personaggi gravati da reati di natura interdittiva, si perviene al delinearsi di un quadro complessivo di rapporti tali da giustificare, sul piano indiziario, l’adozione della misura in parola, secondo i riportati canoni operativi generali.
E tale quadro (già di per se idoneo ai fini ora detti) è risultato solo confermato dalla nota della D.I.A. del 24 marzo 2009 che, da un lato, forniva ragguagli significativi circa i legami del citato R.G. (controllato con A.R.) con ambienti, tuttora attivi, della malavita organizzata calabrese, e, dall’altro, dava conto anche di un’attività (che non risulta debitamente smentita in sede di giudizio) di vero organizzatore dell’attività imprenditoriale dell’impresa A.A. da parte di A.R., “presente sui cantieri con assiduità maggiore di quella del figlio”.
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 1559 del 17 marzo 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato
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