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il danno da ritardo sarebbe risarcibile solo se il privato avesse titolo al rilascio del provvedimento finale,

Pubblicato il 15/03/2010
Pubblicato in: Sentenze

il danno da ritardo sarebbe risarcibile solo se il privato avesse  titolo al rilascio del provvedimento finale, se cioè gli spetti il «bene della vita»

Nell’ambito di una configurazione strumentale e procedimentale del diritto al risarcimento del danno, in quanto connesso alla pretesa lesione di un interesse legittimo, si parla, a tale riguardo, di una specifica relazione tra P. A. e cittadino, preventiva rispetto al fatto o atto produttivo di danno e perciò distinta dalla pura e semplice responsabilità extracontrattuale; relazione che ormai nel linguaggio giuridico ha assunto la denominazione di " contatto sociale qualificato" o di " responsabilità da contatto ", implicante, appunto, da parte della P. A. il corretto sviluppo dell'iter procedimentale secondo non solo le regole generali di diligenza, prudenza e perizia, ma anche e soprattutto di quelle specifiche del procedimento amministrativo, sulla base delle quali avviene la legittima emanazione del provvedimento finale (cfr., Cons. St.,sez. VI, 18 marzo 2008 , n. 1137 ; sez. V, 2.9.2005, n. 4461).

I principi di tempestività e celerità – che segnano i confini della diligenza con riferimento al ritardo giustificabile e scusabile – sono stati ampiamente superati, nel caso di specie, dall’amministrazione, la quale ha comunicato al candidato l’attribuzione di un punteggio indebito a distanza di oltre quattro anni dalla pubblicazione del graduatoria e dopo averlo sottoposto a tutti gli accertamenti di idoneità, in tal modo ingenerando un plausibile e legittimo affidamento; né di tale superamento di termini ragionevoli l’amministrazione ha fornito, sia in primo grado che con l’atto d’appello, alcuna valida e plausibile giustificazione.

Quanto all’affidamento, esso anzitutto rileva non sul piano della colpa ma della sua riconoscibilità e, quindi, sul piano del nesso di causalità; in secondo luogo, non si vede in base a quale parametro di diligenza l’interessato avrebbe dovuto accorgersi di un errore commesso in suo favore e non in suo danno. E’ fatto notorio fondato su elementari meccanismi della psicologia della percezione che l’attenzione si risveglia a fronte di eventi dannosi o pericolosi, mentre resta latente a fronte di fatti piacevoli e favorevoli.

Già da questa breve e incontestata ricostruzione dei fatti appare non solo l’infondatezza, ma addirittura la temerarietà dell’appello, con il quale si tenta di ribaltare il carico oggettivo delle responsabilità, accollando al privato un onere di diligenza insussistente all’evidente fine di coprire un comportamento certamente gravemente colposo posto in essere dall’amministrazione.
Il tentativo dell’amministrazione di rovesciare sul cittadino le proprie colpe appare evidente nella costruzione, da parte della difesa erariale, di un’imputazione, a carico del partecipante alla procedura concorsuale, di un comportamento negligente per non avere verificato - lui - la esattezza del punteggio attribuitogli.

La prospettazione dell’amministrazione non merita, all’evidenza, considerazione.
In punto di diritto va ricordato che la responsabilità della P. A. si ricostruisce, nell’esperienza della giurisprudenza, in termini parzialmente diversi da quelli della responsabilità civile.
In particolare, per quel che qui interessa, la responsabilità per colpa della pubblica amministrazione non è di tipo oggettivo o formale.
Sia la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 500 / 1999, sia la costante giurisprudenza successiva, riconducono la colpa non a mera "inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline", secondo la nozione fornita dall'art. 43 del codice penale, ma a violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenze, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili; tra le negligenze inescusabili vanno annoverati comportamenti sciatti, superficiali, sbrigativi nel compiere operazioni valutative di agevole e semplice esecuzione, come la verifica dell’esistenza o meno di titoli facili da verificare e non comportanti sottili e complicate indagini.
Sotto quest'ultimo profilo, anche la prova della colpevolezza - che difficilmente, in base ai parametri indicati, può ritenersi "in re ipsa" - non può non connettersi alla particolare dimensione della responsabilità dell'Amministrazione per lesione di interessi legittimi, responsabilità che l'elaborazione giurisprudenziale rende non del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili più a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione della natura dell’interesse protetto di chi instauri un rapporto procedimentale con l'Amministrazione.
Tale interesse è sinteticamente definibile come quello strumentale al cosiddetto "giusto procedimento ", che richiede competenza, attenzione, celerità ed efficacia, quali necessari parametri di valutazione dell'azione amministrativa, che in certa misura trascendono quelli tipicamente civilistici della correttezza e buona fede e sulla base dei quali occorre procedere alla valutazione dell’esistenza o meno dell’elemento “ psicologico “ ( rectius: soggettivo ) della colpa.
In base alla costruzione della “ responsabilità da contatto “, anche se la presenza di vizi di illegittimità del provvedimento definitivo non integra di per sé gli estremi di una condotta colposa al fine risarcitorio nei confronti del destinatario dell'atto, non v’è dubbio tuttavia che essa vada accertata in relazione alla singole fattispecie concrete, prendendosi in considerazione il comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento valutandolo alla luce delle regole generali e speciali del procedimento stesso.
Ove quelle regole non siano state rispettate, occorrerà ulteriormente valutarsi se il quadro delle norme rilevanti ai fini dell'adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, le condizioni particolarmente gravose e complesse del procedimento ed altre circostanze concrete possano escludere qualsiasi atteggiamento di colpa e configurare una causa esimente della responsabilità ed apprezzare se l'organo procedente sia incorso in violazione delle comuni regole di buona amministrazione, di correttezza, di imparzialità e buon andamento (cfr. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2006 , n. 7386; Sez. IV, n. 5500 del 10.08.2004; n. 8363 del 19.12.2003; Sez. V^ n. 529 del 04.02.2003; n. 1133 del 01.03.2003; Corte di Cassazione, Sez. I^, n. 5259 del 04.04.2003).
Esulano dalla presente sede, in quanto estranee alle questioni introdotte con l’atto d’appello, le tematiche relative all’orientamento - allo stato piuttosto diffuso – secondo cui il danno da ritardo sarebbe risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale, se cioè gli spetti il «bene della vita» (Ad. Pl. 15 settembre 2005, n. 7); ritenendosi ulteriormente, nell'ambito di tale indirizzo giurisprudenziale, che il titolo al risarcimento andrebbe accertato azionando il procedimento del silenzio e sindacando il successivo diniego espresso, ovvero, all’opposto, che il giudice, adito in sede risarcitoria, dovrebbe effettuare un giudizio prognostico sulla spettanza del titolo, ai soli fini del risarcimento ( cfr. Cons. St,, sez. IV, 29 gennaio 2008 , n. 248 ).
9 - Si tratta, come detto di tematica che esula dalla materia del contendere e che comunque appare estranea ad una fattispecie, come quella in esame, in cui il privato, pur non avendo un diritto pieno al bene finale della vita per il cui conseguimento ha partecipato al procedimento, abbia subito, solo per effetto di comportamento colposo dell’amministrazione, un danno da ritardo non scusabile, in relazione ad altri elementi del patrimonio del singolo, esterni a quelli coinvolti dal “ contatto “ ma comunque sempre legati al primo da un nesso di necessaria consequenzialità.
10 - In concreto, nella specie non appare dubitabile che in relazione al procedimento concorsuale in oggetto l’amministrazione, sotto il profilo procedimentale, abbia violato le più elementari regole di buona amministrazione legate alla tempestività ed accuratezza nella valutazione di titoli di agevole ed immediato riscontro attraverso anzitutto la lettura delle domande di partecipazione.

Merita di essere segnalata la decisione numero 1467 del  12 marzo 2010 emessa dal Consiglio di Stato ed in particolare il seguente passaggio:

<15 - L’amministrazione appellante, come già sopra accennato, pur riconoscendo l’errore da essa commesso, ne invoca la riconoscibilità e la conseguente scusabilità, in relazione ad una presunta mancanza di diligenza da parte del partecipante al concorso, la quale avrebbe determinato, secondo la tesi dell’amministrazione, un atteggiamento di affidamento colpevole; ma anche questo argomento è infondato. La tesi dell’appellante confonde, infatti, tra colpa inescusabile, affidamento e concorso del danneggiato nella causalità del danno ed affidamento incolpevole.
16 - Quanto alla colpa, essa consiste, come detto, nella violazione delle regole temporali e di diligenza accertativa ed istruttoria non agevolata da alcun comportamento del candidato, che non aveva formulato alcuna dichiarazione tale da indurre in errore l’amministrazione.
17 - Quanto all’affidamento, esso deve considerarsi sussistente in tutte le ipotesi in cui, come nella specie, il candidato si sia attenuto scrupolosamente alle prescrizione del bando, non essendo certo suo onere controllare la legittimità e correttezza delle operazioni valutative rimesse all’esclusiva competenza dell’amministrazione e per essa della commissione valutatrice.
18 - Quanto all’affidamento, esso anzitutto rileva non sul piano della colpa ma della sua riconoscibilità e, quindi, sul piano del nesso di causalità; in secondo luogo, non si vede in base a quale parametro di diligenza l’interessato avrebbe dovuto accorgersi di un errore commesso in suo favore e non in suo danno. E’ fatto notorio fondato su elementari meccanismi della psicologia della percezione che l’attenzione si risveglia a fronte di eventi dannosi o pericolosi, mentre resta latente a fronte di fatti piacevoli e favorevoli.
19 - L’assunto dell’amministrazione appellante, al riguardo, potrebbe avere forse un qualche appiglio ove nella graduatoria illustrativa dei punteggi conseguiti da ciascun candidato fosse stato indicato il titolo dell’attribuzione stessa con conseguente scomposizione del punteggio complessivo in relazione a singoli e ben indicati elementi di valutazione.
Ma così non è stato nel caso di specie, ciò che rendeva impossibile per gli interessati, se non facendo uso di una capacità di analisi e di controllo, non richiesta e non comune , di addentrarsi in complicati ( per loro sì ) ed ipotetici percorsi ricostruttivi del processo valutativo della commissione, dipanati attraverso la pluralità e varietà delle categorie dei diversi titoli di merito.

20 - Su tale puto l’amministrazione, insistendo nella sua teoria della violazione dei doveri di leale collaborazione inerenti proprio alla responsabilità da contatto, insiste su un profilo di “ semplicità e linearità dei criteri previsti dal bando “, che avrebbe consentito, anzi imposto, all’appellato di procedere ad un’agevole operazione di calcolo.
L’assunto è abnorme per più profili: anzitutto, perché proprio l’invocata semplicità dei criteri valutativi rende ancor più evidente la negligenza inescusabile di un’amministrazione che non ha saputo applicare tempestivamente quei criteri; in secondo luogo, perché addossa al privato una capacità di valutazione, analisi e calcolo che solo un dovere di attenzione suscitato da un esito negativo della valutazione avrebbe potuto giustificare.
Oltretutto, la tesi della difesa erariale urta contro il dato teorico che la colpa della P. A. va riferita non ad un elemento “ psicologico “, ma ad un dato soggettivo, cioè individuato e valutato con riguardo ad un apparato, fornito e dotato, con ampio assorbimento di risorse a carico dell’intera collettività, di mezzi, strutture e funzionari addestrati che certo il privato non ha.

21 - In conclusione, l’appello va respinto.>

A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisone numero 1467 del 12 marzo 2010 emessa dal Consiglio di Stato

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