Legittimo annullamento di un’aggiudicazione per false dichiarazioni in ordine ai requisiti morali
Legittimo annullamento di un’aggiudicazione (con escussione della relativa cauzione provvisoria) per false dichiarazioni in ordine ai requisiti morali
Né ai fini del possesso dei requisiti generali di cui all’articolo 38, cui esclusivamente ha riguardo l’impugnato provvedimento di esclusione dalla gara, può valere l’attestazione SOA
Come emerge dall’esame della documentazione in atti, le dichiarazioni rese dal legale rappresentante , nonché di amministratore e direttore tecnico, sono risultate non veritiere, all’esito dei rituali accertamenti d’ufficio disposti dall’amministrazione appaltante
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi, le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e già al concorrente medesimo.
Questi è pertanto obbligato a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare alcuna selezione delle condanne eventualmente riportate ed omettendo pertanto la dichiarazione di alcune di esse sulla base meri criteri personali (C.d.S., sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 740; sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6221).
Né può ammettersi, come pure tenta di sostenere l’appellante, che l’amministrazione non avrebbe potuto procedere alla verifica d’ufficio delle dichiarazioni rese in sede di gara e che nel caso di specie ciò sarebbe avvenuto in violazione dell’articolo 48 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163
E’ sufficiente al riguardo ricordare che lo stesso disciplinare di gara, al punto 17, riservava all’amministrazione la facoltà di verifica del possesso dei requisiti generali dei concorrenti al fine della loro ammissione alla gara e che lo stesso articolo 38, al comma 3, prevede accertamenti d’ufficio, ai sensi dell’articolo 43 del D.P.E. 28 dicembre 2000, n. 445, ed in particolare la richiesta da parte della stazione appaltante al competente ufficio del casellario giudiziale proprio per la verifica delle dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del predetto articolo 38; d’altra parte l’invocato articolo 48 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, riguarda gli accertamenti relativi al possesso dei requisiti di capacità economico – finanziaria e tecnico – organizzativi e non già i requisiti di ordine generale.
Con determinazione dirigenziale n. 1174 del 23 maggio 2007 il Comune di Quartu Sant’Elena, giusta verbale di gara n. 2 del 17 maggio 2007, ha annullato la propria precedente determinazione n. 502 del 21 marzo 2007 di aggiudicazione provvisoria dei lavori di attuazione del “Programma integrato di recupero del Centro Storico Cepola – Sant’Efisio” in favore della costituenda A.T.I. tra RICORRENTE. s.r.l. e Ricorrente due Garden s.r.l., disponendo l’esclusione di quest’ultima dalla gara.
Infatti a seguito dei controlli d’ufficio sulle dichiarazioni rese in sede di partecipazione alla gara, erano risultate false o quanto meno non veritiere quelle prodotte dalla RICORRENTE. s.r.l. in ordine alla insussistenza delle cause di esclusione dalla gara, con violazione dell’articolo 38, lett. c) e g) del D. Lgs. n. 163/2006 e degli artt. 75 e 76 del D. Lgs. n. 445/2000.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sez. I, con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha respinto il ricorso proposto dalla summenzionata A.T.I. avverso la determinazione n. 1174 del 23 maggio 2007, ritenendo corretto l’operato del Comune di Quartu Sant’Elena e prive di fondamento ed in parte inammissibili le censure ex adverso sollevate.
3. RICORRENTE. s.r.l., quale mandataria dell’A.T.I. con Ricorrente due Garden s.r.l. ha chiesto la riforma della prefata statuizione alla stregua di sei articolati motivi, rubricati rispettivamente “Violazione ed erronea applicazione del disposto di cui agli artt. 75 e 76 D.P.R. 445/2000 – Eccesso di potere con riguardo alla asseita violazione della stessa” (primo motivo); “Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 lettera c) del D. Lgs. 163/06 e del bando di gara (all. 2) sotto svariati profili; Violazione del disposto dell’art. 445, secondo comma, codice di procedura penale – Eccesso di potere per: carenza di motivazione, carenza di istruttoria, illogicità manifesta, falso supposto di fatto, irragionevolezza, anche in ordine all’applicabilità dell’art. 38 lettera c) del D. Lgs. n. 163/2006” (secondo motivo); “Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 lettera g) del D. Lgs. 163/06 e del bando di gara sotto svariati profili - Eccesso di potere per: carenza di motivazione, carenza di istruttoria, illogicità manifesta, falso supposto di fatto, irragionevolezza, anche in ordine all’applicabilità dell’art. 38 lettera g) e lettera c) del D. Lgs. n. 163/2006” (terzo motivo); “Violazione ed errata applicazione dell’art. 48 comma 2 del D. Lgs. 163/2006 e delle regole di gara in ordine alla verifica dei requisiti dell’aggiudicatario – Eccesso di potere per: carenza di motivazione, illogicità manifesta, falso supposto di fatto, irragionevolezza” (quarto motivo); “Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 78 e 2 del D. lgs. 163/2006 – Violazione dei principi di trasparenza e pubblicità delle operazioni di gara” (quinto motivo); in via subordinata, in relazione a tutti gli atti e procedimenti della procedura concorsuale “Violazione dell’art. 2, dell’art. 90 comma 8 e dell’art. 112 del D. Lgs. 163/2006 – Violazione dei principi e delle regole sia generali che in materia di lavori pubblici che disciplinano le incompatibilità tra soggetti protagonisti delle vicende di cui alle opere pubbliche in tutte le loro fasi dalla progettazione alla aggiudicazione – Violazione dei principi di buon andamento, buona amministrazione, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa – Eccesso di potere per: sviamento di potere, illogicità e irragionevolezza manifesta – Incompetenza del dirigente che ha adottato tutti gli atti del procedimento con riferimento alla situazione di palese incompatibilità con le funzioni ricoperte di progettista, dirigente del Settore lavori pubblici, presidente della commissione di gara e dirigente responsabile che ha redatto le determinazioni di cui alla procedura” (sesto motivo).
Sono state in tal modo sostanzialmente riproposto tutte le censure sollevate in primo grado, ad avviso dell’appellante, superficialmente esaminate ed inopinatamente respinte o dichiarate inammissibili, con motivazione carente, erronea e comunque assolutamente non condivisibile.
3. Non si sono costituiti in giudizio né il Comune Quartu S. Elena, né la Controinteressata s.r.l.
All’udienza pubblica del 30 marzo 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?
4. L’appello è infondato e deve essere respinto.
4.1. In punto di fatto occorre rilevare che il bando di gara, quanto ai requisiti di ordine generale, tecnico – organizzativi ed economico – finanziari necessari per la partecipazione, rinviava a quanto prescritto dall’articolo 11 del disciplinare di gara.
Detto articolo, al punto 11.2 (Requisiti di ordine generale) precisava che non erano ammessi a partecipare i soggetti per i quali sussistevano, tra l’altro, le cause di esclusione di cui all’art. 38 del D. Lgs. 163/2006.
L’articolo 16 del disciplinare di gara, regolando minuziosamente le modalità di presentazione delle offerte, stabiliva che ogni concorrente doveva far pervenire un plico contenente due buste, l’una contraddistinta con la lettera A, recante la documentazione, l’altra, contraddistinta con la lettera B, recante l’offerta economica.
In particolare la busta A doveva contenere, oltre alla domanda di partecipazione, una serie di documenti, puntualmente indicati, tra cui, per quanto qui interessa: a) dichiarazioni sostitutive in conformità alle disposizioni del DPR 28 dicembre 2000, n. 445, con cui si attesta il possesso dei requisiti richiesti dal bando e dal disciplinare di gara e si forniscono informazioni e/o elementi richiesti, come specificati nel modulo allegato (allegato 1); b) dichiarazioni sostitutive, ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 da redigersi, a pena di inammissibilità, in conformità al modello allegato (Allegato 2), attestante l’inesistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. da parte del titolare e direttore tecnico in caso di impresa individuale; il socio ed il direttore tecnico, in caso di società in nome collettivo; i soci accomandatari e direttore tecnico in caso di società in accomandita semplice; gli amministratori muniti del potere di rappresentanza e direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o di consorzio.
