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Illegittima revoca di attestazione Soa in caso di trasferimento di ramo di Azienda

Pubblicato il 15/12/2010
Pubblicato in: Sentenze

Illegittima revoca di attestazione Soa in caso di trasferimento di ramo di Azienda: sussiste la buona fede delle parti e che in ogni caso l'Autorità non ha dimostrato, come era tenuta a fare, l'insussistenza della buona fede

la normativa in materia stabilisce che l'impresa nei cui confronti sia stata applicata la sospensione o la decadenza dell'attestazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultanti dal casellario informatico, non può ottenere il rilascio di una nuova attestazione per il periodo di un anno dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate della relativa notizia

E' palese che la finalità della normativa è quella unicamente di sanzionare il comportamento illecito di colui che ha prodotto falsa documentazione in sede di rilascio di attestazione, ma non implica in alcun modo che il complesso aziendale cui si riferiva l'attestazione annullata non possa essere utilizzato da altro soggetto

L'ubi consistam della presente controversia concerne la legittimità di un provvedimento di revoca di un'attestazione basato sul presupposto che la suddetta attestazione era stata rilasciata con riferimento ai requisiti di un complesso aziendale che originariamente apparteneva ad altra impresa - la cui attestazione era stata revocata per violazione dell'art.17, comma 1, lett m) del DPR n.34/2000 - la quale l'aveva ceduto prima dell'adozione della revoca.

Al riguardo, come affermato dalla resistente Autorità in sede di memoria difensiva, "evidenti ragioni fondate sul principio di garantire la par condicio tra i soggetti e di evitare disparità di trattamento, nonchè di certezza delle sanzioni irrogate, comportano che il divieto per l'impresa titolare dell'attestazione annullata di stipulare un nuovo contratto di attestazione prima del decorrere di un anno dalla data del provvedimento dell'Autorità, debba essere necessariamente esteso anche alle imprese che possono divenire (o siano già divenute) cessionarie, locatarie, ecc. di azienda o di ramo proveniente dall'impresa colpita dall'annullamento dell'attestazione"

In sostanza secondo la tesi dell'Autorità non è possibile utilizzare, al fine di ottenere il rilascio di un'attestazione una struttura aziendale appartenuta precedentemente ad altro soggetto la cui attestazione era stata revocata per violazione dell'art.17, comma1, lett.m del DPR n.34/2000, il quale prevede tra i requisiti di ordine generale occorrenti per la qualificazione "l'inesistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione agli appalti e per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione"

Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Al riguardo il Collegio osserva che la normativa in materia stabilisce che l'impresa nei cui confronti sia stata applicata la sospensione o la decadenza dell'attestazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultanti dal casellario informatico, non può ottenere il rilascio di una nuova attestazione per il periodo di un anno dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate della relativa notizia. (Determinazioni dell'Autorità n.6/2004 e n. 1/2005).

E' palese che la finalità della normativa è quella unicamente di sanzionare il comportamento illecito di colui che ha prodotto falsa documentazione in sede di rilascio di attestazione, ma non implica in alcun modo che il complesso aziendale cui si riferiva l'attestazione annullata non possa essere utilizzato da altro soggetto, cui sia stato a vario titolo trasferito, per ottenere il rilascio di una nuova attestazione, in quanto, a seguire la tesi dell'autorità, verrebbe a concretizzarsi sul complesso aziendale de quo una sorta di divieto di utilizzo, anche per l'eventuale futuro acquirente dello stesso, in alcun modo giustificabile tenuto conto che il suddetto complesso aziendale anche nel periodo annuale di cui sopra è liberamente trasferibile, ed avuto presente che in tal modo il potenziale acquirente verrebbe ad essere soggetto ad una misura di indubbia natura sanzionatoria, quale è quella di non potersi attestare tramite l'azienda acquistata, indipendentemente da un previo accertamento della sussistenza di un comportamento colposo o doloso.

In verità se si considera che la finalità perseguita dall'Autorità con il divieto in questione è fondamentalmente quella di assicurare la certezza dell'applicazione della sanzione del divieto di riattestarsi per un anno, per cui occorre evitare che il soggetto colpito dalla sanzione de qua trasferisca il bene ad un terzo acquirente che costituisce, anche se un soggetto formalmente autonomo, una sorta di longa manus del cedente, se ne deduce che un divieto generalizzato tout court risulta un rimedio giuridicamente sproporzionato rispetto a tale sia pur legittima esigenza, atteso che occorre valutare e considerare concretamente la singola fattispecie di trasferimento del plesso aziendale, in modo da individuare una sorta di collegamento sostanziale tra il cedente ed il cessionario, al fine di dimostrare che nonostante l'avvenuto trasferimento della titolarità dell'azienda il primo ne abbia conservata sostanzialmente la gestione.

Di tale problematica si è resa conto la stessa Autorità in sede di memoria difensiva, laddove afferma che "è evidente che nonostante l'avvenuta cessione del ramo di azienda, questa non avrebbe impedito la rilevanza del divieto di riattestazione per un anno a carico dell'impresa di più recente costituzione" e che " nel caso di specie la stretta correlazione parentale tra cedente e cessionaria, valutata, altresì, insieme alla tempistica del rilascio della nuova attestazione, lasciano più di un dubbio che il tutto sia stato posto in essere per evitare gli effetti pregiudizievoli anzi descritti dei certificati falsi riscontrati a carico della cedente Ricorrente Ilario".

Ciò considerato, nella gravata determinazione, l'Autorità de qua, sul presupposto che la vicenda in esame costituisce un'elusione delle norme sulla qualificazione, ha ritenuto che con il rilascio alla società ricorrente dell'attestazione "risultano violati i seguenti principi desumibili dalla Determina dell'Autorità n.5/2003 e dalla sentenza del Consiglio di Stato n.129/2005:

1) l'inutilizzabilità dei requisiti dell'impresa cedente, cui sia stato revocato l'attestato di qualificazione, da parte dell'impresa cessionaria;

2) la non imputabilità della falsità all'impresa che ha conseguito l'attestazione acquista rilevanza ai fini del rilascio di una nuova attestazione;

3) in caso di revoca dell'attestato di qualificazione di un'impresa cessionaria che ha utilizzato documenti non veritieri dell'impresa cedente, la riattestazione della cessionaria è ammissibile ove con l'ordinaria diligenza sia possibile escludere collegamenti tra le imprese coinvolte nell'operazione di cessione.

In merito deve essere rilevato che risulta del tutto inconferente il richiamo dei principi di cui ai punti 2) e 3), atteso che nella vicenda de qua è pacifico che la società ricorrente ha ottenuto il rilascio dell'attestazione sulla base di documenti la cui veridicità non risulta essere stata contestata.

Per quanto concerne il richiamo del principio di cui al punto 1), alla luce di quanto sopra chiarito, un divieto generalizzato ed automatico come quello formulato dall'Autorità, appare razionalmente sproporzionato rispetto al raggiungimento della legittimità finalità cui è preordinato, in quanto è necessario che sia concretamente dimostrato che la fattispecie che ha dato luogo al trasferimento del plesso aziendale nonchè il successivo rilascio dell'attestazione per le modalità con cui sono state poste in essere abbiano avuto unicamente la finalità di eludere l'applicazione del menzionato principio in materia di qualificazione.

In particolare è necessario dimostrare la consapevolezza e quindi la connivenza di tutte le parti del negozio in questione nel perseguire la finalità de qua, per cui non essendo stato dimostrato nella vicenda in questione la sussistenza in modo univoco di tale elemento, come ammesso dalla stessa Autorità nella memoria conclusionale, ove è detto esplicitamente che gli elementi complessivi della vicenda de qua lasciano più di un dubbio che il tutto sia stato posto in essere per evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla produzione di certificati falsi da parte dell'impresa cedente Ricorrente Ilario, deve essere accolto il secondo motivo di doglianza con cui la società ricorrente ha sottolineato, adducendo concreti elementi di fatto a sostegno, che sussisteva la buona fede delle parti e che in ogni caso l'Autorità non ha dimostrato, come era tenuta a fare, l'insussistenza della buona fede.

A cura di Sonia Lazzini

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 34393 del 29 novembre 2010 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

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