Alto Contrasto Reimposta
Iscriviti Area Riservata
Menu
Menu
Stemma

il potere di autotutela esercitato si innesta sulla scia della misura cautelare della...

Pubblicato il 12/07/2010
Pubblicato in: Sentenze
il potere di autotutela esercitato si innesta sulla scia della misura cautelare della gestione commissariale irrogata a. dal Tribunale del riesame ai sensi degli articoli 45 e 15 del d.lgs n. 231 del 2001

Si tratta di misure cautelari previste nella disciplina della responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato di cui al d.lgs n. 231 del 2001, disposte in caso di sussistenza di gravi indizi di responsabilità, con lo scopo di arrestare azioni criminose di amministratori a vantaggio delle loro società; di impedire che i comportamenti illeciti emersi sommariamente in sede cautelare possano produrre ulteriori benefici a vantaggio delle società sottoposte a misure cautelari; di ricondurre nell’alveo della legalità la gestione dell’attività dell’ente, prima ancora dell’accertamento definitivo delle responsabilità.

E proprio tali finalità, una volta riscontrata la sussistenza di vizi di illegittimità nella procedura di gara, sono state individuate come interesse pubblico prevalente rispetto agli interessi dei privati coinvolti e sintetizzate nella determina impugnata nell’evidenziazione della circostanza che “la gara costituisce oggetto delle contestazioni di reati gravissimi a carico degli indagati …. e ai sensi e per gli effetti del d.lgs n. 231/01 a carico delle due società…che il contratto è stato eseguito in minima parte…” e che “costituisce dovere ineludibile del Commissario giudiziale non portare ad ulteriori conseguenza i reati contestati”.

Passando ora all’esame dei vizi di natura procedimentale la parte ricorrente con il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione dell’articolo 7 e dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, per mancata comunicazione all’ Ati Ricorrente e a ciascuna delle imprese mandanti dell’avvio del procedimento di autotutela, il che avrebbe impedito di offrire un apporto partecipativo al procedimento.
Con il quinto motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta che il provvedimento di annullamento d’ufficio non sia stato adottato nelle stesse forme procedimentali con le quali è stato adottato l’atto oggetto di annullamento, in quanto non sarebbero state effettuate le stesse comunicazioni, gli stessi pareri e le stesse valutazioni e non sarebbero stati coinvolti gli organi della stazione appaltante che avevano partecipato alla originaria sequenza procedimentale
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Sul punto occorre innanzitutto premettere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, l’art. 7 della legge n. 241 del 1990, trova applicazione anche nei confronti della Total Italia s.p.a., che, nel procedimento in esame, riveste la qualifica di soggetto privato preposto all'esercizio di attività amministrative che, a norma dell’ art. 1 comma 1 ter della legge n. 241 del 1990, è assoggettato, nello svolgimento di tale attività, al rispetto delle regole generali proprie del procedimento amministrativo.
10.2.- Ciò premesso, rileva il Collegio, che il mancato rispetto della norme procedimentali a tutela della partecipazione al procedimento amministrativo non deve essere intesa in termini formalistici, ma sostanzialistici, nel senso che non è annullabile il provvedimento amministrativo per violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, nel caso in cui l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Ciò è espressamente previsto dall’art. 21-octies, comma 2, seconda parte della legge n. 241/90, che ha introdotto i c.d. vizi non invalidanti del provvedimento amministrativo. Tale secondo comma è suddiviso in due parti.
La prima parte prevede che il provvedimento non sia annullabile quando: si sia in presenza di violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti; si tratti di un provvedimento avente natura vincolata; sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
La seconda parte disciplina una fattispecie speciale di esclusione dell’annullabilità, che fa esclusivo riferimento ad un tipico vizio procedimentale, la violazione dell'obbligo di avvio del procedimento (ma stante la medesima ratio giustificatrice la sua portata è estensibile analogicamente anche alla mancata comunicazione di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990), prevedendo che il provvedimento non sia annullabile «qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Dunque, nell’ipotesi di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento la prescrizione normativa non menziona la natura vincolata del provvedimento, rendendo così possibile la prova di resistenza anche per l’ attività discrezionale (C.d.S., VI, 11 aprile 2008, n. 1588; VI, 7 gennaio 2008, n. 19 e n. 32; IV, 10 dicembre 2007, n. 6325; VI, 9 febbraio 2007, n. 528).
Nel procedimento in esame, quindi, è applicabile tale seconda parte, nella quale l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 prescinde dalla natura vincolata o discrezionale del provvedimento e ritiene sufficiente, ai fini della non annullabilità del provvedimento amministrativo, che sia l'Amministrazione a dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso e che il soggetto inciso negativamente dal provvedimento ove fosse stato reso edotto dell’avvio del procedimento non sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’amministrazione procedente.
Ebbene, nella fattispecie, l’amministrazione resistente ha assolto congruamente e rigorosamente l’onere della prova in ordine all’impossibilità di pervenire ad una diversa soluzione a salvaguardia del pubblico interesse ed in ordine alla inifluenza di ogni possibile deduzione che il privato, ove avvisato, avrebbe introdotto nel procedimento.
In particolare tale onere probatorio risulta chiaramente offerto dalle argomentazioni difensive dell’amministrazione resistente, la quale ha dimostrato in concreto l’ineludibilità della scelta adottata per raggiungere lo scopo di non portare ad ulteriori conseguenze i reati contestati connessi allo svolgimento della gara.

Il Collegio, pur non condividendo la tesi dell’amministrazione resistente in ordine alla natura vincolata dell’atto adottato, venendo in gioco, nel procedimento che ci occupa, un’attività tipicamente discrezionale, osserva che la parte resistente ha comunque correttamente chiarito che il potere di autotutela esercitato si innesta sulla scia della misura cautelare della gestione commissariale irrogata alla Total Italia s.p.a. dal Tribunale del riesame ai sensi degli articoli 45 e 15 del d.lgs n. 231 del 2001. La misura cautelare irrogata dal Tribunale del riesame è stata disposta su ricorso della Total Italia s.p.a. in sostituzione della più gravosa misura della sospensione dell’attività della concessione di idrocarburi, con la quale si consentiva la prosecuzione dell’attività dell’ente concessionario attraverso la nomina un commissario giudiziale deputato alla gestione delle attività della Total Italia s.p.a.; nello stesso provvedimento il giudice penale, indicava tra i compiti ed i poteri del commissario (e quindi tra le modalità di esercizio della sua attività di gestione), proprio quello di esercitare i poteri contrattuali e amministrativi in sede di autotutela, qualora fossero ravvisate violazioni delle procedure pubblicistiche poste a presidio della trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa.

Si tratta di misure cautelari previste nella disciplina della responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato di cui al d.lgs n. 231 del 2001, disposte in caso di sussistenza di gravi indizi di responsabilità, con lo scopo di arrestare azioni criminose di amministratori a vantaggio delle loro società; di impedire che i comportamenti illeciti emersi sommariamente in sede cautelare possano produrre ulteriori benefici a vantaggio delle società sottoposte a misure cautelari; di ricondurre nell’alveo della legalità la gestione dell’attività dell’ente, prima ancora dell’accertamento definitivo delle responsabilità. E proprio tali finalità, una volta riscontrata la sussistenza di vizi di illegittimità nella procedura di gara, sono state individuate come interesse pubblico prevalente rispetto agli interessi dei privati coinvolti e sintetizzate nella determina impugnata nell’evidenziazione della circostanza che “la gara costituisce oggetto delle contestazioni di reati gravissimi a carico degli indagati …. e ai sensi e per gli effetti del d.lgs n. 231/01 a carico delle due società…che il contratto è stato eseguito in minima parte…” e che “costituisce dovere ineludibile del Commissario giudiziale non portare ad ulteriori conseguenza i reati contestati”.

In tale contesto fattuale e normativo, l’amministrazione, chiarendo di non potersi prescindere da una valutazione degli effetti sulle procedure di gara, sull’aggiudicazione e sul contratto, alla luce della sanzioni applicate in sede cautelare ai sensi del d.lgs n. 231 del 2001 sia alla Total Italia s.p.a. sia alla società Ricorrente s.n.c., ha quindi assolto all’onere probatorio previsto dall’art. 21 octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990, dimostrando l’ineluttabilità della scelta che ha portato all’annullamento dell’aggiudicazione e del contratto, senza che fosse necessario attendere una pronuncia passata in giudicato in relazione ai reati contestati.
Più in particolare, con la sua difesa in giudizio l’amministrazione dimostra di aver operato nel corso del procedimento, secondo canoni di logicità e congruità, una corretta comparazione e sintesi degli interessi coinvolti, alla luce delle misure cautelari irrogate dal giudice penale.
Rileva, dunque, il Collegio, che risulta provato che il provvedimento, anche se non rispettoso della garanzia procedimentale di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, è ossequioso dell'assetto degli interessi che la disciplina in materia di autotutela impone, in misura tale da rendere superfluo il riesame, posto che ogni ulteriore elemento conoscitivo che l'interessato avrebbe potuto apportare al procedimento, non avrebbe indotto il Commissario ad una diversa determinazione e quindi non sarebbe stato in grado di evitare la lesione lamentata, proprio per la dimostrata impossibilità di un contenuto diverso. Ne consegue il pieno raggiungimento della prova di resistenza richiesta dall’art. 21 octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990, al fine della non annullabilità del provvedimento per violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Anche la quinta doglianza non merita accoglimento
La doglianza è inammissibile, in quanto del tutto generica.
La parte ricorrente, pur indicando nella rubrica la violazione dell’art. 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il difetto di istruttoria e di motivazione, la contraddittorietà e l’illogicità, oltre che la violazione del principio del “contrarius actus”, non chiarisce poi le ragioni che vengono poste a base di siffatte conclusioni, in quanto si limita a dedurre il difetto di istruttoria e la violazione del principio del “contrarius actus” dalla mancata acquisizione dei “pareri richiesti dalla normativa vigente” e dal mancato coinvolgimento degli organi della stazione appaltante, senza specificare, però, quali pareri avrebbero dovuto esser richiesti e quali altri organi avrebbero dovuto essere interpellati nel procedimento di autotutela.
In proposito si osserva che la giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata sulla necessità di una puntuale specificazione delle censure dedotte, sostenendo che "i motivi di ricorso risultano muniti di adeguata consistenza e specificazione (possono, quindi, essere esaminati dal giudice) non già allorché si limitano a descrivere le conclusioni cui essi sono indirizzati, ma se e quando indicano pure le ragioni che vengono poste a base di siffatte conclusioni e danno dimostrazione, secondo l'intendimento del ricorrente, del titolo e della causa delle richieste e delle norme che le giustificano, fermo restando che, in presenza di motivi generici, non può essere invocato il principio iura novit curia, perché la conoscenza che il giudice ha e deve avere delle norme dell'ordinamento (il che esclude che di esse debba fornirsi prova a cura delle parti) non esonera il ricorrente dallo specificare adeguatamente le sue richieste, né il principio può essere interpretato nel senso che il giudice debba prestare la sua opera ovviando con la sua attività all'incapacità delle parti di reperire un qualunque fondamento per le loro pretese" (Cons. Stato, Sez. IV, 22 novembre 2004, n. 7621; conforme Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2006 e Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4419)

A cura di Sonia Lazzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 454 del 28 giugno 2010 pronunciata dal Tar Basilicata, Potenza
 Allegati
Scarica


Utilità