Era altresì previsto (pag. 10, secondo capoverso, del disciplinare) che “La domanda, le dichiarazioni e le documentazioni di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, a pena di esclusione, devono contenere quanto previsto nei predetti punti”.
L’allegato 1 conteneva tra l’altro la dichiarazione che a carico del concorrente non sussistevano le cause di esclusione di cui alle lettere a), d), e), f), g), h), i) ed m) del comma 1 dell’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006 come di seguito dettagliatamente specifico (lett. a) e di inesistenza, a carico dell’impresa, di violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti (lett. f).
L’allegato 2 contemplava la dichiarazione (per i soggetti obbligati) circa la sussistenza o meno di sentenze di condanna passate in giudicato oppure di decreto penale di condanna divenuto irrevocabile oppure di sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale, nonché un’ulteriore dichiarazione di insussistenza di sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nei certificati del casellario giudiziale.
4.2. Come emerge dall’esame della documentazione in atti, le dichiarazioni rese dal signor Giovanni Pietro Vargiu, nella qualità di legale rappresentante (all. 1), nonché di amministratore e direttore tecnico (all. 2) di RICORRENTE. s.r.l., sono risultate non veritiere, all’esito dei rituali accertamenti d’ufficio disposti dall’amministrazione appaltante.
Infatti dal certificato del Casellario Giudiziario della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliare, n. 10281 del 12 marzo 2007, a carico del predetto è risultata l’esistenza di una sentenza penale di condanna della Corte di Appello di Cagliare del 16 febbraio 1987 (di conferma della sentenza del Tribunale di Cagliari), divenuta irrevocabile il 10 ottobre 1989, per il reato di cui all’articolo 589 C.P. (con pena sospesa e non menzione) e di una sentenza, ex art. 444 e 445 C.P.P., in data 16 giugno 2000 del Tribunale di Cagliari per la violazione di norme tributarie, con irrogazione della pena di 3 mesi di reclusione, convertita in pena pecuniaria.
4.3. Ciò premesso, possono essere esaminati congiuntamente, per la loro intima connessione, i primi cinque motivi di gravame, i quali non meritano tuttavia accoglimento.
4.3.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi, le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e già al concorrente medesimo.
Questi è pertanto obbligato a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare alcuna selezione delle condanne eventualmente riportate ed omettendo pertanto la dichiarazione di alcune di esse sulla base meri criteri personali (C.d.S., sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 740; sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6221).
In ordine al rispetto della precisa identificazione del contenuto dell’obbligo della dichiarazione delle cause di esclusione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ed in particolare della esistenza di sentenze penali di condanna, la giurisprudenza ha osservato (C.d.S., sez. VI, 4 agosto 2009, n. 4905) che solo laddove il bando di gara richieda genericamente una dichiarazione di insussistenza delle predette cause di esclusione può essere giustificata una valutazione da parte dei concorrenti della gravità delle eventuali condanne riportate (con conseguente mancanza di falsità della dichiarazione sul punto reticente o incompleta), mentre a diversa conclusione deve giungersi quando il bando abbia previsto espressamente una puntuale dichiarazione delle sentenze penali di condanne riportate (all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione sulla gravità degli eventuali illeciti), perché in tali casi la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso la dichiarazione espressamente prevista.
A ciò deve ancora aggiungersi che le false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configurano come causa autonoma di esclusione (sez. V, 12 giugno 2009, n. 3742; 12 aprile 2007, n. 1723).
