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illegittima percezione del contributo pubblico: è competente la Corte dei Conti

Pubblicato il 07/07/2010
Pubblicato in: Sentenze

illegittima percezione del contributo pubblico: è competente la Corte dei Conti

È pacificamente riconosciuto il principio di separatezza ed autonomia del giudizio dinanzi alla Corte dei Conti rispetto al giudizio amministrativo:l’accertamento del giudice contabile, infatti, non cade mai sulla legittimità o illegittimità dell’atto, ma sulla liceità – illiceità del fatto giuridico, che ha comportato una diminuzione patrimoniale per la pubblica amministrazione

In proposito, appare condivisibile l’orientamento manifestato dalla Suprema Corte di Cassazione proprio in riferimento al riparto di giurisdizione tra Corte dei Conti e Autorità Giudiziaria Ordinaria, in ipotesi in cui l’azione di responsabilità sia esperita per il ristoro del danno erariale conseguente all’indebita percezione di contributi comunitari.

La Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato (Ordinanza n. 4511 del 01/03/2006), per discriminare la giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale da quella ordinaria, tenuto conto del sempre più frequente operare dell'amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti, ha reputato irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta.

Ed invero, con la predetta pronuncia  la Corte di Cassazione ha preso atto del mutamento ormai intervenuto nel modus operandi della pubblica amministrazione, che agisce non più solo per mezzo di soggetti organicamente inseriti nel suo apparato, ma anche tramite modelli organizzativi nuovi ed obiettivamente ormai lontani dagli schemi del regolamento di contabilità di Stato (R.D. n. 827/1924) che, invece, notoriamente, ponevano al centro dell’azione amministrativa e delle responsabilità ad essa connesse il pubblico funzionario dipendente in modo organico dai diversi enti od uffici che componevano l’apparato pubblico.

Così opinando, la Suprema Corte è pervenuta alla coerente conclusione che è ormai del tutto “irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo (detto titolo) consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa od in un contratto privato”, purché si sia “beneficiato di fondi pubblici nazionali o comunitari diretti (…) alla promozione dello sviluppo imprenditoriale”.

In questo solco, sono successivamente intervenute altre pronunce e, da ultimo, l’ordinanza n. 20434/09 del 23 settembre 2009, con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito che, qualora un privato ottenga contributi pubblici, egli diventa parte di un rapporto di servizio con l’amministrazione “ravvisabile tutte le volte in cui detto privato sia incaricato di svolgere, con risorse pubbliche e nell’interesse dell’amministrazione,  un’attività o un servizio pubblico: in relazione ai quali il soggetto esterno resta tale, ma è inserito, per la quota di attività che dedica alla p.a., nell’organizzazione funzionale della stessa” (nello stesso senso, Corte dei Conti, Sez. Calabria, sent. n. 754 del 17.12.2009).

In questa prospettiva, la qualità del soggetto non rappresenta un indicatore significativo, utilizzabile per selezionare il Giudice abilitato a giudicare in ordine al danno che quel medesimo soggetto si assume abbia cagionato.
Per far ciò, occorre, invece, avere riguardo alla natura del danno e alla tipologia degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue censurabili condotte, incida negativamente sul modo d'essere del programma imposto dalla P.A., alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l'atto di concessione del contributo, e l’incidenza della sua azione o omissione sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, esso realizza un danno per l'ente pubblico, anche sotto il mero profilo di precludere l’erogazione del finanziamento ad altri possibili beneficiari.

In applicazione del citato criterio di valutazione, vertendo la vicenda in esame su un’ipotesi di danno erariale prodotto da “soggetti privati che hanno partecipato all’attività diretta all’ottenimento di indebiti finanziamenti pubblici”  (Cass., ordinanza n. 4511 dell’1 marzo 2006) è indubitabile che sussista la giurisdizione di questa Corte. (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 313 del 12.2.2010)

Con riferimento, poi, allo specifico profilo di difetto di giurisdizione, relativo all’essere stata esperita azione di responsabilità non solo nei confronti della cooperativa a responsabilità limitata, beneficiaria del finanziamento, ma anche nei confronti del presidente pro-tempore e di un membro del Consiglio di Amministrazione, vale quanto affermato dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 5019 del 2010, che, in caso analogo a quello in discussione, nel valutare se “la Corte dei Conti abbia giurisdizione anche per l’azione di danno erariale proposta nei confronti non già della società a favore della quale il contributo pubblico sia stato erogato, ma direttamente di chi abbia distratto le somme oggetto di finanziamento, così frustrando gli scopi perseguiti dalla pubblica amministrazione”, ha affermato che: “la risposta deve essere positiva alla luce del rilievo che l’instaurazione del rapporto di servizio è correlata non solo alla riferibilità alla società beneficiaria del contributo degli effetti degli atti dei suoi organi, ma anche alla attività stessa di chi, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato o ponendo in essere i presupposti per la sua illegittima percezione, abbia provocato la frustrazione dello scopo direttamente perseguito dall’amministrazione.” (Cass. Civ., Sezioni Unite, Ord. n. 5019/2010).

Ha chiarito ancora la Cassazione, che “Nel caso dei contributi dati a soggetti estranei, questi rispondono per la diversa ragione che, pur essendo estranei, gestiscono risorse pubbliche vincolate all’impiego preventivato, sicché l’applicazione della disciplina della responsabilità amministrativa è, per così dire, diretta. Che i soggetti che debbono impiegare quelle risorse non siano funzionari della stessa o di altra pubblica amministrazione, ma privati, società o non, non rileva: l’assimilazione è ben assicurata dalla figura del rapporto di servizio. Posto, infatti, che il dato fondante della responsabilità è la distrazione dei fondi pubblici, è consequenziale che ne rispondano sia il soggetto cui il finanziamento sia stato erogato (nella specie, la società beneficiarla) sia i soggetti che li hanno distratti per averne avuto la disponibilità.

Se, poi, in ragione del diretto coinvolgimento dei soci nell’attività di amministrazione della società a responsabilità limitata e, dunque, di gestione del contributo pubblico erogato, anche essi debbano rispondere del danno provocato all’erario mediante l’illegittima percezione del contributo pubblico è questione che - una volta superata la configurabilità del rapporto di servizio esclusivamente con la società - attiene alle modalità di esercizio del potere giurisdizionale: dunque ai limiti interni della giurisdizione, estranei alla cognizione di questa corte regolatrice.” (Cass. Civ., Sezioni Unite, Ord. n. 5019/2010, cit.).

Orbene, sulla base delle argomentazioni sopra esposte risulta senz’altro sussistere la giurisdizione della Corte dei conti tanto nei confronti della ALFA., quanto nei confronti degli esponenti aziendali della medesima, Leonardo N., Presidente della Cooperativa anzidetta e Pietro M., socio e Consigliere di Amministrazione della stessa.
Le argomentazioni espresse nella indicata ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione valgono, poi, anche a superare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla difesa del N. e del M..

Infatti, anche a prescindere dalle cariche rispettivamente rivestite nella società – circostanza già bastevole a giustificare un loro diretto coinvolgimento nelle attività che integrano la condotta foriera del prospettato danno erariale - per come risulta articolata la  causa petendi, il N. ed il M. sono stati chiamati in giudizio dalla Procura Regionale per il ruolo concretamente svolto in relazione alla acquisizione e gestione del finanziamento pubblico.

