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La presunzione di buona fede induce a limitare la declaratoria di inefficacia del contratto alle prestazioni ancora da eseguire.

Pubblicato il 17/11/2010
Pubblicato in: Sentenze

Rimane da stabilire, a questo punto, la decorrenza della declaratoria di inefficacia del contratto: la presunzione di buona fede della stazione appaltante induce, pertanto, a limitare la declaratoria di inefficacia del contratto alle sole prestazioni ancora da eseguire.

L’art. 121, comma 1, del codice del processo amministrativo, fornisce al giudice, a tale riguardo, tre parametri di valutazione rappresentati dalle “deduzioni delle parti”, dalla “gravità della condotta della stazione appaltante” e dalla “situazione di fatto”.

Si tratta di elementi piuttosto generici che, nella sostanza, chiamano il giudicante a compiere una difficile valutazione comparativa di interessi

Nella specie, va considerato che la dichiarazione di inefficacia operante in via retroattiva assume sostanzialmente un carattere sanzionatorio nei confronti della stazione appaltante e che, per contro, la ricorrente principale non ha allegato uno specifico interesse a conseguire una pronuncia di carattere retroattivo.

Si profila, per contro, un giudizio di non particolare gravità del comportamento della stazione appaltante la quale, come più volte rilevato, aveva comunque provveduto a comunicare nei termini l’aggiudicazione definitiva, pur inviandola irritualmente alla sola mandante del costituendo raggruppamento

In mancanza di elementi di segno opposto, deve ritenersi che si sia trattato di un errore compiuto in buona fede dalla stazione appaltante la quale riteneva di aver assolto l’obbligo di comunicazione dell’esito della gara già in data 6 aprile 2010 ed ha verosimilmente calcolato lo stand still period con decorrenza da tale giorno.

La presunzione di buona fede della stazione appaltante induce, pertanto, a limitare la declaratoria di inefficacia del contratto alle sole prestazioni ancora da eseguire.

Nonostante la limitazione temporale della declaratoria di inefficacia del contratto, il Collegio ritiene che non si debba dare luogo all’applicazione delle sanzioni alternative di cui agli artt. 121, comma 4, e 123, del codice del processo amministrativo, in primo luogo a causa della mancanza di una domanda di parte.

E’ pur vero che la lettera della legge potrebbe lasciar intendere che le sanzioni alternative vadano applicate anche d’ufficio, quale conseguenza automatica e necessitata della mancata declaratoria, totale o parziale, di inefficacia del contratto.

Una consimile conclusione, peraltro, sarebbe incompatibile con il principio dispositivo che governa l’intero processo amministrativo e che impone al giudice, fatta eccezione per le sentenze di rito, di pronunciarsi rigorosamente nei limiti delle domande delle parti.

Anche le sanzioni alternative, infatti, sono strumenti processuali posti a tutela degli interessi degli operatori economici, sub specie di sanzioni processuali da irrogarsi nel caso di violazione di regole di diritto pubblico che si riverberano sul piano della tutela del ricorrente.

Ad abundantiam, va rilevato come la mancata applicazione delle sanzioni alternative sarebbe comunque imposta dall’esimente della buona fede della stazione appaltante nonché dalla sostanziale inutilità di tali misure: la sanzione pecuniaria non potrebbe infatti esercitare, nella fattispecie, una reale efficacia dissuasiva (essendo venuta meno nel corso del giudizio la gestione ordinaria della A.S.L. la quale, come riferito dalle parti, è stata commissariata per eccessivo debito) e si tradurrebbe nel mero trasferimento di una somma di denaro da un’amministrazione pubblica in crisi finanziaria ad altra amministrazione; la riduzione della durata del contratto, invece, si tradurrebbe in un danno a carico della stessa parte ricorrente lesa dagli atti illegittimi dell’amministrazione.

A cura di Sonia Lazzini

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 4083 del 5 novembre 2010 pronunciata dal Tar Piemonte, Torino

 

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