4.3.2. Nel caso in esame, non vi è alcun dubbio sulla circostanza (giammai oggetto di qualsiasi contestazione) che effettivamente le dichiarazioni rese dal signor Giovanni Pietro Vargiu (di cui agli allegati 1 e 2), quale legale rappresentante, amministratore e direttore tecnico, non contenessero alcuna indicazione delle sentenze penali di condanna, anche ex artt. 444 C.P.P., emerse a seguito degli accertamenti d’ufficio: ciò di per sé costituisce giusto motivo di esclusione dalla gara, sia con riguardo alla precisione disposizione contenuta nell’articolo 38 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sia con riferimento alle specifiche richiamate disposizione della lex specialis di gara, con conseguente legittimità del provvedimento impugnato.
Ciò esclude qualsiasi rilevanza della suggestiva prospettazione della società appellante, secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per la omessa valutazione da parte dell’amministrazione appaltante della rilevanza delle accertate sentenze penali di condanna, non potendo il solo mero fatto dell’esistenza dei precedenti penali giustificare l’esclusione automatica dalla gara.
In realtà, come si ricava dalla motivazione del provvedimento impugnato, l’annullamento dall’aggiudicazione provvisoria è stata disposta non già per il mero fatto dell’accertata esistenza di sentenze penali di condanna nei confronti di amministratori e del direttore tecnico, quanto piuttosto per la (pacifica) violazione dell’obbligo imposto ai concorrenti di fare autodichiarazioni sul punto veritiere; d’altra parte, deve escludersi che tale omissione possa considerarsi di scarsa importanza ai fini del procedimento di gara e dell’obbligo di corretto comportamento dei concorrenti, atteso che in tal modo la stazione appaltante non è stata messa in condizione di svolgere proprio la necessaria valutazione sulla moralità professionale dell’impresa concorrente.
A ciò consegue l’irrilevanza della dedotta risalenza nel tempo della sentenza penale di condanna della Corte di Appello di Cagliari e della esiguità del disvalore del fatto che ha originato la condanna per violazione delle norme tributarie, trattandosi di mere opinioni personali e di valutazioni che non competono al concorrente di una gara pubblica, essendo di esclusiva pertinenza dell’amministrazione appaltante (attività valutativa che quest’ultima non ha potuto svolgere proprio a causa della omessa dichiarazione fattane dalla concorrente).
4.3.3. Né può ammettersi, come pure tenta di sostenere l’appellante, che l’amministrazione non avrebbe potuto procedere alla verifica d’ufficio delle dichiarazioni rese in sede di gara e che nel caso di specie ciò sarebbe avvenuto in violazione dell’articolo 48 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
E’ sufficiente al riguardo ricordare che lo stesso disciplinare di gara, al punto 17, riservava all’amministrazione la facoltà di verifica del possesso dei requisiti generali dei concorrenti al fine della loro ammissione alla gara e che lo stesso articolo 38, al comma 3, prevede accertamenti d’ufficio, ai sensi dell’articolo 43 del D.P.E. 28 dicembre 2000, n. 445, ed in particolare la richiesta da parte della stazione appaltante al competente ufficio del casellario giudiziale proprio per la verifica delle dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del predetto articolo 38; d’altra parte l’invocato articolo 48 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, riguarda gli accertamenti relativi al possesso dei requisiti di capacità economico – finanziaria e tecnico – organizzativi e non già i requisiti di ordine generale.
Non è dato riscontrare alcuna illegittimità del provvedimento impugnato che ha richiamato gli articoli 75 e 76 del ricordato D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, avendo l’amministrazione così voluto evidenziare che la falsità delle dichiarazioni rese comportava la decadenza dall’ammissione alla gara.
Né ai fini del possesso dei requisiti generali di cui all’articolo 38, cui esclusivamente ha riguardo l’impugnato provvedimento di esclusione dalla gara, può valere l’attestazione SOA che, come puntualmente chiarito in giurisprudenza (C.d.S., sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2933) “…non impedisce né sostituisce l’accertamento e la valutazione dei requisiti morali, concernendo piuttosto il profilo di ordine tecnico, organizzativo ed economico della impresa (art. 1, comma 3, D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, che definisce l’attestazione di qualità condizione necessaria e sufficiente solo per la dimostrazione dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria)”.
