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La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1337 c.c. si ricollega alla violazione della regola di

Pubblicato il 07/06/2010
Pubblicato in: Sentenze
La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1337 c.c. si ricollega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto e presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la sua conclusione ( ex multis, Cass. Civ. sez I, 18.6.2005, n.13164).

Secondo un consolidato orientamento , dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi (Cass. Civ. Sez. I, 18.6.2005, n. 13164; Cons. St. A.P. 5.9.2005,n. 6 ; Sez. IV, 11.11.2008, n. 5633), essa non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, nella fase ,cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione , mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative (Cass. S.U. 26.5.1997, n. 4673).

sono effettivamente rinvenibili le condizioni indicate dalla legge affinchè si configuri la violazione delle regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., tenuto conto delle attività imposte all’impresa e del tempo trascorso prima di pervenire alla definizione della situazione.

Peraltro, l’ammontare del danno richiesto a tale titolo – quantificato dalla Ditta nel 10% del valore dell’intervento di riqualificazione – è calcolato rispetto alla fase di realizzazione dell’opera, da considerarsi , come visto, sottoposta ad un complesso iter approvativo .

 L’accertamento di responsabilità da parte del Comune di Catanzaro comporta per questa Sezione l’obbligo di referto. Si dispone, pertanto, che la presente decisione sia trasmessa, a cura della Segreteria, alla Procura regionale per la Calabria della Corte dei conti per gli accertamenti che verranno giudicati opportuni.

L’interessata adiva il Tar Calabria per ottenere il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale , assumendo la violazione della buona fede da parte dell’amministrazione per avere indetto una gara prima della verifica della piena fattibilità dell’opera . Sul quantum, chiedeva che il danno venisse liquidato in euro 2.027.036,37 , oltre interessi e rivalutazione monetaria, considerato l’importo erogato al professionista incaricato di redigere il progetto (euro 857.236,37) e la perdita di altre occasioni di lavoro, valutata nel 10% del costo dell’intervento, pari ad euro 1.168.800,00.
Il Tar, con la sentenza in epigrafe indicata, riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo sulla base dell’art. 6 L.n. 205 del 2000, accoglieva il ricorso nell’an , qualificando la fattispecie come ipotesi di responsabilità precontrattuale , avuto riguardo all’obbligo incombente sull’amministrazione comunale di verificare la fattibilità tecnica del progetto prima di coinvolgere i privati nella sua realizzazione. Sia la tardività con cui l’amministrazione aveva iniziato il procedimento di verifica dell’interesse culturale del bene oggetto di intervento , sia l’omissione di ogni informazione all’impresa interessata avrebbero dimostrato il comportamento contrario a buona fede.
Condannava pertanto il Comune a risarcire il solo danno emergente, in applicazione dell’art. 35, comma 2 D.Lgs. n. 80 del 1998, indicando, come criteri : le spese sostenute per la partecipazione alla procedura limitatamente all’adempimento di prescrizioni specificamente richieste dagli atti di gara e non anche esborsi per attività autonomamente svolte ; le spese di progettazione contemplate nell’avviso pubblico e quelle successivamente poste in essere in ottemperanza di specifiche indicazioni contenute negli atti di gara o documentate richieste formulate dall’amministrazione appaltante. Il tutto maggiorato da interessi e rivalutazione monetaria .
Ha proposto appello il Comune di Catanzaro, affidandolo ai seguenti motivi:
1. error in iudicando, erronea valutazione circa la configurabilità della responsabilità contrattuale: avrebbe errato il Tar nell’estendere la responsabilità precontrattuale alla fase di selezione del contraente, nella quale non sussiste un rapporto diretto tra le parti che dia luogo a trattative;
2. error in iudicando, erronea valutazione in merito alla possibilità per l’amministrazione di chiedere l’autorizzazione della Soprintendenza prima della pubblicazione dell’avviso: ai sensi dell’art. 21 D.Lgs n. 42 del 2004, l’autorizzazione è resa su un progetto, sicchè correttamente la richiesta di autorizzazione sarebbe stata presentata solo successivamente all’approvazione della proposta progettuale;
3. error in iudicando, erronea rappresentazione dei fatti : già dal mese di maggio 2005 l’impresa era edotta dei pareri utili alla realizzazione del progetto e sarebbe stata sollecitata a richiedere tutte le autorizzazioni necessarie sin dalle riunioni operative del 2 agosto e del 20 settembre 2004.La mancata autorizzazione da parte della Soprintendenza integrerebbe una giusta causa che esclude la configurabilità dell’illecito;
4. error in iudicando, erronea valutazione circa la sussistenza del danno: la richiesta di risarcimento avrebbe dovuto essere respinta per la mancanza di prova del danno.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