Va, infine, anche disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei Corti, sollevata dalla difesa del convenuto Pietro M., che deriverebbe dall’essere intervenuta la sentenza n. 2720 del 2007, passata in giudicato, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale ha annullato la Determinazione del Dirigente del Settore Agricoltura dell’Assessorato alle risorse Agroalimentari della Regione Puglia, prot. 270/AGR, del 15.3.2007 recante la declaratoria di decadenza della ALFA dal contributo erogato dalla Regione Puglia, ai sensi della Misura 4.2.2. “Apicultura e Allevamenti minori” del P.O.P. Puglia 1994/99.

È pacificamente riconosciuto il principio di separatezza ed autonomia del giudizio dinanzi alla Corte dei Conti rispetto al giudizio amministrativo.

L’accertamento del giudice contabile, infatti, non cade mai sulla legittimità o illegittimità dell’atto, ma sulla liceità – illiceità del fatto giuridico, che ha comportato una diminuzione patrimoniale per la pubblica amministrazione.

“La giurisdizione del Giudice Ordinario (penale e civile), la giurisdizionale del Giudice Amministrativo (Consiglio di Stato e TAR) e la giurisdizione del Giudice della responsabilità amministrativa contabile e delle pensioni pubbliche (affidate alla Corte dei conti) sono reciprocamente indipendenti ed autonome nei rispettivi profili istituzionali, anche quando investono lo stesso fatto materiale, essendo dette giurisdizioni ciascuna autonoma e separata dall’altra (in termini, cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sent. n. 822/1999)” (Corte dei Conti, Sez. II Appello, n. 240 del 14.5.2009).

Infatti, “Nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile gli atti della pubblica amministrazione non vengono in rilievo come tali, e cioè come espressione della volontà dell'amministrazione, ovvero come concreto esercizio del potere funzionale di cui l'autorità emanante è investita, ma come fatti giuridici, idonei a modificare la realtà giuridica e a produrre perciò i conseguenti effetti. Pertanto, l'accertamento del Giudice contabile non cade mai sulla (il)legittimità di un atto, ma sulla (il)liceità del fatto giuridico che, modificando la realtà, abbia comportato una diminuzione patrimoniale per la P.A. Anzi, nella maggior parte dei casi il fatto illecito, causativo di danno, nasce proprio dall'essersi prodotti gli effetti dell'atto amministrativo non annullato in sede di controllo né in sede giurisdizionale di legittimità, e perciò munito della c.d. presunzione di legittimità. Da ciò, consegue la configurazione dei rapporti tra giudizio amministrativo e amministrativo-contabile in termini di assoluta autonomia, senza la previsione di preclusioni, precedenze, effetto di giudicato dell'uno rispetto all'altro e, altresì, la impercorribilità di qualsiasi costruzione giuridica che intenda legare o comunque posporre l'accertamento della responsabilità amministrativa all'accertamento della illegittimità di atti della P.A.” (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n. 165 del 24.3.2009)

La circostanza, quindi, che sia intervenuta una sentenza del TAR Puglia, passata in giudicato, che ha annullato la determinazione con cui si dichiarava la decadenza della ALFA. dal finanziamento pubblico è irrilevante ai fini della valutazione della sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti nell’azione per l’accertamento del danno erariale in ordine alla gestione del predetto finanziamento, atteso che il giudizio amministrativo ed il giudizio contabile-amministrativo hanno finalità del tutto diverse.

Il primo verte, infatti, sulla legittimità della determinazione di decadenza dal contributo, il secondo verte invece sull’accertamento di un danno erariale eventualmente derivato dalla concessione e/o gestione del pubblico finanziamento.

Questo è vero ancor di più nel caso di specie, ove si consideri che, per come chiaramente emerge dalla motivazione, la sentenza del TAR Puglia n. 2720/2007 non ha affatto affermato la legittimità della concessione e della gestione del finanziamento erogato alla ALFA., ma si è limitata ad rilevare l’illegittimità del provvedimento di revoca del finanziamento per difetti del procedimento di adozione e difetto di motivazione.

A cura di Sonia Lazzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 339 del 15 giugno 2010 pronunciata dalla Corte dei Conti della Puglia

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