Giova ancora aggiungere che, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 445 c.p.p. comma 1 bis, salvo diversa disposizione di legge, la sentenza ex art. 444 c.p.p. è equiparata ad una pronuncia di condanna; inoltre, a tutto voler concedere, deve osservarsi che ai fini della estinzione del reato oggetto della sentenza di patteggiamento non è sufficiente il mero decorso del termine di cinque anni, essendo necessario anche il provvedimento del giudice, che nel caso di specie non risulta intervenuto (Cass. pen., sez. I, 7 luglio 2005, 32801.
4.3.4. Non sussiste neppure la dedotta violazione del principio di trasparenza e di pubblicità delle sedute per essere stato adottato il provvedimento di annullamento della precedente aggiudicazione provvisoria e la consequenziale esclusione dalla gara in seduta riservata invece che in seduta pubblica.
Come è stato più volte di chiarire l'obbligo di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara riguarda esclusivamente la fase dell'apertura dei plichi contenenti la documentazione e l'offerta economica dei partecipanti (e non anche la fase di apertura e valutazione delle offerte tecniche), in questi casi essendo funzionale non solo al rispetto del principio di parità di trattamento di tutti i concorrenti, ma anche a presidio della correttezza, della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa(ex multis, C.d.S., sez. V, 14 ottobre 2009, n. 6311, 7 novembre 2006, n. 6529 ; sez. IV, 14 maggio 2007, n. 2426), valori che non vengono in considerazione nel caso di specie in cui la commissione di gara si è limitata a valutare le osservazioni proposte dalla concorrente a seguito dell’accertata falsità (o quanto meno non corrispondenza al vero) delle dichiarazioni rese in sede di gara.
4.3.5. Infine, come correttamente rilevato dai primi giudici, la correttezza dell’operato dell’amministrazione e la conseguente legittimità del provvedimento impugnato, rende priva di interesse la censura relativa alla asserita incompatibilità del Presidente della commissione di gara per la sua contemporanea qualità di dirigente dell’ufficio tecnico del comune e del settore lavori pubblici, trattandosi di censura genericamente dedotta con riguardo alla intera procedura di gara.
5. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Si legga anche
decisione numero 7740 del 10 dicembre 2009, emessa dal Consiglio di Stato
Legittima revoca di un’aggiudicazione con escussione della relativa cauzione provvisoria: le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun « filtro », omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali (Cons. Stato, IV, n. 740/2009).
l'estinzione del reato già oggetto di sentenza di patteggiamento in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445 c.p.p., comma 2 (e cioè la mancata commissione nel termine previsto - cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione - di un delitto ovvero di una contravvenzione della stessa indole) non opera "ipso iure", ma richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell'esecuzione (Cassazione penale , sez. IV, 27 febbraio 2002 , n. 11560; Cons. Stato, VI, n. 3663/2007).
La Cassazione ha precisato che solo la vecchia ipotesi ex art. 4 lett. d), l. n. 516 del 1982 di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non è più prevista dalla legge come reato, mentre per il reato ex art. 4 lett. f) l. n. 516 del 1982 può ravvisarsi, stante l'omologa strutturazione e la sovrapposizione delle due previsioni punitive una continuità normativa d'illecito con la nuova ipotesi dell'art. 2 comma 1 d.lg. n. 74 del 2000 (Cass. Pen., sez. un., n. 27/2000; è bene ricordare che la lettera f) della menzionata norma corrisponde al n. 7) della stessa disposizione, più volte modificata).
In sostanza, in tema di reati tributari, sussiste continuità normativa tra il reato prima previsto dall'art. 4 d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (conv., con mod., in l. 7 agosto 1982, n. 516) e la nuova fattispecie penale prevista dall'art. 2 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente ai fatti previsti dall'abrogato art. 4, lett. f) l. n. 516 del 1982, ovvero soltanto in ipotesi di utilizzazione dei relativi costi fittizi nella dichiarazione annuale, mentre non sono più punibili i fatti prodromici previsti dall'abrogato art. 4, lett. d) della citata legge, ovvero l'inserimento di fatture false in contabilità (Cass. Pen., III, n. 1996/2007).
Il principio della par condicio impone di valutare le offerte come presentate e sarebbe troppo semplice aggirare l’accertamento delle cause di esclusione attraverso il recesso dal raggruppamento di alcune imprese.
Tale considerazione è coerente con quanto affermato nella decisione n. 2964/09, con cui l’aspetto era stato esaminato limitatamente all’ammissibilità del recesso, ma non certo con riguardo agli effetti del recesso su cause di esclusione già verificatesi nel corso della gara.
1. Con la sentenza n. 720/2008 il Tar Lombardia, Brescia, I Sezione, ha respinto il ricorso presentato dalle Società Controinteressata Costruzioni e Controinteressata due Costruzioni, rispettivamente, capogruppo mandataria e mandante del RTI dalle stesse formato, con il quale esse avevano chiesto l’annullamento sia della revoca del provvedimento di aggiudicazione provvisoria della gara di appalto per la realizzazione di un impianto natatorio, sia della nota del 7 aprile 2008 contenente la comunicazione di esclusione dalla procedura.
Il Tar ha in particolare ritenuto:
- che a fondamento della revoca, e della contestuale esclusione dell’A.T.I. dalla gara, vi è il difetto del requisito della moralità professionale in capo al legale rappresentante della mandante, certo Giovanni Controinteressata due. Risulta infatti pacificamente che questi, destinatario di una sentenza di applicazione pena per un delitto concernente le imposte sul reddito, non aveva, all’epoca dell’esclusione, ottenuto alcun provvedimento di estinzione della pena ai sensi dell’art. 676 c.p.p.;
- che il disposto dell’art. 38 lettera c) del d. lgs. 163/2006 preclude la partecipazione alle pubbliche gare, fra l’altro, alle imprese i cui legali rappresentanti abbiano a carico sentenza di applicazione pena “per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”;
- che la successiva lettera g) dello stesso articolo considera altresì di per sé preclusiva l’esistenza a carico dei medesimi soggetti di “violazioni definitivamente accertate” rispetto agli obblighi fiscali.
Con la decisione n. 2964/2009 questa Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello proposto dalla Controinteressata Costruzioni s.p.a, in proprio e quale mandataria del RTI con la Controinteressata due Costruzioni Srl, e dalla Srl Controinteressata due Costruzioni e, in riforma della sentenza del Tar, ha accolto il ricorso di primo grado.
Avverso tale decisione viene ora proposto ricorso per revocazione dal Gruppo Ricorrente Costruzioni Srl, che si era aggiudicato l’appalto dopo l’esclusione del RTI Controinteressata.
La Controinteressata Costruzioni s.p.a, in proprio e quale mandataria del RTI con la Controinteressata due Costruzioni Srl, e la Srl Controinteressata due Costruzioni si sono costituite in giudizio eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone comunque la reiezione.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
Qual è il parere dell’adito giudice di appello in merito alla revocazione di una predente decisione emessa dal Consiglio di Stato?
L’oggetto della presente controversia è costituito dalla richiesta di revocazione della menzionata decisione del Consiglio di Stato, che sarebbe stata pronunciata in base ad un errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c..
In primo luogo, si rileva che il ricorso è ammissibile, in quanto è del tutto privo di rilievo il fatto che il contratto in questione sia stato stipulato dalla sola Controinteressata a seguito del recesso dall’ATI da parte della Controinteressata due Costruzioni.
Infatti, l’accertamento di una causa di esclusione in capo alla Controinteressata due avrebbe comunque determinato l’esclusione del raggruppamento, ponendosi tale accertamento in una fase anteriore a quella del successivo recesso dall’ATI.
