LEGITTIMA REVOCA SUBAPPALTO LAVORI CONSOLIDAMENTO OPERE A SEGUITO DI UN’ INFORMATIVA ANTIMAFIA PER acquiescenza all’organizzazione criminale: L’INTERVENTO DI UNA SENTENZA DI ASSOLUZIONE CON LA FORMULA PERCHÉ IL FATTO NON COSTITUISCE REATO, NON INFIRMA IL QUADRO INDIZIARIO RACCOLTO DALLA PREFETTURA
E l'esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace, e dunque anche nel caso in cui sussistano semplici elementi indiziari, non esclude che la determinazione prefettizia disponga l'interruzione di rapporti tra P.A. e società, su cui gravi anche solo il sospetto di tale infiltrazione
L'esistenza di situazioni di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell'art. 4 comma 4 d.lg. n. 490 del 1994, per la sua natura preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi in base ai quali non sia logico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell'impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento dell'impresa stessa da parte di queste
Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Napoli e l’ANAS impugnavano la sentenza n. 6241 del 2009 del T.A.R. Campania, Prima Sezione, con la quale è stato accolto il ricorso proposto dalla società Controinteressata srl avverso il provvedimento dell’ANAS del 20 maggio 2009 di revoca dell’autorizzazione al subappalto, già disposta con il precedente provvedimento del 4 luglio 2008, nell’ambito del contratto di appalto dei lavori di costruzione della variante alla SS 212 avente quale mandataria il Consorzio ravennate, nonché avverso il provvedimento UTG di Napoli n. 2825 del 30 aprile 2009 che ha causato la revoca e sono stati altresì accolti i motivi aggiunti avverso i successivi provvedimenti della p.a.
La Prefettura di Napoli avvalendosi delle prerogative che le discendono dall’art. 1 della legge 356 del 1992 e dal D.M. 23 dicembre 1993 ha attivato iniziative tese a verificare eventuali ingerenze della criminalità organizzata nelle attività imprenditoriali presenti sul territorio della Provincia di Napoli.
In tale contesto, nell’ambito delle procedure per l’affidamento dei lavori di completamento ed adeguamento delle opere civili relative alla costruzione della variante alla SS 145 – Galleria Pozzano, il Compartimento di viabilità della Campania ANAS spa di Napoli, con missiva del 9 maggio 2008, ha chiesto all’UTG le informazioni antimafia relative alla ditta subappaltatrice, società Controinteressata con sede in Napoli.
Nell’istruttoria emergevano elementi che consigliavano una valutazione del Gruppo Ispettivo Antimafia ( GIA ) in relazione all’ordinanza cautelare in carcere n. 37035 del 2003 emessa in data 8 giungo 2006 dalla Sezioen GIP Ufficio 9 del locale Tribunale di Napoli, nei confronti di alcuni affiliati al clan dei C..
Nell’ordinanza venivano tratteggiate le cointeressenze affaristico –criminali tra esponenti apicali della nominata organizzazione criminale ed i fratelli I. Vittorio Tiberio nato a Massalubrense il 20 novembre 1948 ed I. Salvatore, nato a Massalubrense il 12 aprile 1958, rispettivamente genitore e zio dei proprietari e del direttore tecnico della società ricorrente in primo grado, ma in realtà indicati come gestori di fatto della stessa.
In particolare , nel provvedimento cautelare, veniva rilevato che I. Vittorio avrebbe instaurato, con il tempo, rapporti diretti con soggetti contigui a sodalizi criminosi ( in particolare con CA. Immacolata , nota alle forze dell’ordine per essere contigua a sodalizi criminali quali il clan “M.-C.” il clan “P.” ed inoltre per intrattenere rapporti con F. Michele e Z. Pasquale , quest’ultimo elemento apicale del clan dei C. ).
Ciò costituisce – secondo l’AG – il congiungimento fra l’appalto pubblico, il danaro che ne discende e l’organizzazione criminosa ovvero lo snodo fondamentale della c.d. infiltrazione mafiosa nel sistema dei pubblici appalti.
Il Gruppo Ispettivo antimafia, nella seduta del 21 aprile 2009, ha esaminato la posizione della ricorrente società, degli elementi di interesse desumibili dal citato provvedimento di custodia cautelare, formulando un giudizio di prognosi sfavorevole in termini di infiltrazione camorristica, esprimendo l’avviso che potesse essere adottato un provvedimento interdittivo ai sensi dell’art. 10 del d.p.r. n. 252 del 1998.
Il GIA considerava che anche “la mancanza di una prova diretta della consapevolezza ( da parte di I. Vittorio ) del pericoloso settore di provenienza di tali soggetti, non esime dal considerare che le proposte che gli provengono ed alle quali aderisce o perlomeno accede, si collocano , nell’ambito , quantomeno, dell’acquiescenza alla camorra, con conseguente illecito subappalto di opere pubbliche e quindi rientranti in un campo notoriamente esposto alla presenza di gruppi criminali, tanto più nelle regioni del mezzogiorno d’Italia…”.
L’UTG emetteva il provvedimento prot. n. 1 /2825/ Area 1 ter del 30 aprile 2009, interdittivo ai fini antimafia, in danno della ricorrente società, trasmesso all’ANAS , al quale faceva seguito la revoca del subappalto relativo alla statale 212.
La sentenza impugnata ha annullato il provvedimento impugnato in quanto il soggetto nei confronti del quale era stata emessa l’ordinanza cautelare era stato assolto dal Tribunale.
L’amministrazione appella sostenendo che la sentenza è intimamente contraddittoria e che una sentenza di assoluzione non esclude in assoluto che possa essere emanato un provvedimento interdittivo , ma anzi essa può contenere elementi che, pur negando la responsabilità con quel grado di certezza richiesto in sede penale, possono essere nondimeno rilevanti ai fini della prevenzione antimafia.
Nella specie, si rileva, al di là della sentenza, v’è un quadro di elementi fattuali che non poteva non essere considerato dall’amministrazione.
Resiste la società ricorrente in primo grado.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?
L’appello è fondato.
L'esistenza di situazioni di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell'art. 4 comma 4 d.lg. n. 490 del 1994, per la sua natura preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi in base ai quali non sia logico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell'impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento dell'impresa stessa da parte di queste. L'inibitoria antimafia costituisce, infatti, la massima anticipazione di tutela preventiva come risposta dello Stato verso il crimine organizzato, in quanto la legge ha assunto come obiettivo principale l'assoluta salvaguardia dei principi di trasparenza e libertà di agire contrattuale della pubblica amministrazione rispetto a soggetti che possano, in un modo o nell'altro, risultare serventi rispetto a realtà imprenditoriali contigue ad associazioni criminali. Corollario di tale politica legislativa è l'ampia potestà discrezionale attribuita all'organo istruttore in ordine alla ricerca ed alla valutazione degli elementi da cui poter inferire eventuali connivenze e collegamenti di tipo mafioso. Per giustificare l'adozione di un'interdittiva antimafia non è necessario, quindi, pervenire al massimo grado di certezza dei presupposti di una decisione che può essere assunta in sede giurisdizionale e nemmeno la misura minore di certezza posta a base di una misura di prevenzione, essendo invece all'uopo sufficiente la dimostrazione del pericolo del pregiudizio, attraverso la presenza di fatti sintomatici ed indizianti che sostengono l'ipotizzabilità della sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata (Consiglio Stato , sez. VI, 26 gennaio 2006 , n. 222).
Nella specie l’intervento di una sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato, non infirma il quadro indiziario raccolto dalla Prefettura
Né si dica che dell’assoluzione l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto in quanto intervenuta in data precedente la valutazione operata dall’amministrazione.
Infatti, nella specie, anche nell’ordinanza cautelare , come considerato esattamente dal Prefetto nell’atto impugnato , si dava atto della “mancanza di una prova diretta della consapevolezza da parte del gestore effettivo della società del pericoloso settore di provenienza di tali soggetti” e ciononostante , si considerava esistente un fenomeno di significativa acquiescenza all’organizzazione criminale, avvenuto con affidamenti illeciti di subappalti, quindi con le precise modalità che la legge vuole contrastare.
In tal senso può dirsi che la sentenza di assoluzione non apporta nulla di nuovo rispetto al quadro indiziario emergente dalle intercettazioni.
Ai sensi dell'art. 4, comma 4, del citato d.lgs. n. 490 del 1994, "il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate".
L'art. 10, comma 2, del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 ("regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia"), prevede, a sua volta, che, "quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni"; il successivo comma 7 prevede, poi, che "ai fini di cui al comma 2 le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli articoli 629, 644, 648-bis, e 648-ter del codice penale, o dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli articoli 2-bis, 2-ter, 3-bis e 3-quater della legge 31 maggio 1965, n. 575; c) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno, ovvero richiesti ai prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia".
A queste informazioni, c.d. "tipiche", si aggiungono quelle, c.d. "atipiche", di cui all'art. 1 septies del d.l. 6 settembre 1982, n. 629 (convertito in legge n. 726 del 12 ottobre 1982; articolo aggiunto dall'art. 2 della legge 15 novembre 1988, n. 486), a mente del quale "l'Alto commissario può comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni in materia di armi ed esplosivi e per lo svolgimento di attività economiche, nonché di titoli abilitativi alla conduzione di mezzi ed al trasporto di persone o cose, elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell'ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio, il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni, concessioni e degli altri titoli menzionati".
La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente posto in rilievo che la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull'esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette evenienze e non necessita, quindi, di dimostrazione nell'attualità delle infiltrazioni mafiose (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI^, n. 901 del 17 febbraio 2009; n. 364 del 30 gennaio 2007; Sez. V^, n. 2796 del 30 maggio 2005).
Il giudizio espresso si collega ad un'ampia sfera di discrezionalità dell'Autorità cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell'ordine pubblico quanto alla ricerca ed alla valutazione degli elementi rilevatori delle condizioni di pericolo ipotizzate dall'art. 4 del d.lgs. n. 490/1994. Nei confronti delle misure di prevenzione adottate, il sindacato in sede giurisdizionale si attesta nei limiti dell'assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere quanto alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti ed alla logicità delle conclusioni (cfr. Sez. VI, n. 901/2009 cit.).
E l'esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace, e dunque anche nel caso in cui sussistano semplici elementi indiziari, non esclude che la determinazione prefettizia disponga l'interruzione di rapporti tra P.A. e società, su cui gravi anche solo il sospetto di tale infiltrazione. In definitiva, l'esistenza di cause interdittive ex art. 4 d.lgs. n. 490/1994, pur se espressione di un ampia discrezionalità, può essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profilo della sua logicità e dell'accertamento dei fatti rilevanti (cfr. Sez. VI, n. 1056 del 7 marzo 2007).
Ebbene, nella specie non emergono sintomi di non corretto o illogico esercizio del potere esercitato o di insufficiente istruttoria, né un travisamento in merito alla valutazione dei fatti acquisiti
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 3057 del 17 maggio 2010 pronunciata dal Consiglio di stato
Utilità