E comunque, ogni qual volta si discuta se le sostanze pubbliche siano state
E comunque, ogni qual volta si discuta se le sostanze pubbliche siano state correttamente utilizzate e siano effettivamente servite per realizzare finalità di pubblico interesse, non può essere revocabile in dubbio che il Giudice deputato nel nostro ordinamento ad un tale tipo di verifica, ai sensi dell’art. 103, comma 2, Cost., è appunto questa Corte dei conti.
Com’è noto, il problema relativo alla possibile sussistenza di un rapporto di servizio di entità private con una pubblica amministrazione, si era posto inizialmente con riguardo agli amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici, per i quali il Giudice della nomofilachia aveva in un primo tempo affermato che la giurisdizione della Corte dei conti era da ritenersi sussistente solo limitatamente agli atti che esorbitano dall'esercizio imprenditoriale proprio di questi enti, e si ricolleghino, dunque, a poteri autoritativi di autorganizzazione, restandone invece escluse le attività d’impresa, svolte in regime di diritto privato (Cass. civ., SS.UU., 2 marzo 1982, n. 1282; id., 21 ottobre 1983, n. 6178; id, 11 febbraio 2002, n. 1945/ord.; id, 20 febbraio 2003, n. 2605/ord.)._
In anni più recenti, tuttavia, la medesima Cassazione ha rimeditato tale orientamento. Con la - oramai nota - ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, le SS.RR. hanno affermato, infatti, che esiste la giurisdizione della Corte dei conti in ordine agli illeciti commessi da amministratori e dipendenti che abbiano cagionato danni agli enti pubblici economici da cui dipendono. Ha ritenuto, la Suprema Corte, che l’adozione di forme privatistiche per l’organizzazione dell’ente pubblico o per la sua attività, in ogni caso non potrebbe certo avere l’effetto di trasformare il denaro amministrato, che è pubblico – in ragione del suo provenire dalla finanza pubblica - in denaro “privato”, del cui buon uso sia come tale consentito disinteressarsi.
Tale nuova linea interpretativa della Corte regolatrice della giurisdizione è stata ribadita in numerose ulteriori pronunzie. La successiva decisione della Cassazione intervenuta nell’argomento (la sentenza delle Sezioni Unite 26 febbraio 2004, n. 3899), ha affermato l'esistenza di un rapporto di servizio – e quindi della giurisdizione contabile - tra un comune e una società per azioni, il cui capitale era detenuto in maggioranza dallo stesso comune, il quale a tale società aveva affidato in concessione alcuni servizi. In particolare, le Sezioni Unite hanno rilevato che il rapporto tra l’ente locale e la società in tali casi è caratterizzato “…dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”: il che, appunto, costituisce il presupposto “per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale”; nello stesso senso le considerazioni espresse, sempre dalle SS.UU. della Cassazione, nell’ordinanza 2 luglio 2004, n. 12192, che ha dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti su una società, costituita da un ente pubblico (ACI) per la gestione dei parcheggi a pagamento su suolo comunale.
Per quel che più da vicino interessa il profilo all’odierno esame di questo Giudice d’appello, è da tenere presente l’ordinanza 12 ottobre 2004, n. 20132, nella quale la medesima Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che rientrano nella giurisdizione della Corte dei conti le fattispecie di danno erariale, relativo a fatti commessi anche dall’amministratore di un ente privato, destinatario di contributi vincolati, distratti irregolarmente dal fine pubblico cui sono destinati.
Successivamente, con la sentenza 1° marzo 2006, n. 4511 (ricordata anche dal Procuratore generale), le Sezioni Unite hanno ulteriormente chiarito che la Corte dei Conti può condannare anche i soggetti privati che ricevono indebitamente finanziamenti pubblici per la loro attività (pure privata). Più in particolare, ha osservato la Suprema Corte che, in tema di riparto di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice contabile, "… il baricentro si è spostato dalla qualità del soggetto (privato o pubblico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da potere determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile". Analoghi concetti sono stati espressi dalle medesime SS.UU. nelle successive pronunzie, 20.10.2006, n. 22513 (sempre in fattispecie di erogazione di contributi pubblici a privati), 20.11.2007, n. 24002 e 18.7.2008, n. 19815.
L’innovativa posizione del Giudice regolatore della giurisdizione è stata fatta propria, senza esitazioni, dalla giurisprudenza contabile: possono ricordarsi in particolare, tra le tantissime, Corte dei conti, Sezione I d'appello, 15.10.2009, n. 581 e 5.8.2008, n. 361; Sezione III d'appello, 16.3.2010, n. 202 e 2.10.2009, n. 397; Sezione giurisdizionale Lazio, 29.3.2010, n. 719; Sezione giurisdizionale Calabria, 17.2.2010, n. 170; Sezione giurisdizionale Sicilia, 27.11.2009, n. 2996; Sezione giurisdizionale Sardegna, 18.1.2008, n. 123.
Orbene, ritiene il Collegio che siano sufficienti le notazioni innanzi esposte, per evidenziare la piena sussistenza, nel caso all’esame, di tutti gli elementi caratterizzanti la giurisdizione contabile di responsabilità, secondo la giurisprudenza sopra riportata.
Invero, non v’è dubbio che ogni irregolare utilizzo delle risorse pubbliche ricevute dal privato per la realizzazione di un programma di promozione di un settore produttivo da parte della P.A., crea un danno per l’ente che tali risorse ha erogato, in relazione al concreto andamento del programma al quale il contributo stesso era funzionalizzato. In altri termini, in tutti i casi – come in quello odierno – in cui l’erogazione di fondi pubblici a privati avviene in forza dell’adesione ad un programma di attività varato dall’ente erogatore, il privato medesimo diventa compartecipe fattivo di quell’attività pubblica, contribuendo a realizzare le finalità perseguite con il programma stesso ed instaura, perciò, con il predetto ente un rapporto funzionale di servizio (v. Corte dei conti, Sezione III app., n. 202/2010, cit.).
Insomma, ciò che è decisivo, ai fini del radicamento della giurisdizione contabile di responsabilità amministrativa, non è l'utilizzo degli strumenti giuridici prescelti (di diritto privato o pubblico) o la natura (pubblica o privata) del soggetto agente, ma l’oggettivo perseguimento dei pubblici interessi e la qualificazione pubblica delle risorse gestite (elementi, entrambi, qui indiscutibili): in caso di erogazione di contributi pubblici a soggetti privati, nell’ambito di un programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione il privato è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, si è in presenza di un danno erariale, con conseguente giurisdizione del giudice contabile, qualora il privato abbia inciso negativamente sul programma medesimo determinando, con le proprie azioni, uno sviamento dalle finalità perseguite.
E comunque, ogni qual volta si discuta se le sostanze pubbliche siano state correttamente utilizzate e siano effettivamente servite per realizzare finalità di pubblico interesse, non può essere revocabile in dubbio che il Giudice deputato nel nostro ordinamento ad un tale tipo di verifica, ai sensi dell’art. 103, comma 2, Cost., è appunto questa Corte dei conti.
Il Collegio deve, dunque, affermare la propria giurisdizione in materia, con conseguente rigetto del relativo motivo d’appello.
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 387 del 1 giugno 2010della Corte dei Conti, SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE