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In primo luogo, per il principio di valenza comunitaria, della certezza del

Pubblicato il 13/05/2010
Pubblicato in: Sentenze

In primo luogo, per il principio di valenza comunitaria, della certezza del diritto, secondo cui occorre garantire la possibilità di conoscere la valutazione concreta operata dal diritto positivo con riferimento alle azioni e situazioni compiute; ciò implica la conoscibilità a priori delle norme e delle regole giuridiche da osservare.

In ambito comunitario l’aspetto principale del principio in esame attiene alla trasparenza delle attività dell’Amministrazione, che deve rivolgersi ai cittadini comunitari con una normativa chiara, facilmente comprensibile e prevedibile nella sua applicazione. Lo stesso è richiesto alle Amministrazioni nazionali, che devono, ad esempio, recepire e trasporre la normativa comunitaria nel modo giusto ed appropriato: è stata, infatti, considerata insufficiente la trasposizione di una direttiva nell’ordinamento nazionale attraverso circolari o prassi amministrative (sentenza Corte di Giustizia 21 giugno 1988, Commissione c. Italia, in causa 257/86). _Tale principio riguarda anche il campo degli appalti pubblici e consiste nella necessità che le regole di partecipazione alla gara siano formulate in modo chiaro e certo in modo da non dare spazio ad ambiguità interpretative._Di fonte ad una clausola del tipo descritta, sarebbe quindi il Giudice, attraverso la sua opera esegetica, a rendere la clausola ambigua, introducendovi un significato che essa non reca e che, quindi, non ha potuto orientare i consociati al quale l’atto inizialmente era rivolto.

In secondo luogo, un integrazione interpretativa del genere, rischierebbe di indurre le Amministrazioni a tenere comportamenti opportunistici, ora adeguandosi ad una interpretazione letterale, del tutto legittima, ora uniformandosi ad un’interpretazione creativa della giurisprudenza, quindi da quest’ultima avallata, deresponsabilizzando le Amministrazioni nell’applicazione della lex di gara, che sarebbe flessibile nel suo esatto contenuto precettivo, a seconda delle convenienze, il che non è, evidentemente, ammissibile.
Infatti, in materia di gara d'appalto lo spazio che viene riconosciuto all'interpretazione del bando si deve ritenere precluso ogni qualvolta l'esegesi delle clausole non sia giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato, dovendosi al contrario preferire, a tutela dell'affidamento dei destinatari, il significato letterale delle previsioni da applicare (cfr. T.A.R. Liguria, sez. II, 17 dicembre 2009, n. 3781).
In secondo luogo, si deve rammentare che tale opera ermeneutica è preclusa anche in base al noto principio in claris non fit interpretatio, codificato dalla giurisprudenza civile in materia di contratti ed applicabile anche in materia amministrativa attesa la ben nota operatività delle disposizioni sui contratti, per quanto compatibili, agli atti amministrativi in generale e, segnatamente, ai bandi di gara.

Tale principio (che, nei contratti, non può essere inteso nel suo significato letterale, posto che al giudice del merito spetta sempre l'obbligo di individuare esattamente la volontà delle parti) è sostanzialmente operante quando il significato delle parole usate nell’atto sia tale da rendere, di per se stessa, palese l'effettiva volontà, nel qual caso l'attività del giudice può e deve limitarsi al riscontro della chiarezza e univocità del tenore letterale dell'atto per rilevare detta volontà e diventa inammissibile qualsiasi ulteriore attività interpretativa che condurrebbe il giudice a sostituire la propria soggettiva opinione alla volontà dei contraenti (cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. II, 15 maggio 1987, n. 4472), il che avverrebbe inammissibilmente, nel caso di specie.

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 2288 del 3 maggio 2010 pronunciata dal Tar Piemonte, Torino

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