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neanche la determinazione comunale di affidare nelle more del giudizio di

Pubblicato il 30/06/2010
Pubblicato in: Sentenze
neanche la determinazione comunale di affidare nelle more del giudizio di merito il servizio di vigilanza all’aggiudicataria - che già era stata immessa nel servizio in seguito al rigetto dell’istanza cautelare in primo grado - pare comportamento colposo

Dal complesso di tali circostanze, si ritiene che possa, dunque, escludersi la sussistenza della colpa in capo all’amministrazione, risultando, di conseguenza, infondata la richiesta di risarcimento del danno, sia in forma specifica che per equivalente

la responsabilità civile della pubblica amministrazione, pur presentando connotazioni di specialità sia in relazione alla qualificazione pubblica ed autoritativa del soggetto agente che in considerazione della natura pubblica degli interessi sottesi all’esplicazione della funzione amministrativa, deve essere ricompresa nello schema generale della responsabilità civile aquiliana

Per poter riconoscere come responsabile della lesione inferta alla posizione del privato e, quindi, obbligata al risarcimento del danno l’amministrazione, devono sussistere, dunque, tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.: antigiuridicità del comportamento – che si identifica con l’illegittimità dell’atto amministrativo -, danno provocato al singolo mediante tale comportamento, nesso di causalità tra il comportamento antigiuridico ed il danno, elemento soggettivo. E proprio tale ultimo elemento non pare rinvenirsi nella fattispecie all’esame del collegio.

Con il presente ricorso, Ricorrente chiede la condanna del comune di Milano al risarcimento dei danni provocati dalla illegittima condotta dell’amministrazione, in via principale mediante reintegrazione in forma specifica, consistente nella proroga di efficacia del contratto per ulteriori ventotto mesi – trentasei mesi di prevista durata del contratto, meno gli otto mesi effettivamente eseguiti dalla ricorrente – ed, in subordine, per equivalente, in relazione al periodo di ventotto mesi per il quale avrebbe dovuto eseguire il servizio, essendo risultata prima in graduatoria.
A sostegno del proprio ricorso, parte ricorrente assume la sussistenza di tutti i presupposti per la configurazione della responsabilità civile in capo all’amministrazione intimata, ed in particolare:
il nesso di causalità fra le illegittimità che hanno condotto all’annullamento dell’esclusione della ricorrente e della conseguente aggiudicazione della gara, nonché fra la trattativa privata disposta nelle more della decisione di primo grado ed il pregiudizio dalla stessa patito, nonché l’elemento psicologico della colpa.
Riguardo, invece, agli atti connessi, con i quali l’amministrazione si è limitata a reintegrare parte ricorrente solo per il periodo residuale di otto mesi, si deduce l’eccesso di potere sotto i profili della violazione di giudicato, del difetto di istruttoria e dello sviamento dalle finalità tipiche dei poteri impiegati, nonché la violazione degli artt. 1, 3, 6, 7 e 21-septies della legge n. 241/90, degli artt. 2043 e 2058 c.c., degli artt. 97, 103 e 113 Cost. e della legislazione che disciplina la giustizia amministrativa.
Infine, con riferimento alle clausole contrattuali impugnate, si deduce la violazione dell’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, del d.lgs. 231/2002 e della direttiva 2000/35/CE.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza nel merito, premettendo l’inammissibilità dello stesso con riferimento alla richiesta di reintegrazione in forma specifica mediante la proroga del contratto, nonché dei motivi concernenti le clausole contrattuali impugnate.
In subordine, ha assunto la sproporzione dell’ammontare del risarcimento richiesto dalla ricorrente.
Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
All’udienza del 19 maggio 2010, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Il collegio ritiene che, dall’andamento degli avvenimenti succedutisi così come descritti in fatto, non possa rinvenirsi in capo all’amministrazione intimata la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, indispensabile al fine della possibilità di configurazione dell’imputazione di responsabilità civile nei confronti della stessa.
Secondo l’ormai prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, la responsabilità civile della pubblica amministrazione, pur presentando connotazioni di specialità sia in relazione alla qualificazione pubblica ed autoritativa del soggetto agente che in considerazione della natura pubblica degli interessi sottesi all’esplicazione della funzione amministrativa, deve essere ricompresa nello schema generale della responsabilità civile aquiliana (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14, ove si citano numerose pronunce in senso conforme).
Per poter riconoscere come responsabile della lesione inferta alla posizione del privato e, quindi, obbligata al risarcimento del danno l’amministrazione, devono sussistere, dunque, tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.: antigiuridicità del comportamento – che si identifica con l’illegittimità dell’atto amministrativo -, danno provocato al singolo mediante tale comportamento, nesso di causalità tra il comportamento antigiuridico ed il danno, elemento soggettivo. E proprio tale ultimo elemento non pare rinvenirsi nella fattispecie all’esame del collegio.
Secondo il costante orientamento che si ricava dalle più recenti decisioni in tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione, il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell'amministrazione, l'esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito e, riguardo all'elemento soggettivo, è indispensabile accedere ad una nozione di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento, nonché, in conformità con quanto emerge dalle indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali ad essa rimesse, dei precedenti giurisprudenziali, delle condizioni concrete e dell'apporto dato dai privati nel procedimento. La responsabilità va, dunque, affermata quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; viceversa, va negata quando l'indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.
Tanto premesso, in considerazione degli specifici risvolti fattuali della complessiva vicenda, così come sopra descritti, non pare possibile rinvenire un comportamento colposo nell’agire del comune intimato. E ciò, indipendentemente dal contrasto tra l’orientamento del giudice di primo grado e quello di appello, sia in fase cautelare che di merito, che, come esattamente rilevato da parte ricorrente, se ritenuto elemento da solo sufficiente ad escludere la sussistenza della colpa in capo all’amministrazione, farebbe sì che la possibilità di rinvenire l’elemento psicologico sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi del giudizio, finendo il giudizio di primo grado per essere quello decisivo (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5100).
Tale contrasto di giudizi, però, se considerato nella complessiva fattispecie concreta, ed in particolare in relazione all’importanza e alla delicatezza del servizio da affidare - che, lo si ripete, consisteva nell’attività di vigilanza degli edifici giudiziari di Milano – pare rendere, se non necessitato, quanto meno, giustificato l’operato dell’amministrazione intimata, anche in considerazione del mancato appello del giudizio di primo grado da parte delle altre due concorrenti escluse dalla gara, che avevano, in questo modo, mostrato di prestare acquiescenza a tale decisione e contribuito a creare in capo al comune il convincimento della legittimità del proprio comportamento.
Alla luce dello svolgersi dei fatti, neanche la determinazione comunale di affidare nelle more del giudizio di merito il servizio di vigilanza all’aggiudicataria - che già era stata immessa nel servizio in seguito al rigetto dell’istanza cautelare in primo grado - pare comportamento colposo, in primo luogo perché tale decisione è stata dettata dall’urgenza motivata dalla particolare delicatezza e rilevanza del servizio, tale da non rendere possibile l’espletamento di una procedura nelle more, in considerazione, inoltre, dell’affidamento del solo servizio di piantonamento fisso e non anche della vigilanza mediante le telecamere, infine, per il fatto che la protrazione di tale affidamento per i mesi antecedenti il deposito del dispositivo della sentenza di primo grado è da imputare anche alla ricorrente, che ha chiesto il rinvio dell’udienza di trattazione del merito della causa, fissata inizialmente al 19 dicembre 2007 proprio su istanza del comune.
Né può biasimarsi il comune per aver atteso il deposito della pronuncia di merito di secondo grado prima di attivarsi per il rinnovo delle operazioni di gara – peraltro poste in essere con sollecitudine e terminate con il subentro della ricorrente nel servizio ben prima della stipula del contratto -, atteso che solo da tale pronuncia sarebbe stato possibile rinvenire la specifica motivazione dell’annullamento della pronuncia di primo grado, al fine della corretta ottemperanza al giudicato.
Dal complesso di tali circostanze, si ritiene che possa, dunque, escludersi la sussistenza della colpa in capo all’amministrazione, risultando, di conseguenza, infondata la richiesta di risarcimento del danno, sia in forma specifica che per equivalente.

Con riferimento, invece, alle clausole contrattuali impugnate, deve innanzi tutto evidenziarsi che, in relazione alla censura dedotta avverso l’assunta omissione della revisione prezzi ai sensi dell’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, tale clausola è mutata nel contratto rispetto alla bozza prodotta dalla ricorrente, in senso favorevole alla stessa. Su tale punto il ricorso si presenta, dunque, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Riguardo, invece, alle doglianze concernenti la clausola relativa alla deroga pattizia all’entità degli interessi per ritardato pagamento, le stesse sono inammissibili, atteso che tale profilo, afferendo l’esecuzione contrattuale, appartiene, per il granitico orientamento della giurisprudenza civile ed amministrativa, alla giurisdizione del giudice ordinario.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto in relazione all’istanza risarcitoria e, per il resto, dichiarato improcedibile ed inammissibile.

A cura di Sonia Lazzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 1811 del 14 giugno 2010 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano
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