Con il primo motivo , l’appellante censura la sentenza di primo grado per avere il Tar esteso la responsabilità precontrattuale a comportamenti, consistenti nell’omissione del previo accertamento della fattibilità dell’intervento, propri di una fase anteriore all’individuazione del contraente ed all’instaurazione delle trattative, nella quale non potrebbe operare l’obbligo di comportarsi secondo buona fede stabilito dall’art. 1337 c.c.
Il motivo è infondato nei termini che seguono.
La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1337 c.c. si ricollega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto e presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la sua conclusione ( ex multis, Cass. Civ. sez I, 18.6.2005, n.13164).
Secondo un consolidato orientamento , dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi (Cass. Civ. Sez. I, 18.6.2005, n. 13164; Cons. St. A.P. 5.9.2005,n. 6 ; Sez. IV, 11.11.2008, n. 5633), essa non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, nella fase ,cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione , mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative (Cass. S.U. 26.5.1997, n. 4673).
Parte appellante sostiene che ,nella specie, si controverta sul comportamento tenuto dall’amministrazione in relazione ad una fase anteriore all’individuazione del contraente.
Per meglio comprendere la vicenda, occorre distinguere , nell’ambito del programma di riqualificazione della Villa Pangea, tra due distinte fasi procedurali consistenti, rispettivamente, nella selezione della proposta progettuale svolta dal Comune, in base ad un avviso pubblico, con l’obbligo per l’impresa prescelta di presentare un progetto esecutivo sulla base delle indicazioni dei competenti uffici tecnici del Comune, iniziata con l’avviso pubblico del 24.8.2004, e terminata con approvazione da parte della giunta comunale della scelta della proposta della Ditta Ricorrente(deliberazione del 20 dicembre 2004) e dello schema di convenzione (deliberazione del 21 dicembre 2004) , e nella realizzazione dell’intervento, condizionata dalla necessaria approvazione regionale previa rimodulazione del PSU, non intervenuta.
Il rilevato comportamento contrario agli obblighi di correttezza e buona fede contrattuale attiene esclusivamente alla procedura di selezione dell’idea progettuale , da considerarsi conclusa mediante la individuazione della Ditta Ricorrente e la richiesta di redazione di progetto esecutivo da sottoporre, di seguito, alle necessarie approvazioni.
Non può quindi fondatamente qualificarsi l’impresa come una semplice partecipante a selezione, ma, di contro, come partecipante a delle vere e proprie trattative ,avviate dall’amministrazione comunale dopo la conclusione della procedura di selezione dell’idea progettuale, interrotte per fatto dell’amministrazione prima della conclusione della convenzione già predisposta ed approvata dall’amministrazione comunale, recante l’espressa previsione (art.3 della bozza approvata) della subordinazione della realizzazione dell’intervento “all’ottenimento, da parte del competente Settore Urbanistica, dell’idoneo titolo abilitativo” acquisibile solo dopo l’approvazione della variante urbanistica e la stipula dell’Accordo di programma tra Comune e Regione nell’ambito del PSU, ma non già alla verifica negativa dell’interesse culturale del bene oggetto di intervento ai sensi dell’art. 12, c. 2 D.Lgs. n. 42 del 2004.
Il primo motivo è pertanto da respingere.
2.Con il secondo ed il terzo motivo, che, data la loro connessione, possono essere trattati congiuntamente, il Comune sostiene la correttezza del proprio operato, dal momento che l’autorizzazione della Soprintendenza non sarebbe potuta intervenire se non posteriormente alla predisposizione del progetto, ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. n. 42 del 2004 e che, comunque, la Ditta era pienamente edotta della necessità di acquisire tutti i pareri necessari per la realizzazione del progetto.
Il motivi sono infondati.
Il provvedimento della Soprintendenza citato nella nota 27.6.2006 non riguarda le autorizzazioni disciplinate dagli artt. 21 e ss.(interventi su beni culturali soggetti ad autorizzazione) o 146 e ss.(interventi su beni paesaggistici soggetti ad autorizzazione) del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) che presuppongono, in effetti, la presentazione di un progetto, bensì il procedimento di verifica dell’interesse culturale ai sensi dell’art. 12 , c. 2 dello stesso codice, da seguire - prima di qualsiasi intervento - per tutti i beni immobili e mobili, di autore non più vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, di proprietà dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali , che rimangono , fino alla definizione del procedimento nel senso dell’insussistenza dell’ interesse culturale, sottoposti al regime di tutela di cui al Titolo primo del codice (art. 10).
