errore scusabile qualora vi siano...
Vi è errore scusabile qualora vi siano <<contrasti giurisprudenziali nell’interpretazione di una norma; formulazione incerta od oscura di una norma di recente entrata in vigore; complessità oggettiva della fattispecie; comportamenti di altri soggetti rilevanti e particolarmente determinanti; illegittimità derivante da declaratoria di incostituzionalità della norma applicata intervenuta successivamente all’emanazione dell’atto contestato>>.
Il privato danneggiato, infatti, può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa od anche allegare circostanze ulteriori che siano idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile, spettando poi all’Amministrazione provare che, invece, si sia trattato di errore scusabile, concretatesi in una delle forme individuate dalla stessa giurisprudenza
il Comune appellante, con il proprio primo motivo di impugnazione, critica la decisione del Giudice di prima istanza di respingere l’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno affermando che detto Giudice non avrebbe tenuto conto che la responsabilità dell’Amministrazione resterebbe pur sempre inserita nel sistema dell’illecito aquiliano, di cui all’art. 2043 del codice civile; che il diritto al risarcimento del danno comincerebbe a decorrere sempre e comunque dal giorno in cui si è verificato l’inadempimento od è stata tenuta la condotta illecita, quand’anche il creditore l’abbia scoperta in epoca successiva; che sarebbe errato il riferimento operato, al riguardo, alla sentenza della Corte di cassazione n. 13660 del 2006.
Qual è il parere dell’adito giudice di appello del Consiglio di Stato?
Orbene, ritiene il Collegio che tale critica non colga nel segno tenuto conto che è pienamente condivisibile la motivazione sul punto resa dal primo Giudice che, in tema di responsabilità civile conseguente ad attività procedimentale della Pubblica Amministrazione, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorra dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che, in sede di annullamento degli atti impugnati, accerta l’antigiuridicità di detti atti e ,quindi, consente di individuare l’elemento costitutivo della complessa fattispecie dannosa.
Nella specie, il termine decorreva, dunque, dalla data di passaggio in giudicato della decisione di questo Consiglio (sez. V^, n. 7218 del 2003) -che ha confermato la sentenza del TAR di accoglimento del ricorso della Cooperativa avverso gli atti comunali di annullamento della Concessione Edilizia n. 88 del 1994 rilasciata a detta Cooperativa- per cui deve escludersi che il diritto dell’appellata alla prestazione risarcitoria si sia prescritto, tenuto conto che il ricorso di primo grado deciso con la sentenza appellata è stato presentato poco più di un anno dopo (nel 2005) e, dunque, ampiamente nei cinque anni di legge.
2.3 - Né coglie nel segno il Comune appellante con il proprio secondo motivo di impugnazione in quanto il Collegio condivide la giurisprudenza di questo Consiglio richiamata dal primo Giudice, essendosi da tempo consolidato l’avviso, dal quale non v’è motivo di discostarsi nella specie, secondo il quale, sotto il profilo dell’elemento soggettivo della colpa, non è richiesto un particolare sforzo probatorio al privato danneggiato da un provvedimento della Pubblica Amministrazione, potendosi ben fare applicazione, a tal fine, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 del codice civile, ovviamente desunta dalla singola fattispecie, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione relativa di colpa della P.A. per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione di regole. Il privato danneggiato, infatti, può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa od anche allegare circostanze ulteriori che siano idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile, spettando poi all’Amministrazione provare che, invece, si sia trattato di errore scusabile, concretatesi in una delle forme individuate dalla stessa giurisprudenza (contrasti giurisprudenziali nell’interpretazione di una norma; formulazione incerta od oscura di una norma di recente entrata in vigore; complessità oggettiva della fattispecie; comportamenti di altri soggetti rilevanti e particolarmente determinanti; illegittimità derivante da declaratoria di incostituzionalità della norma applicata intervenuta successivamente all’emanazione dell’atto contestato).
Nella specie, la Cooperativa ha correttamente dedotto in primo grado come dalla sentenza di merito del TAR, confermata in appello da questo Consiglio, fossero state sottolineate le plurime illegittimità inficianti il complessivo comportamento tenuto dal Comune di Calvi nel procedimento di annullamento della concessione edilizia rilasciata molti anni addietro alla Cooperativa stessa (1994) e come dette illegittimità fossero state rese palesi dalla motivazione della sentenza, sia attraverso l’individuazione delle valutazioni palesemente viziate poste in essere dall’Amministrazione, sia attraverso l’evidenziazione dell’omessa considerazione da parte del Comune delle aspettative ingenerate in capo alla Cooperativa con il citato atto concessorio del 1994
Altrettanto correttamente il Giudice di prima istanza ha rilevato che, in presenza di un tale quadro di elementi, emergesse in maniera del tutto evidente la colpa del Comune di Calvi siccome riconducibile ad una serie di atti indicativi dell’errata complessiva condotta procedimentale tenuta dallo stesso Comune in danno dell’appellata Cooperativa. Consegue che non può non ribadirsi che è infondato anche l’esaminato secondo motivo di appello.
Infine, sono infondate anche le deduzioni svolte con il terzo ed ultimo motivo di appello di violazione dell’onere della prova e di falsa applicazione degli articoli 2697 e 2704 del codice civile) in quanto, in parte, valgono le considerazioni già espresse nel capo di motivazione che precede e, per la restante parte, è sufficiente rilevare che il documento utilizzato dal primo Giudice per la quantificazione del danno (peraltro in misura molto più ridotta della richiesta, avendo detto Giudice esclusa l’ammissibilità di alcune voci pure proposte dalla Cooperativa) è una scrittura privata non autenticata che correttamente è stata ritenuta prova valida, non rilevando la mancata autenticazione della sua sottoscrizione, siccome incontestato da controparte il contenuto dispositivo della scrittura stessa.
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 785 del 12 febbraio 2010, emessa dal Consiglio di Stato