Il ricorso per revocazione deve essere accolto.
La decisione del Consiglio di Stato è stata, infatti, pronunciata sulla base di un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa.
La decisione del Consiglio di Stato è stata, infatti, pronunciata sulla base di un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa.
Il collegio giudicante ha erroneamente ritenuto che la condanna ex art. 444 c.p.p. riportata dall’amministratore della Controinteressata due riguardasse solo il reato di evasione dalle imposte sui redditi ex art. 4, comma 1, n. 5 della l. n. 516/82, mentre in realtà l’imputazione patteggiata da Giovanni Controinteressata due aveva ad oggetto due fatti di reato, inclusa la fattispecie di cui all’ art. 4, comma 1, n. 7 della l. n. 516/82.
Le odierne parti resistenti cercano in ogni modo di dimostrare l’assenza dell’errore, richiamando un passaggio della sentenza in cui si richiama che “a carico di Controinteressata due, una sentenza emessa ai sensi 444 c.p.p., per il reato di evasione dalle imposte sui redditi”, senza però riportare il seguito della frase in cui si specifica il reato “ex art. 4, comma 1, n. 5 della l. n. 516/82”, idoneo a chiarire senza ombra di dubbio quale fosse la fattispecie di reato presa in esame
E, quindi , evidente che il collegio giudicante ha ritenuto che l’accertamento penale fosse relativo solo al reato di cui al n. 5 della citata disposizione, mentre dagli atti della causa emergeva che l’applicazione della pena su richiesta era avvenuta anche per il concorrente reato di cui al n. 7 della stessa disposizione.
L’errore è risultato determinante ai fini del decidere.
Infatti, il collegio giudicante ha rilevato che “il reato di cui trattasi è stato abrogato dall’art. 25 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e che il D.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 ha abolito il principio di ultrattività delle norme penali finanziarie” e da ciò ha tratto la conseguenza che la condanna per un reato ormai privo di disvalore penale non potesse avere alcun effetto non solo in ambito penalistico, ma anche per gli altri rami dell’ordinamento. Da qui l’impossibilità di fondare il provvedimento di esclusione sulla menzionata condanna “sia con riferimento al disposto normativo di cui all’art. 38 lettera c), sia con riferimento a quanto disposto dalla successiva lettera g)”.
Sennonché l’assenza di disvalore penale riguarda solo il reato di cui all’art. 4, comma 1, n. 5 della l. n. 516/82, e non anche quello di cui al n. 7.
L’imputazione patteggiata dal signor Controinteressata due riguardava proprio non solo l’aver utilizzato in contabilità fatture relative ad operazioni inesistenti, ma anche l’aver utilizzato le fatture al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto ed ottenere indebiti rimborsi.
Il collegio giudicante non ha percepito tale secondo profilo e – come emerge chiaramente dai passaggi della motivazione della decisione sopra riportati – ha erroneamente ritenuto sussistente solo il reato meno grave, poi abrogato senza continuità normativa con nuove fattispecie di reato.
Passando al giudizio rescissorio, si osserva che l’esclusione del raggruppamento Controinteressata è stata disposta dalla stazione appaltante sia con riferimento al disposto normativo di cui all’art. 38 lettera c), sia con riferimento a quanto disposto dalla successiva lettera g), come emerge dalla lettura del verbale di aggiudicazione del 7 aprile 2008 e come del resto accertato anche con la sentenza di cui si chiede la revocazione.
Inoltre, la stazione appaltante ha rilevato che la dichiarazione resa da Giovanni Controinteressata due era omissiva nell’affermare l’insussistenza di condizioni ostative, poi risultate esistenti.
Accertato che il reato oggetto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti non era stato abrogato, la commissione del fatto, da ritenersi definitivamente accertata anche a seguito di sentenza ex art. 444 c.p.p., integra la causa di esclusione di cui alla lett. g) dell’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006, riferita ai soggetti “che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.