Essendo, quindi, la verifica dell’interesse culturale del bene denominato “Villa Pangea”, già sede Serbatoio idrico Ghiacciaia , un “ passaggio obbligato” per la fattibilità di qualsiasi intervento – tanto più di quello considerato nell’avviso, che prevedeva la demolizione del serbatoio – l’attivazione del procedimento a distanza di oltre un anno dall’emanazione del bando denota indubbiamente un comportamento negligente da parte dell’amministrazione comunale, che , nel portare a compimento una selezione di idea progettuale su un presupposto per nulla assodato (la possibilità di intervento su bene sottoposto a tutela culturale), ha colpevolmente ingenerato un affidamento nell’impresa prescelta, obbligandola a presentare proposte progettuali del tutto avulse dalla reale fattibilità dell’opera.
In altri termini, l’interruzione delle trattative e la mancata stipula della convenzione non sono da addebitarsi alla mancata approvazione della variante al PSU o alla mancata stipula dell’Accordo di Programma – circostanze pacificamente condizionanti la fase di realizzazione del progetto esecutivo e di cui l’impresa doveva considerarsi edotta – bensì alla carenza di un presupposto che l’amministrazione era tenuta ad accertare preliminarmente, come la natura di bene culturale della “Villa Pangea”, ai fini di una corretta impostazione della procedura (Cons. St. Sez. V, 7.9.2009, n. 5245).
In tale comportamento sono effettivamente rinvenibili le condizioni indicate dalla legge affinchè si configuri la violazione delle regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., tenuto conto delle attività imposte all’impresa e del tempo trascorso prima di pervenire alla definizione della situazione.
L’appellante, infine, contesta la condanna al risarcimento del danno per carenza assoluta di prova.
Anche questo motivo è infondato nei termini che seguono.
Va, anzitutto, dato atto che il Tar ha riconosciuto il danno limitatamente alle sole spese sostenute nel corso delle trattative, escludendo ogni ristoro della perdita di chance di altre favorevoli occasioni contrattuali, la cui prova spetta alla parte lesa e non è stata ritenuta raggiunta.
Ha, pertanto, limitato la condanna al risarcimento del danno corrispondente all’interesse negativo, da liquidarsi ,in base all’art. 35, c. 2 d.lgs. n. 80 del 1998, secondo i seguenti criteri:
- spese sostenute per la partecipazione alla procedura limitatamente all’adempimento di prescrizioni specificamente richieste dagli atti di gara e non anche esborsi per attività autonomamente svolte ;
- spese di progettazione contemplate nell’avviso pubblico e quelle successivamente poste in essere in ottemperanza di specifiche indicazioni contenute negli atti di gara o documentate richieste formulate dall’amministrazione appaltante;
- interessi e rivalutazione monetaria.
Detti criteri sono pienamente rispondenti ai principi in materia di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale e non sottraggono il futuro accordo tra le parti sul quantum (di natura sostanzialmente transattiva, v. Cons. St. Sez. IV, n. 4325/2009, n. 6063/2006; Sez. V, n. 1156/2010; n. 2609/2009; n. 7402/2006), che dovrà intervenire entro il termine di 90 giorni dalla notificazione o comunicazione amministrativa della presente decisione, dalla necessità di dimostrare, come stabilito nella sentenza di primo grado, la stretta correlazione tra le spese sostenute e le incombenze richieste dall’avviso pubblico o , successivamente, dalla stessa amministrazione.
Analoghi motivi conducono alla reiezione dell’appello incidentale, dal momento che – come correttamente affermato dal Tar - la Ditta non ha allegato alcuna prova del pregiudizio subito per la perdita di favorevoli occasioni né del nesso causale tra l’impegno assunto con il Comune di Catanzaro e la rinuncia alla partecipazione ad altre gare che sono state solo genericamente indicate.
Peraltro, l’ammontare del danno richiesto a tale titolo – quantificato dalla Ditta nel 10% del valore dell’intervento di riqualificazione – è calcolato rispetto alla fase di realizzazione dell’opera, da considerarsi , come visto, sottoposta ad un complesso iter approvativo .
In conclusione, entrambi gli appelli vanno respinti e la sentenza di primo grado confermata secondo quanto esposto nella presente motivazione.
Dalla soccombenza del Comune deriva la sua condanna alle spese di giudizio liquidate in dispositivo.

A cura di Sonia LAzzini
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