la diversa rilevanza che assume la figura del direttore tecnico è attestata dal fatto che...
Ai fini del possesso dei requisiti soggettivi di una impresa, la diversa rilevanza che assume la figura del direttore tecnico rispetto a quella del mero responsabile tecnico è attestata dal fatto che al primo, e non al secondo, si è costantemente riferita la disciplina legislativa che impone le dichiarazioni di insussistenza di cause impeditive alla partecipazione a gare di appalto
Ciò, peraltro, non rende automaticamente irrilevante qualsiasi pregiudizio dovesse emergere a carico del responsabile tecnico, ma si riflette in un aggravio dell’onere motivazionale in relazione al fatto che egli possa essere, a seconda dei casi, strumento o manifestazione della permeabilità dell’impresa ad interessi di consorterie criminali
Venendo alla impugnazione del provvedimento antimafia interdittivo, risulta dal verbale del G.I.A. del 25 settembre 2009 che esso è stato disposto «in considerazione dello stretto legame di parentela intercorrente tra il responsabile tecnico della società con elemento apicale di consorteria criminale egemone nell’intera provincia, nonché per le frequentazioni di congiunti degli amministratori con soggetti, tra l’altro, gravati da sequestro di beni ai sensi della normativa antimafia».
La ricorrente contesta entrambi i presupposti della misura interdittiva.
Da un lato, sostiene che il soggetto indicato come responsabile tecnico della società, in realtà, non sarebbe stato altro che il responsabile per la mera impiantistica ex 1. 46/90, il quale avrebbe prestato gratuitamente la sua opera per il tempo necessario a che l’azienda ottenesse l’autorizzazione per la esecuzione degli impianti interni, mentre direttore tecnico dell’impresa sarebbe stato lo stesso odierno amministratore ed attuale socio unico della società.
Dall’altro lato, sostiene che i controlli di polizia avrebbero coinvolto solo i fratelli del proprietario della società, i quali sarebbero estranei all’azienda, e che non ne sarebbero emersi, in ogni caso, elementi significativi di controindicazione ai fini della prevenzione antimafia.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?
L’impugnazione è fondata, nei termini appresso precisati.
Dai certificati camerali depositati in giudizio risulta che il D B Flavio riveste nella società l’incarico di responsabile tecnico per le attività di impiantistica abilitate ex l. 46/90.
Tale incarico non va confuso con quello di direttore tecnico, cui competono gli adempimenti di carattere tecnico-organizzativo necessari per la realizzazione dei lavori, il quale può essere assunto dal legale rappresentante dell'impresa (art. 26 D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34).
Essendo la qualificazione conseguita dall’impresa collegata al direttore tecnico che la consente (co. 4 dell’art. 26 cit.), la direzione tecnica risulta dal certificato della S.O.A.
Nell’attestazione di qualificazione del 15 novembre 2007 rilasciato alla ricorrente RICORRENTE. il suo direttore tecnico risulta coincidere con il suo legale rappresentante, geom. Domenico D..
Ai fini del possesso dei requisiti soggettivi di una impresa, la diversa rilevanza che assume la figura del direttore tecnico rispetto a quella del mero responsabile tecnico è attestata dal fatto che al primo, e non al secondo, si è costantemente riferita la disciplina legislativa che impone le dichiarazioni di insussistenza di cause impeditive alla partecipazione a gare di appalto (art. 75 D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163) (cfr. TAR Catania, sez. I, 14 ottobre 2008, n. 1821; TAR Palermo, sez. III, 14 aprile 2008, n. 482).
Ciò, peraltro, non rende automaticamente irrilevante qualsiasi pregiudizio dovesse emergere a carico del responsabile tecnico, ma si riflette in un aggravio dell’onere motivazionale in relazione al fatto che egli possa essere, a seconda dei casi, strumento o manifestazione della permeabilità dell’impresa ad interessi di consorterie criminali.
Nel caso in esame, invece, è, ancora più a monte, la stessa asserzione del suo (possibile) legame con gruppi camorristici a non reggere alle critiche di parte ricorrente.
Come si è detto, il G.I.A. si è limitato ad addurre a suo carico l’esistenza di uno «stretto legame di parentela ….. con elemento apicale di consorteria criminale egemone nell’intera provincia».
Tuttavia, da un lato, il legame di parentela, consistente in realtà in un rapporto di affinità (si tratta del cognato), non è stato qualificato col richiamo ad elementi fattuali idonei a lumeggiare concrete comunanze di interessi o di vita tra i due soggetti; dall’altro, la società ricorrente ha contestato espressamente anche la attendibilità del giudizio espresso sul cognato del responsabile tecnico, sostenendo che gli episodi che lo avrebbero visto coinvolto e condannato risalirebbero all’anno 1988 e, dunque, certamente non sarebbero più attuali, il che non ha trovato smentita alcuna da parte della amministrazione, che nulla ha dimostrato od allegato in senso contrario.
Se è vero, infatti, che negli atti istruttori si rinviene una nota del Comando Provinciale di Caserta dei Carabinieri (n. 0251955/1-3 di prot. “P” del 31 marzo 2008), in cui si afferma che il soggetto in questione sarebbe un «pluripregiudicato, elemento di spicco del clan camorristico dei “C.”, condannato il 15.9.2005 dalla Corte di Assise di S.Maria C.V. alla pena di quattro anni di reclusione» (senza specificare il titolo del reato), è vero anche che la società ricorrente non nega la condanna, ma contesta l’attualità dei fatti, sostenendo che si tratterebbe di reati commessi, ormai, più di venti anni addietro.
A fronte di ciò, sarebbe spettato all’amministrazione dare dimostrazione del contrario, poiché dagli atti depositati in giudizio a fondamento del provvedimento impugnato non emergono altri elementi ed informazioni che consentano di sostenere che quel soggetto è un «elemento apicale di consorteria criminale»; e si sarebbe trattato, invero, di una dimostrazione agevole, se dalla sentenza di condanna fosse emerso un diverso contesto temporale dei fatti.
Nulla, invece, la amministrazione ha replicato alle contestazioni di controparte e nulla ha depositato in corso di causa a sostegno della sua affermazione, venendo meno al suo onere probatorio e così lasciando, in definitiva, quell’assunto al grado di mera petizione di principio.
Non regge alle censure neppure l’altro corno della motivazione del G.I.A. («frequentazioni di congiunti degli amministratori con soggetti, tra l’altro, gravati da sequestro di beni ai sensi della normativa antimafia»).
I congiunti in questione sono i fratelli dell’amministratore della società ricorrente e l’episodio nello specifico contestato è quello della frequentazione di uno dei essi con tale R. Luigi, colpito da provvedimento di sequestro a carico suo e della sua azienda in quanto ritenuto prestanome di R. Stefano.
La ricorrente sostiene che il sequestro fu originato da un caso di omonimia e che, pertanto, esso fu revocato nell’anno 2006 dal giudice penale con decreto n. 136/06: a dimostrazione, ha prodotto in giudizio un estratto del decreto di revoca del sequestro sui beni di R. Luigi nella procedura n. 62/05 R.G.M.P. a carico di R. Stefano (decreto che reca, in realtà, numero 101/07 R.D.), emesso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere; ha inoltre prodotto, in relazione al R. Luigi, certificato dei carichi pendenti del 12 febbraio 2010, da cui non risultano elementi significativi ai fini antimafia, e certificato negativo del casellario giudiziale di pari data e, in relazione alla ditta Caseificio R. s.r.l. (a suo tempo oggetto del sequestro in questione), certificato camerale del 19 gennaio 2010 recante nulla osta antimafia.
Orbene, dalla documentazione prodotta in giudizio dall’U.T.G., la circostanza dell’avvenuta revoca della misura patrimoniale, in disparte quali ne siano state le motivazioni (il decreto è stato prodotto nel presente giudizio privo della parte motiva), risulta totalmente obliata nel procedimento di emanazione del provvedimento prefettizio, con conseguente vizio di difetto di istruttoria; deve, per completezza, soggiungersi che neppure in corso di causa, al di là dell’ammissibilità di integrazioni postume della motivazione, la Prefettura ha giustificato perché l’episodio del sequestro, pur dopo la revoca, avrebbe mantenuto rilevanza ai fini in esame.
Per tali ragioni, la domanda di annullamento del provvedimento prefettizio interdittivo (nota prot. n. 743/12.B.16/ANT/AREA 1 del 28 settembre 2009 dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta) è fondata e deve essere accolta, con conseguente annullamento, per l’effetto, dell’atto impugnato.
La specificità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.
A cura di Sonia Lazzini