Il danno da perdita di "chance" va invero tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione;
Anche in presenza di sopravvenuta carenza di interesse attuale all'annullamento, può invero ancora sorreggere l'impugnativa l'interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno (Consiglio Stato, sez. VI, 27 ottobre 2009, n. 6577).
In caso di impugnazione della esclusione da un concorso, è ipotizzabile l’azione di risarcimento del danno a prescindere dalla impugnazione degli atti ad essa successivi ed in particolare della aggiudicazione ad altro concorrente (Consiglio Stato, Sezione V, 3 ottobre 2002, n. 5196), non potendo derivare la improcedibilità del ricorso dalla mancata impugnazione dell'atto conclusivo del procedimento atteso che il concorrente illegittimamente escluso conserva comunque un interesse processualmente rilevante a conseguire l'annullamento dell'esclusione, posto che da esso può ricavare, quantomeno, il significativo vantaggio, sufficiente a sostenere la procedibilità del gravame, di poter pretendere il risarcimento del pregiudizio patrimoniale sofferto in conseguenza della determinazione giudicata illegittima.
Se è vero che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell'atto fonte del danno impedisce che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall'Amministrazione in esecuzione dell'atto in oppugnato (Consiglio Stato, sez. VI, 21 aprile 2009, n. 2436), va tuttavia considerato che, diversamente da quanto sostenuto dal T.A.R., nei casi in cui ad un soggetto è preclusa in radice la partecipazione ad un concorso, e non sia possibile dimostrare ex post né la certezza della vittoria, né la certezza della non vittoria, la situazione soggettiva tutelabile è infatti la chance, cioè l’astratta possibilità di un esito favorevole, di cui può essere richiesto il ristoro o mediante la ripetizione dell’occasione perduta o, come nel caso che occupa, per equivalente monetario (Consiglio Stato, Sezione VI, 5 dicembre 2005, n. 6990).
Il danno da perdita di "chance" va invero tenuto distinto da quello derivante da mancata promozione; in quest'ultimo caso, il dipendente che agisca per il risarcimento deve provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale sia il fatto che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi, mentre nel danno da perdita di “chance”, sul presupposto della irrimediabilità di tale perdita, in ragione dell'irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima, fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile.
Ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di “chance” può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità - esistente al momento della esclusione - di conseguire la promozione (Cassazione civile, sez. lav., 18 gennaio 2006, n. 852).
Ovviamente se la esclusione non sia illegittima tale probabilità è del tutto insussistente, atteso che il pregiudizio connesso alla perdita di “chance” non può che derivare dalla perdita dell'occasione di vincere un concorso per effetto dell'illegittima selezione di un altro concorrente, o della propria indebita esclusione dal procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 15 febbraio 2005, n. 478).
3.- Tanto premesso va considerato che nel caso che occupa l’appello non è suscettibile di positiva valutazione stante la insussistenza del sopra indicato fondamentale presupposto per il risarcimento della perdita di “chance” costituito dalla illegittimità della esclusione della ricorrente, che esclude in radice la sussistenza, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo della probabilità, di alcuna possibilità che avrebbe avuto la ricorrente di conseguire la qualifica dirigenziale cui aspirava.
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 8418 del 3 dicembre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato
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