A prescindere dalla questione della necessità di una autonoma valutazione del reato ai sensi della lett. c) dello stesso art. 38 e da quella inerente l’operatività, o meno, di diritto dell’estinzione del reato per il decorso del tempo, la commissione del fatto costituiva, quindi, autonomo motivo per procedere all’esclusione del raggruppamento, come correttamente effettuato dalla azione appaltante.
Ed ancora
Sempre l’Amministrazione pubblica puo’ verificare il reale possesso dei requisiti morali
Il possesso della attestazione Soa in capo ad una impresa non impedisce né sostituisce l’accertamento e la valutazione dei requisiti morali, concernendo piuttosto il profilo di ordine tecnico, organizzativo ed economico della impresa.
In sede di gara pubblica, quindi, la sanzione dell’incameramento della cauzione prevista dall’art. 10, comma 1, L.109/1994 è applicabile per il dato formale dell’inadempimento rispetto ai doveri di lealtà nelle trattative.
La decisione numero 2933 del 7 giugno 2005 emessa dal Consiglio di Stato, merita di essere segnalata per alcuni importanti principi in essa contenuti:
il possesso dei requisiti morali, più di quanto possa accadere per tutti gli altri, che difficilmente mutano in modo radicale nel periodo di validità dell’attestazione Soa, è invece soggetto ad eventi imprevedibili all’atto del rilascio di tale certificazione, che possono influire sull’affidabilità morale dell’impresa e dei suoi dirigenti, e che sono tali da giustificare un duplice accertamento, all’atto del rilascio dell’attestazione ed al momento della partecipazione a ciascuna gara d’appalto
l’esclusione da una gara d’appalto derivante dall’assenza dei requisiti ex art. 75 d.P.R. n.554 del 1999 non costituisce una pena accessoria, un effetto penale della condanna od una sanzione amministrativa in sé, quanto piuttosto, una misura di natura eminentemente cautelare, diretta ad evitare la situazione di pericolo e d’allarme sociale che potrebbe discendere dalla stipulazione di contratti tra la stazione appaltante e soggetti che abbiano dimostrato la loro inettitudine organizzativa aziendale o la loro propensione a violare la legge penale o quelle a tutela di valori indisponibili od irrinunciabili
Il requisito della inesistenza di sentenze di condanna definitive o patteggiate, come è stato chiarito dalla Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n.182/400/93 del 1° marzo 2000, in coerenza con la definizione tradizionalmente assunta dalle norme nazionali e comunitarie, mira ad escludere dagli appalti il concorrente che si sia reso colpevole di comportamenti penalmente rilevanti per fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto
In particolare in tema di funzione della cauzione provvisoria, ci è utile sapere che:
Prima della entrata in vigore della L.109/1994 la cauzione provvisoria serviva all’amministrazione a garanzia dell’adempimento del solo aggiudicatario dell’obbligazione relativa alla sottoscrizione del contratto. Con l’articolo 10 della L.109/1994 la previsione relativa all’incameramento della cauzione provvisoria è stata estesa anche ai partecipanti diversi dall’aggiudicatario, assumendo così una funzione di garanzia non della stipula del contratto, ma della serietà e affidabilità dell’offerta. La sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria è quindi correlata alla violazione dell’obbligo di diligenza e di produzione documentale nelle trattative precontrattuali, che grava su ciascun concorrente sin dalla fase di partecipazione alla gara e di presentazione dell’offerta.
La escussione della cauzione, il cui scopo è liquidare in via forfetaria il danno subito dalla stazione appaltante per omessa stipulazione del contratto per fatto imputabile all’aggiudicatario provvisorio, riguarda non solo l’assenza della capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa di questi, ma anche tutti i casi in cui abbia prodotto dichiarazioni non confermate dal successivo riscontro della relativa documentazione o abbia effettuato false dichiarazioni.
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 4520 del 13 luglio 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato