E’ legittima la dichiarazione ex art. 38 del D. Lgs. N. 163/2006, sottoscritta dal
E’ legittima la dichiarazione ex art. 38 del D. Lgs. N. 163/2006, sottoscritta dal Legale rappresentante di una ditta partecipante, con la quale questi ha attestato l’insussistenza di cause ostative alla partecipazione anche con riferimento al legale rappresentate pro tempore ed al Direttore Tecnico,
La dichiarazione è conforme alla lex specialis di gara che prevedeva unicamente la compilazione e sottoscrizione di un modello nel quale dovevano essere specificati in nominativi dei soggetti titolari del potere di rappresentanza e, con riferimento ai medesimi, l’insussistenza di cause ostative alla partecipazione ex art. 38 del D. L.vo n. 163/2006, senza alcun ulteriore adempimento:ne deriva che nessuna dichiarazione personalmente resa doveva intendersi come necessitata ai fini della partecipazione alla gara.
Con il presente ricorso, l’Impresa Ricorrente, impugna gli atti della procedura di gara, indetta dall’Azienda Ospedaliera resistente per l’affidamento del servizio di ristorazione, all’esito della quale si è classificata al secondo posto (con punti 91,39/100) alle spalle dell’odierna controinteressata, aggiudicataria del servizio (con punti 95,92/100).
Con il ricorso introduttivo, parte ricorrente, eccepisce l’illegittimità della dichiarazione ex art. 38 del D. Lgs. N. 163/2006, sottoscritta dal Legale rappresentante di Controinteressata, Pietro N., con la quale questi ha attestato l’insussistenza di cause ostative alla partecipazione anche con riferimento al legale rappresentate pro tempore, Fabio C., ed al Direttore Tecnico, Giovanni S..
Rileva, altresì, come la dichiarata condanna a carico del Sig. C., fosse allegata in termini estremamente generici tanto da non consentire alla Stazione appaltante alcun giudizio in ordine alla gravità ed incidenza della medesima.
Quanto alla dichiarazione resa dal Procuratore speciale di Controinteressata, sulla quale si appuntano le censure formulate in sede di ricorso introduttivo, come prescritto al punto 18.8 del Capitolato speciale, il Sig. Pietro N. ha compilato e sottoscritto l’allegato “MODELLO ALFA” indicando i nominativi dei soggetti dotati di rappresentanza dell’impresa, dichiarando “che nei confronti della Ditta non ricorrono le condizioni indicate ex art. 38 D.L.vo 12.04.2006 n. 163 che dispone quanto segue…”.
Con “Dichiarazione integrativa sulle cause di esclusione ha specificato ulteriormente che:
- “nei confronti del Direttore Tecnico Sig. Giovanni S. è stata pronunciata in data 04/06/04 sentenza del Tribunale di Torino di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 444 del codice di procedura penale, per il reato di lesioni personali colpose con irrogazione della pena pecuniaria di euro 200 (duecento) di multa. Il reato risulta ad oggi estinto ad ogni effetto penale essendo intervenuta dichiarazione di estinzione del reato ex art. 445, comma 2, del codice di procedura penale, con Ordinanza del Tribunale di Torino del 13.07.09”;
- “nei confronti dell’ex Presidente del Consiglio di Amministrazione Roberto C. è stata pronunciata nell’anno 1994 sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale per un reato che – ad oggi – risulta estinto ad ogni effetto penale ex art. 445, comma 2, del codice di procedura penale, come da ordinanza di estinzione pronunciata dal Tribunale di Milano il 12.01.2004”.
La ricorrente contesta la legittimità della suddetta dichiarazione affermando come l’autocertificazione riferita a “fatti personali” non possa che essere resa dal solo soggetto interessato non essendo ammesse dichiarazioni riferite a soggetti diversi dal dichiarante.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?
La censura è infondata.
La dichiarazione è conforme alla lex specialis di gara che prevedeva unicamente la compilazione e sottoscrizione di un modello nel quale dovevano essere specificati in nominativi dei soggetti titolari del potere di rappresentanza e, con riferimento ai medesimi, l’insussistenza di cause ostative alla partecipazione ex art. 38 del D. L.vo n. 163/2006, senza alcun ulteriore adempimento.
Ne deriva che nessuna dichiarazione personalmente resa doveva intendersi come necessitata ai fini della partecipazione alla gara.
La sufficienza della dichiarazione resa dal Legale rappresentante della concorrente, anche per conto di soggetti terzi, costituisce principio già affermato da questo Tribunale (TAR Lombardia, Sez. I, 27 novembre 2009, n. 5200) che trova piena conferma anche nella più recente giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, Sez. III bis, 9 febbraio 2010, n. 1768).
Cfr TAR Lombardia, Sez. I, 27 novembre 2009, n. 5200:
Quanto alla domanda di annullamento del contratto stipulato tra il Comune e la controinteressata l’11.3.2009, deve ribadirsi – allo stato - sulla scorta dell’orientamento di Cass. SS.UU n. 27169/2007 in seguito ribadito da Cass. SS.UU. n.10433/2008 cui ha aderito anche il Consiglio di Stato con le Adunanze Plenarie n. 9 e 12/2008, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a pronunciarsi con efficacia di giudicato su tali profili, riservati invece alla giurisdizione del giudice ordinario – dinanzi al quale la domanda andrà riassunta antro tre mesi, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali a norma dell’art. 59 l. 69/2009 - in attesa del completo recepimento della direttiva 2007/CE/66 in forza delle delega al Governo racchiusa ora nell’art. 44 della l. 88/2009 (legge comunitaria per il 2008) il cui co. 3 lett. h) sembrerebbe devolvere allo stesso giudice che annulla l’aggiudicazione anche la cognizione delle questioni inerenti “la S. del contratto”.
Tutto questo per sottolineare come ben potesse il legale rappresentante, agendo a nome dell’ente, rendere tutte le dichiarazioni circa la moralità dei suoi amministratori e direttori tecnici
A fronte di tale evidenza documentale, deve essere chiaro come nessuna norma di legge (e neppure, nella fattispecie concreta in esame, nessuna clausola del bando di gara emanato dal Comune) imponga che la dichiarazione sui requisiti di ordine generale di cui all’art. 38 sia resa personalmente, di proprio pugno, da ciascuno dei soggetti indicati alla lettera c), ovvero in caso di s.r.l., tanto dal legale rappresentante quanto dal direttore tecnico della società
E’ vero piuttosto il contrario, nel senso della possibilità che uno solo dei soggetti “rilevanti” renda la dichiarazione relativamente ai requisiti (propri e) di tutti, possibilità che trova fondamento nell’art. 47 del d.p.r. 445/2000, peraltro espressamente richiamato nel bando di gara, a mente del quale “la dichiarazione resa nell’interesse proprio del dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza”
Il Comune di Vidigulfo ha bandito una procedura aperta, da aggiudicarsi al miglior ribasso su di una base d’asta di euro 78.500,00, per l’affidamento dei lavori di sistemazione di Piazza Italia._Alla gara hanno partecipato due sole imprese, l’odierna ricorrente e la controinteressata.
Nella seduta del 17.1.2009 la Commissione ha disposto l’esclusione della ricorrente, in ragione del fatto che il suo direttore tecnico non avesse personalmente dichiarato l’inesistenza di precedenti giudiziari. Con la determina n. 4/2009 la procedura è stata quindi aggiudicata all’unica impresa rimasta in gara.
Avverso l’aggiudicazione e gli altri atti di gara ha presentato gravame l’Impresa ricorrente deducendone l’illegittimità, per violazione di legge ed eccesso di potere, sulla base di tre motivi:
con i primi due motivi censura, sotto vari profili, la tesi del Comune secondo cui la dichiarazione concernente i requisiti di moralità del direttore tecnico dovesse essere necessariamente resa dallo stesso direttore tecnico, a pena di esclusione, non essendo all’uopo sufficiente la dichiarazione del legale rappresentante
qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?
Con l’avvertenza che, nel caso di specie, il dichiarante era una persona giuridica (una s.r.l.) cui, secondo una formula enfatica risalente nel tempo, che però può in questo caso ancora servire alla comprensione, il legale rappresentante prestava la voce ed imputava gli effetti sulla base del rapporto organico; e per “interesse proprio” doveva intendersi quello dell’impresa collettiva ad essere ammessa a partecipare alla gara.
A fronte quindi una dichiarazione, completa ed esaustiva, resa dal legale rappresentante, di per sé sufficiente ad assolvere agli obblighi dichiarativi prescritti dall’art. 38 e ribaditi dal bando di gara, l’omissione in cui è incorso il direttore tecnico nella sua personale dichiarazione diventa irrilevante, potendo essere considerata come nulla più di una dimenticanza.
L’esclusione è pertanto illegittima, il che inficia anche i successivi atti della procedura.
Si è peraltro rilevato (anche da parte di questa Sezione con i precedenti 3227/2009, 3048 e 1370/2008 ai quali si fa sul punto, per economia processuale, integrale rinvio) come in sede di esecuzione della sentenza, l’amministrazione non potrà non rilevare la sopravvenuta caducazione del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione (fatte sempre salve le prestazioni già eseguite, trattandosi in questo caso di un rapporto di durata), similmente a quanto avviene nel caso di annullamento di una graduatoria di un pubblico concorso che comporta la caducazione degli effetti del contratto di lavoro su di essa fondato, ovvero di annullamento di una concessione di un bene che comporta la caducazione degli effetti dell’accordo accessivo, o ancora di annullamento dell’affidamento di un pubblico servizio disposto senza gara che comporta, non di meno, la sopravvenuta caducazione del successivo contratto (nel senso che “la caducazione della procedura di affidamento travolge automaticamente il contratto per il venir meno del presupposto” v., dopo la citata pronuncia delle SS.UU., Cass. sez. lav., n. 28456/2008).
Rispetto a tali successive e conseguenti determinazioni dell’amministrazione, ovvero a fronte di comportamenti omissivi che disattendano l’effetto conformativo della sentenza, il sindacato del giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, è pieno e completo, potendo adottare tutte le misure (direttamente o per il tramite di un commissario) necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo.
Con particolare riferimento al rapporto tra l’azione risarcitoria e gli effetti conformativi dell’annullamento dell’aggiudicazione si rileva come, avuto riguardo al termine di esecuzione indicato nel bando (60 giorni) ed all’entità dei lavori (importo a base d’asta di 78.500,00 euro), il contratto stipulato con l’aggiudicataria sia stato verosimilmente già eseguito e come, quindi, possa residuare in favore della ricorrente vittoriosa solamente la tutela risarcitoria per equivalente.
Detta tutela presuppone, peraltro, pur sempre il previo accertamento della fondatezza della pretesa di parte ricorrente all’aggiudicazione dell’appalto, in termini di certezza (cd. diritto all’aggiudicazione o interesse legittimo “a risultato garantito”) o, quanto meno, di apprezzabile probabilità (cd. chance) .
Ciò posto, nel caso di specie, poiché a motivo dell’esclusione la busta contenente l’offerta economica della ricorrente non è stata aperta, il Collegio non è al momento in grado di accertare se quanto allegato dalla stessa nella memoria conclusiva – il fatto di avere presentato un ribasso dell’11,25%, quindi migliore di quello della controinteressata – trovi riscontro nei documenti di gara.
Sicché si impone che tale verifica sia compiuta dall’amministrazione resistente, naturalmente attraverso una commissione di gara diversamente composta e previo avviso a parte ricorrente del luogo e della data di apertura della busta, al fine di garantire la sua partecipazione a tutte le operazioni.
Dopodichè spetterà all’amministrazione valutare motivatamente, sotto ogni profilo rilevante, l’offerta economica presentata, comparandola con quella della controinteressata al fine di stabilire, sulla base di un giudizio necessariamente virtuale ed ipotetico, se la ricorrente si sarebbe aggiudicata la gara ove non fosse stata illegittimamente esclusa dalla stessa
Per quanto specificamente attiene al risarcimento del lucro cessante, il Collegio fa proprie le persuasive considerazioni svolte di recente da Cons. St., sez. V, n. 5098/2008, già condivise da questa Sezione con la sentenza n. 1243/2009. Nella pronuncia n. 5098/2008 il Supremo Consesso, pur dando atto dell’esistenza di un orientamento prevalente secondo cui al fine di quantificare il lucro cessante subito dall’impresa per la mancata aggiudicazione di un appalto (ovvero il mancato utile che avrebbe ritratto dal contratto), in caso di pronuncia che riconosca la lesione di interessi legittimi pretensivi c.d. “a risultato garantito”, sarebbe ammissibile liquidare, a titolo di danno presunto ed in via equitativa, una percentuale pari al 10% del prezzo a base d’asta, ai sensi dell’art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F., ha ritenuto di discostarsene in considerazione del fatto che simile criterio conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale.
Si è altresì osservato come in tal modo il ricorrente non avrebbe più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché in tale evenienza presumibilmente otterrebbe di meno; e come del pari inappaganti siano i correttivi adottati da parte della giurisprudenza, nel senso di ridurre gradatamente l’utile conseguibile dall’impresa, nella misura forfettaria del 10%, ove la stessa non dimostri di non aver potuto utilizzare diversamente le maestranze ed i propri mezzi per l’espletamento di altri servizi.
Da qui l’opzione, condivisa anche da questo Collegio, in favore dell’orientamento minoritario che esige invece la prova rigorosa a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, desumibile in via principale dall’esibizione dell’offerta economica presentata in sede di gara (v. già in precedenza, Cons. St., sez. V, n. 1563/2005; sez. IV, n. 478/2003).
Si legga anche
Quando il soggetto onerato della allegazione e prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito
In tema di entità del danno da riconoscere in caso di lesione di interessi legittimi e di onere della prova a carico del danneggiato: l’utile conseguibile dall’impresa nella misura forfetaria del 10% deve essere decurtato ove l’impresa non dimostri di non aver aver potuto utilizzare diversamente le maestranze ed i propri mezzi per l’espletamento di altri servizi.?
Nel rispetto del principio basilare sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, si è affermato, in linea generale, che ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il ricorrente debba fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti _L’importanza dell’assolvimento dell’onere allegatorio è fondamentale perché, come noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove ma queste ultime devono avere ad oggetto fatti circostanziati._ Sotto tale angolazione ben si comprende che se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo, a monte, di allegare circostanze di fatto precise_Appare preferibile l’indirizzo minoritario che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto; prova desumibile, in primis, dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara
Merita di essere segnalata la decisione numero 5098 del 17 ottobre 2008 emessa dal Consiglio di Stato
<Orbene mentre nel caso di accertamento di danni non patrimoniali l’unica forma possibile di liquidazione è quella equitativa, per quelli patrimoniali è vero il contrario, specie se subiti da imprese nell’esercizio della propria attività.
Sotto tale angolazione, proprio in tema di appalti, si è negato il risarcimento a titolo di danno emergente delle spese sostenute dall’impresa per la partecipazione alla gara in mancanza di una specifica allegazione e prova delle singole voci>
Ma vi è di più
<Per quanto specificamente attiene al risarcimento del lucro cessante la sezione osserva quanto segue.
In primo luogo deve ribadirsi, in una con la giurisprudenza più rigorosa, che il mancato guadagno dell’utile d’impresa corrispondendo al c.d. interesse positivo (quale interesse all’esecuzione del contratto), a rigore non potrebbe mai essere risarcito in una fattispecie di responsabilità precontrattuale; il sistema della responsabilità precontrattuale mal si presta ad essere utilizzato per chiedere il risarcimento dei danni che in via meramente presuntiva si sarebbero evitati o dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione ed esecuzione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2007, n. 5174; sez. V, n. 7194 del 2006 cit.; sez. V, 10 ottobre 2006, n. 6026; Cass., sez. I, 26 maggio 2006, n. 12629).
Deve darsi atto però della esistenza di un prevalente orientamento di questo Consiglio, espressamente invocato dalla difesa appellante, secondo cui al fine di quantificare il lucro cessante subito dall’impresa per la mancata aggiudicazione di un appalto (ovvero il mancato utile che avrebbe ritratto dal contratto), in caso di giudicato che riconosca la lesione di interessi legittimi c.d. <<a risultato garantito>>, sarebbe ammissibile liquidare, a titolo di danno presunto ed in via equitativa, una percentuale pari al 10% del prezzo a base d’asta, ai sensi dell’art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F.
Tale tesi non può essere condivisa.
Il criterio del dieci per cento è desunto da alcune disposizioni in tema di lavori pubblici, che riguardano però altri istituti, come l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’amministrazione committente o la determinazione del prezzo a base d’asta.
Tale riferimento, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale.
In tal modo il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno.
Ulteriore difetto di tale tecnica risarcitoria (come si registra nella prassi giudiziaria, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1513) è che obbliga i giudici più sensibili a moltiplicare gli sforzi per trovare correttivi che rendano meno evidenti gli ingiustificati esborsi a carico della finanza pubblica; in quest’ottica, a titolo di esempio, è ricorrente la massima secondo cui l’utile conseguibile dall’impresa nella misura forfetaria del 10% deve essere decurtato ove l’impresa non dimostri di non aver aver potuto utilizzare diversamente le maestranze ed i propri mezzi per l’espletamento di altri servizi.
Tali escamotage offrono un rimedio inappagante perché scontano il vizio d’origine del costrutto argomentativo che nasce all’interno della logica indennitaria e non si concilia affatto con il regime della prova nel sistema della responsabilità civile in genere e della p.a. amministrazione in particolare.
Appare preferibile l’indirizzo minoritario che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto; prova desumibile, in primis, dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1563; sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478).
Parimenti deve essere precisato l’ambito di applicazione dell’art. 35, co. 2, d.lgs. n. 80 del 1998.
Premesso che nel processo amministrativo non sono ammissibili domande di condanna generica ex art. 278 c.p.c. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2004, n. 942), il ricorso alla c.d. <<sentenza sui criteri>> di liquidazione del danno postula che sia stata accertata l’esistenza del danno stesso e che il giudice sia in grado di individuare i criteri generali che saranno di guida per la formulazione dell’offerta da parte della p.a.
E’ evidente pertanto che il meccanismo processuale divisato dal menzionato art. 35 non può essere strumentalizzato per eludere l’obbligo di allegazione dei fatti costitutivi del proprio diritto.
Alle stesse conclusioni si giunge in relazione all’utilizzo, da parte del giudice, della c.t.u. che non è mezzo di prova in senso proprio e non può supplire all’onere probatorio della parte>
In conclusione quindi
<Discende da quanto sopra che alla ALFA dovrà essere liquidata, a titolo di risarcimento del danno, una somma pari ad euro 84.392 vale a dire alla metà di quanto determinato dal primo giudice nell’impugnata sentenza; si precisa che su tale somma non decorreranno accessori fino alla pubblicazione della presente decisione, in quanto il primo giudice, sul punto, non si è pronunciato e non è stato proposto dalla ALFA appello incidentale>
SI LEGGA ANCHE
La responsabilità (precontrattuale per culpa in contrahendo ) della stazione appaltante davanti al giudice amministrativo in caso di annullamente illegittimo di un’aggiudicazione (mancanza dell’adeguata copertura finanziaria)
Nel momento in cui un’ impresa partecipa ad un appalto, è legittimo che la sua aspettativa sia quella di aggiudicarsi l’appalto.
Nella fase successiva, qualora l’impresa riesca effettivamente ad aggiudicarsi l’appalto, è legittima la sua aspettativa a sottoscrivere il contratto.
Pertanto qualora l’amministrazione decida, ingiustamente, di annullare l’aggiudicazione, è corretto che l’impresa richieda il risarcimento del danno davanti al Tar per responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione
Nella fattispecie in esame è positivamente riscontrato che la lesione della libertà negoziale della parte appellante, che si è vista indotta a contrattare e a confidare in buona fede nella validità della procedura poi rimossa in sede di autotutela, è avvenuta per colpa dell’amministrazione (la quale è incorsa in un macroscopico errore, ponendo a base di un bando un progetto non appaltabile perché privo di copertura finanziaria).
Infatti:
il Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, n. 7194 del 6 dicembre 2006) ritiene ammissibile la risarcibilità del danno, a titolo di responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione, nell’ipotesi – quale è quella oggetto della presente controversia – in cui l’amministrazione procedente, rilevando un errore nel procedimento di gara già esperito, rimuova in autotutela la gara stessa, ancorché fosse già intervenuta l’aggiudicazione in capo all’impresa vincitrice della selezione.
Ed invero, l'obbligo giuridico sancito dall'art. 1337 cod. civ. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative è stabilito perchè con l'instaurarsi delle medesime sorge tra le parti un rapporto di affidamento che l'ordinamento ritiene meritevole di tutela.
Pertanto, se durante tale fase formativa del negozio, una parte viola il dovere di lealtà e correttezza ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l'affidamento della controparte - anche colposamente, in quanto non occorre un particolare comportamento oggettivo di malafede, nè la prova dell'intenzione di arrecare pregiudizio all'altro contraente - in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto risponde per responsabilità precontrattuale.
In altre parole quindi:
Mancando il rispetto dei criteri della correttezza e della buona fede da parte della pa, è giusto che l’impresa ottenga il risarcimento del danno
Le domande a cui l’emarginata sentenza risponde sono le seguenti:
domanda:
Per quali controversie ci si puo’ rivolgere ai Tar, competenti per territorio, o in appello, al Consiglio di Stato (supremo organo amministrativo)
Risposta:
Ci si può rivolgere al giudice amministrativo per “tutte” le controversie tra privato e pubblica amministrazione riguardanti la fase anteriore alla stipula dei contratti di lavori, forniture e servizi (la fase di evidenza pubblica rivolta alla scelta del contraente privato).
Questa affermazione si basa sul fatto che:
Ed invero nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente l’amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento o la revoca dell’attività autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune (regole la cui violazione assume significato e rilevanza, ovviamente, solo dopo che gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi sono venuti meno e questi ultimi effetti si sono trasformati in affidamenti restati senza seguito).
Domanda.
A quale giudice bisogna rivolgesi nel caso in cui un’impresa si aggiudichi un appalto successivamente annullato in tutte le sue fasi da parte dell’amministrazione pubblica?
Risposta
Il giudice competente è sempre il Tar in quanto la Legge prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative a interessi legittimi della fase pubblicistica sia delle controversie di carattere risarcitorio relative a diritti soggettivi traenti origine dalla caducazione di provvedimenti della fase pubblicistica (le pretese per responsabilità precontrattuale).
Domanda
E’ possibile quindi che l’amministrazione pubblica risponda per la propria responsabilità anche prima della sottoscrizione del contratto di appalto?
Risposta
La risposta non può che essere, oggi, affermativa anche se l’evoluzione in materia di responsabilità della Pubblica amministrazione per culpa in contrahendo è stata lunga e travagliata
E’ altresì innegabile che l’impresa che ha conseguito l’aggiudicazione è ormai soggetto individuato quale contraente dell’amministrazione, la cui offerta ha già ottenuto - da parte dell’amministrazione - un principio rilevante di accettazione, sicché egli vanta (non un diritto di obbligazione derivante dal contratto, che non si è ancora concluso) un legittimo affidamento protetto dalla tutela apprestata per il contraente in buona fede: in questi termini si è già da tempo pronunciata la giurisprudenza civile, anteriormente alle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 80/1998 e della legge n. 205/2000.
La Cassazione civile, nel negare la qualità di contraente al mero partecipante alla gara, anteriormente all’aggiudicazione (donde l’affermazione della normale non applicabilità, in tale fase, della responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 1337 c.c.) ha tuttavia ammesso che, una volta intervenuta l’aggiudicazione, l’aggiudicatario dovesse ormai ritenersi parte a tutti gli effetti (Cass., SS.UU. civ., 26 maggio 1997 n. 4673).
Già prima delle innovazioni del 1998-2000 la giurisprudenza era, dunque, approdata alla conclusione della possibilità dell’applicazione delle regole in tema di responsabilità precontrattuale alla Pubblica amministrazione committente, ancorché solo dopo l’aggiudicazione, nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto.
A seguito di tali innovazioni taluni giudici amministrativi di primo grado, nella specifica materia delle procedure di gara d’appalto, hanno ammesso la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante (ad esempio, in un caso di mancata aggiudicazione di un appalto di lavori per omessa esclusione automatica di offerte anormalmente basse; ovvero facendo applicazione della responsabilità precontrattuale in un caso di illegittima revoca del bando, giudicata alla stregua di un’ingiustificata e arbitraria interruzione delle trattative
Domanda
A quanto può quindi ammontare la richiesta del risarcimento del danno?
Risposta
Al riguardo per pacifica giurisprudenza, il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale, in relazione alla mancata stipula del contratto o in relazione alla invalidità dello stesso, si limita all’interesse negativo, rappresentato – com’è noto – sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto (danno emergente), sia della perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso (lucro cessante), con esclusione dei danni che si sarebbero evitati e dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione e l’esecuzione del contratto
in caso di culpa in contrahendo, i danni risarcibili comprendono (oltre alle spese sostenute in previsione della conclusione del contratto) le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni per la mancata conclusione di un altro contratto dello stesso oggetto, mentre resta escluso il risarcimento dei danni che si sarebbero evitati e dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione ed esecuzione del contratto .
E’, dunque, senz’altro risarcibile (come, peraltro, ammette la stessa Amministrazione) il danno a titolo di spese sostenute per la partecipazione alla procedura di gara in ragione della pacifica circostanza della avvenuta partecipazione dell’impresa ricorrente alla procedura poi annullata, con un’offerta ritenuta dalla stessa amministrazione valida e meritevole di aggiudicazione
Conclusivamente il danno risarcibile nei confronti dell’odierna ricorrente, alla stregua di quanto precedentemente indicato costituisce la risultante dalla sommatoria degli importi relativi alle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara in discorso e alla somma dovuta a titolo di lucro cessante per perdita di chance derivante dal precluso conseguimento di altre occasioni
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 2678 del 30 giugno 2010 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano