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deve essere affermata la responsabilità della Azienda appellata, per i danni derivanti dall’illegittima aggiudicazione dell’appalto

Pubblicato il 20/04/2010
Pubblicato in: Sentenze

in accoglimento della domanda dell’impresa interessata, deve essere affermata la responsabilità della Azienda appellata, per i danni derivanti dall’illegittima aggiudicazione dell’appalto

la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all'annullamento giurisdizionale di provvedimenti illegittimi dev'essere inserita nel sistema dell'accertamento dell'illecito extracontrattuale delineato dagli artt. 2043 ss. cod. civ., alla stregua del quale l'imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell'illegittimità del provvedimento (cfr. pure, tra le tante di questa Sez., 6 marzo 2007 n. 1049).

In tale contesto, è stato altresì evidenziato che anche la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia CE 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994), pur assegnando valenza decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall'amministrazione, nonché la novità della medesima questione, riconoscendo così portata esimente all'errore di diritto, in analogia all'elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni (cfr. cit. dec. n. 1346/07).

La Sezione deve valutare la domanda di risarcimento del danno, proposta dalla parte interessata, concernente la riparazione del pregiudizio derivante dal provvedimento di aggiudicazione, annullato dalla parziale decisione della Sezione, ormai divenuta, in questa parte, definitiva.
Al riguardo, l’Azienda appellata ha svolto ampie ed articolate deduzioni, dirette a sostenere l’assenza di colpa nell’adozione degli illegittimi provvedimenti annullati. Ha contestato, inoltre, la quantificazione del danno indicata dall’impresa appellante, nei propri atti difensivi.
La tesi prospettata dall’appellata muove dalla condivisibile premessa secondo la quale l’accertata illegittimità di un provvedimento amministrativo annullato dal giudice competente non è condizione sufficiente per affermare la responsabilità civile dell’amministrazione che lo ha adottato.
Per ottenere la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno occorre dimostrare, invece, la concreta sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, compreso quello relativo all’elemento soggettivo della responsabilità (dolo o colpa del soggetto autore dell’atto illegittimo ritenuto produttivo di pregiudizio patrimoniale).
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

in linea generale, questa Sezione ha affermato il consolidato principio secondo cui, “ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo quindi verificarsi se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi; segue da ciò che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati conseguenti ad un atto illegittimo da essa adottato il giudice amministrativo può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negandola quando l'indagine presupposta con- duce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto” (fra le ultime pronunce in tal senso, si veda Consiglio Stato, Sez. V, 12 giugno 2009 , n. 3750).
Peraltro, si è anche chiarito ripetutamente, con riferimento alla ripartizione dell’onere probatorio relativo alla dimostrazione concreta del prescritto elemento soggetti vo dell’illecito, che, “in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l'influenza di altri soggetti” (Consiglio Stato, Sez. V, 20 luglio 2009 , n. 4527).
Infatti, in tema di responsabilità dell'amministrazione per attività provvedimentale illegittima e con riguardo all'elemento soggettivo della colpa, la Sezione ha escluso l'applicabilità dei principi concernenti la responsabilità contrattuale per inadempimento in ordine alla presunzione relativa di colpa e l'ascrizione all'amministrazione dell'onere di dimostrare la propria incolpevolezza, e, nel far uso dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, ha ripetutamente affermato che, mentre il privato può limitarsi a fornire al giudice elementi indiziari quali la gravità della violazione (come presunzione semplice di colpa e non già come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell'azione amministrativa giudicata, l'univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.
Dal canto suo, l'amministrazione può allegare elementi, anch'essi indiziari, rientranti nello schema dell'errore scusabile, spettando poi al giudice apprezzarne e valutarne liberamente l'idoneità a comprovare o ad escludere la colpevolezza dell'amministrazione stessa, senza che possa considerarsi valida l'equazione "illegittimità dell'atto-colpa dell'apparato pubblico" (cfr. Sez. V, 20 marzo 2007 n. 1346).
La parte appellata, senza contestare le regole riguardanti la ripartizione dell’onere probatorio in tema di dimostrazione della colpa dell’amministrazione elaborate dalla giurisprudenza, indica gli argomenti logici e fattuali che, a suo dire, condurrebbero a ritenere sussistente un rilevante errore scusabile, tale da escludere, in concreto, la sua colpa nell’adozione del provvedimento illegittimo.
Nell’ambito di queste corrette coordinate interpretative, in particolare, l’appellata sostiene che, nel caso di specie, vi sarebbe stata una “obiettiva incertezza e notevoli difficoltà interpretative”, in ordine all’applicabilità del divieto di partecipazione alla gara in contestazione.
Sotto un primo aspetto, la società appellata evidenzia la “peculiarità della fattispecie” in oggetto, che avrebbe resa incerta l’applicabilità concreta del divieto di partecipazione alle gare, sancito dall’articolo 113, comma 6, del decreto legislativo n. 267/2000. In quest’ottica, a suo dire, la circostanza che la società aggiudicataria CONTROINTERESSATA fosse affidataria diretta da parte del comune di Moie di Maiolati Spontini della gestione dell’impianto di discarica sita nel territorio comunale non avrebbe determinato il sicuro divieto di partecipazione alla gara in contestazione.
A parere dell’ASA, infatti, la procedura selettiva in oggetto non riguarda un servizio pubblico locale “tipico” (raccolta, trasporto e conferimento in discarica dei rifiuti), bensì un’attività complessa e specifica da prestare all’interno della discarica comunale del comune di Corinaldo, nell’interesse della società titolare del servizio di gestione.
La non immediata qualificabilità dell’oggetto dell’appalto come espletamento di un servizio pubblico locale prestato nell’interesse degli utenti, quindi, avrebbe determinato una violazione del tutto incolpevole e giustificabile di regole dalla portata applicativa incerta.
Vi sarebbe, poi, un ulteriore errore scusabile, originato dalla circostanza che anche la giurisprudenza di questo Consiglio si sarebbe espressa, in un primo tempo, nel senso di ritenere che le disposizioni di cui all’articolo 35 della legge n. 448/2001 non potessero ritenersi immediatamente applicabili nelle more dell’entrata in vigore del previsto regolamento di attuazione.
La tesi della parte appellata, benché ampiamente argomentata, non è condivisibile.
Se è vero, infatti, che la disciplina in materia ha presentato senz’altro alcune difficoltà interpretative, non si può dire che il comportamento della stazione appaltante sia stato condizionato dall’adesione a un indirizzo interpretativo univoco.
Né sembra esatta l’affermazione di un scarsa chiarezza della disciplina positiva, in relazione ai due profili indicati (oggetto dell’appalto in contestazione e differimento dell’entrata in vigore della nuova disciplina recante il divieto di partecipazione alle gare).
Le caratteristiche obiettive dell’appalto potevano lasciare, forse, un certo margine di dubbio interpretativo fisiologico, ma la riconduzione allo schema del servizio pubblico locale non avrebbe richiesto uno sforzo interpretativo troppo marcato ed intenso.
Non può giovare all’appellata, poi, nemmeno il riferimento ad un isolato precedente giurisprudenziale di primo grado, secondo cui il divieto di partecipazione sarebbe stato differito al 1 gennaio 2007. Infatti, non risulta che questa circostanza abbia influito sulla determinazione adottata dalla stazione appaltante, la quale, negli atti del procedimento selettivo in contestazione, non ha mai utilizzato questo argomento logico-giuridico. E non può essere trascurato nemmeno che la pronuncia invocata (TAR Lazio, III, 18 luglio 2007, n. 7698) faccia riferimento, essenzialmente, ad una disposizione (l’articolo 113, comma 5 quater, introdotto dall’articolo 4, comma 284 della legge n. 350/2003), entrata in vigore solo dopo l’aggiudicazione dell’appalto in oggetto.
Sotto altro aspetto, poi, la società appellata ritiene di essere incorsa in un errore scusabile anche in relazione all’altro profilo di illegittimità accertato dalla decisione parziale di questo Consiglio n. 3920/2009 (“l’A.T.I. aggiudicataria doveva essere esclusa perché aveva fatto presente di voler assegnare in subappalto il trasporto del percolato e per la manutenzione dell’impianto di sollevamento”).
In relazione a tale aspetto, la violazione della lex specialis di gara, che espressamente vietava il subappalto, risulta evidente. L’accertamento istruttorio compiuto in sede di gara (svolto nell’ambito della valutazione circa l’anomalia dell’offerta) avrebbe dovuto confermare la sussistenza della violazione riscontrata e non certo giustificarla.
Resta quindi integrato, in concreto, il requisito della colpa dell’amministrazione. Pertanto, in accoglimento della domanda dell’impresa interessata, deve essere affermata la responsabilità della Azienda appellata, per i danni derivanti dall’illegittima aggiudicazione dell’appalto.
Ai fini della liquidazione del danno, in applicazione del disposto dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente decisione, l’ASA dovrà offrire all’appellante una somma determinata in applicazione dei seguenti criteri.
a) Nulla va dovuto quale ristoro economico delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, trattandosi di costo che grava, fisiologicamente, sulle imprese concorrenti. Né risulta dimostrato che la società appellante abbia sopportato spese maggiori di quelle ordinarie, a causa degli atti illegittimamente adottati dalla stazione appaltante.
b) Non possono essere computati i danni riferiti alla asserita “disgregazione” dei beni strumentali e alla perdita dell’attività di impresa conseguente al fallimento. Infatti, anche prescindendo dai possibili profili di novità della domanda in appello, non risulta dimostrato, allo stato, il rapporto di causalità tra l’illegittimità della mancata aggiudicazione del servizio e il fallimento dell’impresa. Tale circostanza, in particolare, non è affatto accertata dalla sentenza dichiarativa del fallimento e l’appellante, a tale riguardo, non ha svolto adeguate attività difensive volte a dimostrare il proprio assunto.
c) Ai fini della liquidazione del lucro cessante derivante dalla mancata aggiudicazione della gara deve essere utilizzato il parametro della misura dell’utile di impresa indicato nell’ambito delle giustificazioni dell’offerta economica presentate dall’appellante, oppure, in subordine, una somma equitativamente determinata nel cinque per cento del prezzo offerto in sede di gara, rapportato all’effettiva durata dell’appalto.

A cura di Sonia Lazzin
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 2029 del  13 aprile 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

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