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La condanna deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell'amministrazione soccombente.

Pubblicato il 08/11/2010
Pubblicato in: Sentenze

La condanna al risarcimento dei danni subiti dalla società ricorrente a causa della perdita della chance di aggiudicarsi il contratto deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell'amministrazione soccombente.

Va, anzitutto, precisato che la natura extra-contrattuale dell’illecito compiuto dall’amministrazione nell’esercizio dell’attività provvedimentale determina la conseguenza che incombe al danneggiato la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 478 del 2005).

Il ricorrente, pertanto, non può limitarsi ad addurre l'illegittimità dell'atto, ma deve compiere l'ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare. A tale riguardo, come è noto, il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall'art. 1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un'occasione di guadagno o, comunque, di un'utilità economica connessa all'adozione o all'esecuzione del provvedimento illegittimo.

Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell'assolvimento dell'onere della prova (è sufficiente, di regola, documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà, per superare le quali può utilmente farsi ricorso a criteri presuntivi: a patto, però, che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.

In proposito, proprio in materia di valutazione del pregiudizio connesso alla perdita di chance, si è ormai consolidato un indirizzo giurisprudenziale, ormai univoco e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, che (sulla base dell’indice normativo già rinvenibile nell’art. 345 della legge n. 2248 del 1865, all. F) riconosce nella misura del 10% dell'importo a base d'asta, per come eventualmente ribassato dall'offerta dell'impresa interessata, l'entità del guadagno presuntivamente ritratto dall'esecuzione dell'appalto.
Occorre, tuttavia, ancora distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell'adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l'esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata. La dimostrazione della spettanza dell'appalto all'impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l'impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell'offerta (come nel caso dell'offerta economicamente più vantaggiosa).
Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all'impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell'appalto (come ribassato dalla sua offerta), ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto. Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l'aggiudicazione dell'appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all'utile d'impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura. Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell'offerta presentata dall'impresa danneggiata.

5.2. Nel caso di specie, la società ricorrente domanda un risarcimento per il lucro cessante pari al “10% del valore dell’appalto”, sull’indimostrato presupposto che, in mancanza delle lamentate illegittimità, l’aggiudicazione sarebbe spettata proprio ad essa ricorrente.
Va tuttavia evidenziato che – come già in precedenza rilevato – nessuna certezza può aversi in ordine all’esito della gara, qualora la commissione giudicatrice fosse stata composta in modo legittimo: ciò, proprio per il criterio di selezione delle offerte che era stato individuato nel bando, ossia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, caratterizzato da un’ampia incidenza di apprezzamenti tecnico-discrezionali (o, il che è lo stesso, dall’assenza di parametri rigidi e matematici di selezione).

La pur richiesta misura del 10% del valore dell’appalto va, pertanto, decurtata in ragione degli indici sopra elencati, nella consapevolezza – peraltro – che la relativa determinazione giurisdizionale dei criteri sfugge a canoni valutativi rigidi: di conseguenza, ai fini della liquidazione di tale danno, è opportuno utilizzare lo strumento già previsto dall'art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, ed ora confluito nell’art. 34, comma 4, del cod. proc. amm., che, appunto, consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione deve proporre a favore dell'avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine (con l’ulteriore previsione che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute, ovvero per l’adempimento delle obbligazioni ineseguite, nelle forme del giudizio di ottemperanza). Deve anche precisarsi, in proposito, che adesso il richiamato art. 34, comma 4, c.p.a. subordina l’utilizzabilità di tale strumento alla mancata previa opposizione delle parti: opposizione che, nel caso di specie, non risulta essere stata avanzata da nessuna delle parti nei loro atti difensivi.

Si deve disporre, pertanto, che l'amministrazione comunale provveda a liquidare una somma a favore della società ricorrente a titolo sia di danno emergente (costi di partecipazione alla gara) che di lucro cessante (mancato utile), secondo i criteri appresso indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla data di comunicazione, o, se anteriore, da quella di notifica, della presente decisione.
In particolare, il risarcimento del danno dovuto dovrà computarsi come segue:
A) quanto al danno emergente:
spese o costi sostenuti per la preparazione dell'offerta e per la partecipazione alla procedura di aggiudicazione, purché assistiti da idonea documentazione. Non sono, invece, nella specie liquidabili, quale voce di danno emergente, per difetto assoluto di qualsiasi prova al riguardo, l'inutile immobilizzazione di macchinari e mezzi tecnici;
B) quanto al lucro cessante:
la percentuale del 10% dell’utile economico (utile da calcolarsi in via equitativa, per quanto sopra detto, nella misura del valore dell’appalto per come ribassato dall’offerta presentata dalla società ricorrente) va ridotta al 5%, posto che il danneggiato non ha documentato di non aver potuto utilizzare in modo diverso le maestranze ed i mezzi rimasti disponibili a causa del mancato espletamento dell'appalto (ciò perché è da presumere, nel silenzio serbato dall’interessata, che l'impresa abbia potuto riutilizzare i mezzi e la manodopera per lo svolgimento di altri lavori). Il risultato così ottenuto dovrà essere diviso per due, in considerazione del numero dei partecipanti alla gara. Quanto poi al pregiudizio per la perdita di chance legata all'impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all'esecuzione dei lavori – pregiudizio pure chiesto dalla ricorrente – esso costituisce, a ben vedere, una sotto-voce già compresa nella liquidazione complessiva del lucro cessante (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 6820 del 2008): non dovrà, pertanto, essere oggetto di ulteriore risarcimento;
C) sulle somme liquidate ai sensi delle lettere A) e B), che riguardano tutte il risarcimento del danno e che consistono, perciò, in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, da computarsi dalla data della stipula del contratto da parte dell'impresa che è rimasta illegittimamente aggiudicataria e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest'ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta);
D) sulle somme progressivamente e via via rivalutate, sono altresì dovuti gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all'epoca della stipulazione del contratto, a decorrere dalla data della stipulazione medesima e fino a quella di deposito della presente decisione; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno;
E) su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente decisione e fino all'effettivo soddisfo.
La condanna al risarcimento deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell'amministrazione soccombente, Comune di Santhià.

6. In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto, nei sensi sopra specificati, e, per l'effetto, vanno annullati i seguenti atti della procedura di gara:
- determinazione n. 100 del 19 marzo 2010;
- gli impugnati verbali di gara;
- determinazione n. 57 del 18 febbraio 2010;
- determinazione n. 98 del 12 marzo 2010.
Quanto alla domanda risarcitoria, il Comune di Santhià va condannato al risarcimento dei danni subiti dalla società ricorrente a causa della perdita della chance di aggiudicarsi il contratto, nella misura e secondo i criteri sopra indicati.
Quanto, infine, alle spese del giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, esse vanno poste interamente a carico dell’amministrazione resistente, nella misura di euro 1.000,00 (mille/00), cui va aggiunta la misura del corrisposto contributo unificato.

A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 3939 del 29 ottobre 2010 pronunciata dal Tar Piemonte, Torino

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