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di massima importanza il rispetto delle normative di sicurezza anche quando non abbia rilevanza penalistica

Pubblicato il 16/04/2010
Pubblicato in: Sentenze

una sentenza di patteggiamento relativa ad un infortunio sul lavoro può considerarsi un debito accertamento della violazione in materia di sicurezza del lavoro ai sensi dell’art. 75 comma 1 ,lettera e) del d.p.r.n. 554 del 1999: è di massima importanza il rispetto delle normative di sicurezza anche quando non abbia rilevanza penalistica, a fortiori quando i fatti considerati abbiano determinato le gravi conseguenze della morte e/o della lesione dei lavoratori e non solo situazioni di mero pericolo non penalmente qualificato

legittimo procedimento diretto alla declaratoria di decadenza della A.t.i. dalla aggiudicazione, all’escussione della cauzione provvisoria e alla segnalazione dei fatti alle autorità competenti, avendo ravvisato “incompatibilità tra la posizione dell’impresa aggiudicataria provvisoria. e i requisiti di carattere generale indicati nel bando di gara”

l’art. 75 comma 1 ,lettera e) del d.p.r.n. 554 del 1999  fa riferimento alla produzione del certificato del casellario ma non esclude il potere dell’amministrazione di disporre ulteriori accertamenti o di prescrivere nella lex specialis particolari adempimenti dichiarativi a carico dei concorrenti

la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (cfr. Cons. St., sez. V, 18.10.2001, n. 5517; id., 25.11.2002, n. 6482).

Il Collegio ritiene che l’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 non richieda alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, se così fosse verrebbe meno infatti la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante .

Non può giustificarsi, tra l'altro, la omissione della dichiarazione circa la esistenza di condanne penali patteggiate, sulla base della peculiarità del rito processual-penale utilizzato:l'istituto del patteggiamento, ossia della decisione penale di condanna su richiesta della parte, non può certo costituire un espediente per sfuggire ai requisiti di moralità professionale, richiesti ai partecipanti alle gare di appalto, nel senso che la valutazione della incidenza di tali reati su detta moralità e, quindi, sulla possibilità di partecipare alla gara non può essere rimessa all'arbitrio del concorrente; pertanto, essendo mendace la dichiarazione che non dia piena contezza delle condanne patteggiate, è legittimamente escluso dalla gara il concorrente che ometta di dichiararle e sarebbe illegittimo l'operato della amministrazione appaltante che non tenesse conto della omissione di dichiarazione ( CdS , Sez. IV, n. 2933 del 2005).


Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio , prescindendo dalle questioni processuali, ha respinto il ricorso nel merito.
In primo luogo si è ritenuto che la legge speciale della gara non fosse ambigua o non sufficientemente comprensibile alla luce del tenore del punto 3.14 delle norme di partecipazione che richiede, fra i requisiti di ammissione , il non aver riportato condanne penali con sentenza passata in giudicato oppure di applicazione della pena su richiesta per qualsiasi reato possa incidere sulla moralità professionale, specificando poi la prescrizione in calce al modello di domanda ed all’art. 10 lett. J che sanziona con l’esclusione dichiarazioni incomplete o mendaci.
Il Collegio di prime cure ha ritenuto, in ossequio ad un orientamento giurisprudenziale, che , mediante autocertificazione si possa anche richiedere al privato di attestare l’inesistenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta , non risultante dal casellario giudiziario spedito a richiesta dei privati, come nella specie sarebbe avvenuto.
Nella specie era richiesta la dichiarazione di tutte le condanne intervenute, rimettendosi poi all’amministrazione, stazione appaltante, ogni valutazione circa la loro rilevanza e l’incidenza sulla moralità professionale dell’impresa.
Quanto all’esclusione il Collegio di prime cure ha ritenuto che essa potesse ben disporsi in base al mendacio in ordine a sentenza patteggiata, che tale conseguenza non richiedesse una particolare indagine sull’elemento soggettivo, che la rilevanza delle sentenze patteggiate nelle selezioni pubbliche era da ritenersi giustificata alla luce delle esigenze di cautela con le quali le amministrazioni devono entrare in contatto con soggetti la cui condotta illecita sia incompatibile con la realizzazione di progetti di interessi collettivo comportanti esborso di danaro pubblico.
Il Tar ha poi ritenuto che i requisiti morali non possano essere valutati cumulativamente, che essi debbano sussistere distintamente per ogni soggetto facente parte di un raggruppamento concorrente per un appalto.
In ultimo sul reato oggetto del precedente non dichiarato ( omicidio colposo con violazione delle norme anti-infortunistiche ) ha ritenuto che lo stesso fosse incidente sull’affidabilità e la moralità professionale.
Inoltre ha ritenuto che fosse nel potere dell’amministrazione acquisire notizie in via diretta dalla Procura della Repubblica.
La sentenza si è poi soffermata sugli effetti di accertamento che è possibile ricondurre alla sentenza di patteggiamento e sulla concretezza del giudizio dell’amministrazione che si era soffermata sulla tipologia dell’infrazione contestata ( relativa alla sicurezza sul lavoro ) sia sulla gravità delle conseguenze ( morte di un operaio e lesione di altri ).
In ultimo ha ritenuto legittima la clausola generale relativa all’affidabilità morale e professionale, stante la difficoltà di un’enumerazione tassativa delle fattispecie di reato aventi efficacia preclusiva della partecipazione alle gare pubbliche.
Appella la SEL articolando l’impugnazione su tre motivi poi ulteriormente dettagliati.
Il primo motivo aggredisce i capi della sentenza afferenti l’asserita falsità delle dichiarazioni e la causa di decadenza di cui all’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 ( pag. 14- 26 ).
Il secondo motivo i capi della sentenza afferenti l’esistenza di un reato patteggiato incidente sulla moralità professionale ex art. 75 comma 1 lett. c ) del d.p.r. n. 554 del 1999 ( pag.26- 34 ).
Il terzo motivo investe i capi della sentenza afferenti la sussistenza di una grave violazione anti-infortunistica, anche ai sensi dell’art. 75 comma 1 , lett. e) del d.p.r. n. 554 del 1999.
Qual è il parere dell’adito giudice di appello del Consiglio di Stato?

L’appello è infondato.
Il primo mezzo, in primo luogo ribadisce la censura di mancanza di chiarezza della lex specialis ( pag. 16-18 dell’atto di appello ).
La necessità di dichiarare le sentenze di patteggiamento sarebbe stata prevista in una postilla richiamata a fondo pagina e scritta in caratteri microscopici.
Il punto 3.14 delle norme di partecipazione non sarebbe chiaro facendo riferimento alle sentenze che incidono sulla moralità professionale e non a tutte le sentenze.
Rileva il Collegio che in primo luogo il punto 3.14, dopo aver precisato che fra i requisiti di partecipazione vi era il “non aver subito condanne penali , con sentenza passata in giudicato oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per qualsiasi reato che possa incidere sulla moralità professionale” , prosegue precisando che “si deve fare riferimento a tutti i tipi di condanna…” con ciò chiarendo che qualsiasi condanna è rilevante ai fini del giudizio, da parte dell’amministrazione, di non affidabilità professionale.
L’art. 10 lett. j delle norme di partecipazione sanziona poi con l’esclusione l’omissione di una o più delle dichiarazioni relative al possesso dei requisiti di ammissione.
Quanto al fac-simile del modulo di partecipazione al punto B.4 è chiaro nel richiedere che non risultino condanne penali ( specificandosi poi con nota ben visibile, nota 15 , che esse comprendono anche i casi di applicazione della pena su richiesta ).
Le note a piè di pagina del modulo erano ben visibili perché occupavano quasi la metà dello spazio della pagina del modulo medesimo, sicché era dovere del concorrente prestare attenzione alle stesse.
Ne deriva l’infondatezza di tutte le doglianze prima specificate.
Il primo mezzo di appello continua ( pag. 19-22 ) contestando l’illegittimità , per contrarietà al buon andamento amministrativo, della richiesta di un’autodichiarazione in aggiunta a quanto previsto dal casellario giudiziario, addossandosi al ricorrente , impropriamente, il compito di interpretare la portata di eventuali sentenze di condanna o di patteggiamento e la loro incidenza sulla moralità professionale ovvero di dichiarare, non senza rischio di fraintendimenti, tutte le condanne subite .
Si richiama l’art. 75 comma 2 del d.p.r. n. 544 del 1999 che prevede che l’insussistenza delle condizioni ostative sia provata mediante la produzione del certificato del casellario e non mediante un’autodichiarazione.
Si ritiene che la predetta norma prevalga , in forza del principio di specialità, sulla diversa norma di cui all’art. 77 bis d.p.r. n. 445 del 2000.
Ritiene il Collegio che le deduzioni della ricorrente, anche sotto questo ulteriore riguardo, non siano fondate.
In primo luogo va rilevato che l’art. 75 fa riferimento alla produzione del certificato del casellario ma non esclude il potere dell’amministrazione di disporre ulteriori accertamenti o di prescrivere nella lex specialis particolari adempimenti dichiarativi a carico dei concorrenti.
Il certificato del casellario giudiziario non riporta se chiesto dai privati le condanne per le quali è stato riconosciuto il beneficio della non menzione nonché le sentenze di applicazione della pena su richiesta ( patteggiamento ) e neppure (art. 34 comma 4 l. n. 55 del 1990) i provvedimenti definitivi di irrogazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale ex art. 3 l. n. 1423 del 1956; per effetto dell'entrata in vigore del t.u. del casellario giudiziario (d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313) solo al p.m. ed all'autorità giudiziaria penale è consentita l'acquisizione del certificato integrale (in precedenza acquisibile da tutte le pubbliche amministrazioni), mentre le pubbliche amministrazioni possono ottenere solo il certificato rilasciato all'interessato; conseguentemente il bando di gara può legittimamente prescrivere, con maggior severità rispetto le previsioni di cui all'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999, che il concorrente, oltre a produrre il certificato del casellario giudiziale, produca altresì apposita dichiarazione di insussistenza di reati incidenti la moralità e la professionalità, dichiarazione che dovrà essere veritiera, dovendo includere anche eventuali reati non iscritti nel casellario , nonché dichiarazione relativa alle circostanze ostative ex lett. b) dell'art. 75 citato, attesa la insufficienza dei certificati in questione; deve, peraltro, essere riconosciuta alla p.a. la facoltà di individuare modalità di documentazione dei requisiti di accesso a gara ulteriori e più restrittive di quelle di legge, ove ciò risponda a canoni di logicità, ragionevolezza, pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito, e non vi è dubbio che nel caso specifico dei requisiti di cui all'art. 75 sub b) e c) l'infungibilità dei certificati prescritti al comma 2 rispetto alla prova della inesistenza delle cause preclusive di cui al comma 1 giustifica un maggior rigore.
La disciplina trova una conferma nel codice dei contratti pubblici, che, all'art. 38, comma 2, D.Lg.vo n. 163/2006 prevede che "il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del DPR n. 445/2000, in cui indica anche le eventuali condanne, per le quali abbia beneficiato della non menzione"; al riguardo va sottolineato che ai sensi del previgente 689, comma 2, C.P.P. ( sostanzialmente, per questo aspetto confermato dal d.p.r. n. 313 del 2002 ), nel certificato del Casellario giudiziale, richiesto dai privati, sin dalla legge n. 12 del 1991, non sono riportate le condanne definitive: 1) per le quali è stato riconosciuto il beneficio della non menzione nel certificato stesso ex art. 175 C.P… 5) di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento) ex artt. 444 e 445 C.P.P
E’ certo che le predette sentenze di condanna definitiva, non indicate nei certificati del Casellario giudiziale richiesti dai privati, ai sensi dell'art. 688, comma 1, C.P.P., erano riportabili nei certificati integrali del Casellario giudiziale, rilasciati su richiesta di una Pubblica Amministrazione o di un Ente incaricato di pubblico servizio , fino alla legge n. 313 del 2002 che ha ulteriormente ristretto l’accesso dell’amministrazione ai certificati integrali , ma non per il riscontro della veridicità delle autodichiarazioni , imponendo il ricorso all’autodichiarazione.
Pertanto, poiché anche le sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nel certificato del Casellario giudiziale o le sentenze patteggiate potrebbero incidere sulla moralità professionale e perciò potrebbero costituire un ostacolo all'ammissione ad un procedimento di evidenza pubblica, i concorrenti ad una gara di pubblico appalto devono attestare con apposita autodichiarazione, oltre alla mancanza delle sentenze di condanna definitiva che vengono indicate nel certificato del Casellario giudiziale a richiesta dei privati (cioè di una dichiarazione sostitutiva del certificato del Casellario giudiziale), anche l'assenza di sentenze definitive di condanna con il beneficio della non menzione, nonché,come nella specie, l'assenza di sentenze patteggiate (per le quali non è stata ottenuta l'amnistia, la riabilitazione o l'estinzione e artt. 167 o 445 C.P.P. per decorso del tempo senza aver commesso un altro reato) e l'assenza di reati puniti con la sola pena pecuniaria, attesocché deve essere consentita all'Amministrazione appaltante la possibilità di effettuare una valutazione anche della rilevanza di tali condanne sull'affidabilità morale e professionale di ogni partecipante ad un procedimento di evidenza pubblica.
Per cui l'attestazione sui requisiti di moralità professionale, che non contenga il riferimento ad una sentenza di patteggiamento per omicidio colposo, va equiparata alla stregua di una falsa dichiarazione, che ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. m), DPR n. 34/2000 va sanzionata con l'esclusione dalla gara (cfr. da ultimo C.d.S. Sez. V Sent. n. 1723 del 12.4.2007; TAR Trento Sent. n. 8 del 21.1.2008).
Il Collegio ritiene che l’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 non richieda alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, se così fosse verrebbe meno infatti la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante .
Il corollario che deve trarsi da tale constatazione è che la non veridicità di quanto auto-dichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera indipendentemente da ogni indagine della pubblica amministrazione sull’elemento soggettivo del dichiarante , perché non vi sono particolari risvolti sanzionatori in giuoco, ma solo le necessità di spedita esecuzione della legge sottese al sistema della semplificazione.
L’accertamento dell’elemento soggettivo può essere rilevante sotto altri profili ad es. per verificare la sussistenza di un eventuale reato di truffa ( art. 640 del c.p.) ma non per applicare le conseguenze decandenziali legate alla non veridicità obiettiva della dichiarazione.
Né nella specie – per quanto si è già osservato – può ritenersi che il bando non fosse chiaro, l’esistenza di differenti prassi amministrative è solo stata enunciata e non minimamente allegata, le rassicurazioni date da un penalista circa la non incidenza della sentenza di patteggiamento sull’attività di impresa sono non provate oltre che irrilevanti trattandosi di valutazioni ( quelle sull’incidenza dei reati sull’affidabilità professionale ) riservate all’amministrazione e non surrogabili mediante pareri professionali , se non a pena di superare il modello di tradizionale funzionamento della normativa basata sulla sequenza autodichiarazione del concorrente – valutazione dell’incidenza da parte dell’amministrazione.
In giurisprudenza si è ritenuto che il partecipante ad una gara d'appalto ha l'obbligo di dichiarare alla p.a. qualsiasi elemento utile al fine di valutare la sussistenza di possibili cause di esclusione, ivi compresi i fatti che pertengano non già alla vita professionale, ma a quella personale del partecipante.
Ne consegue che legittimamente la p.a., in sede di autotutela, annulla d'ufficio l'aggiudicazione di un appalto, allorché venga a sapere che l'aggiudicatario abbia sottaciuto alla p.a. di avere riportato una condanna per concussione (Consiglio Stato , sez. V, 18 settembre 2003 , n. 5321).
Analogamente si è ritenuto che in sede di procedura di gara d'appalto di opere pubbliche costituisce dichiarazione non veritiera e quindi legittima causa di esclusione dalla gara e non aggiudicazione dell'appalto, quella nella quale l'impresa concorrente omette di indicare, in sede di dichiarazione concernente le eventuali sentenze penali riportate, una sentenza patteggiata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., anche attinente ad un reato estinto per decorso del termine quinquennale di cui all'art. 445 c.p.p. (Consiglio Stato , sez. V, 25 gennaio 2003 , n. 352).

Si legga anche

Consegna del cantiere prima della stipula del contratto e successivo annullamento dell’aggiudicazione ((violazione norme antinfortunistiche) a lavori già eseguiti al 50%

Nessun errore né negligenza è imputabile ad un’ Amministrazione, che resasi conto di aver aggiudicato l’appalto ad un’impresa incapace di contrarre con la P.A. e prima della stipulazione del contratto, ha legittimamente disposto l’annullamento dell’aggiudicazione stessa, a seguito della mancata dichiarazione dell’ Amministratore Unico  dell’impresa di avere cagionato per colpa (ancorchè in epoca molto remota rispetto alla gara), consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme antinfortunistiche, la morte di un operaio.

L’esistenza del reato addotta dall’Amministrazione a sostegno del provvedimento impugnato non è di conseguenza contestabile e il decorso del tempo non è idoneo a farne venir meno l’esistenza, soprattutto in assenza di un provvedimento di riabilitazione

Il Consiglio di Stato con la decisione numero 1723 del 12 aprile 2007, in tema di annullamento di un’aggiudicazione ci insegna che:

<Il Comune di Milano, una volta accertata l’assenza dei presupposti per contrarre con la P.A., non poteva far altro che annullare in via di autotutela l’aggiudicazione, escludere l’impresa dalla gara, rideterminare la soglia di anomalia e procedere all’aggiudicazione dell’appalto al miglior offerente.

Nessun margine di discrezionalità rimaneva all’Amministrazione, che si è limitata a valutare l’incidenza della condotta penalmente sanzionata e non dichiarata sull’affidabilità morale e professionale dell’impresa>

Si deve considerare che:

<l’annullamento dell’aggiudicazione nei confronti della ricorrente è intervenuto per tre motivi:

a) l’esistenza di sentenza di condanna,
b) l’esistenza di reato che incide sull’affidabilità morale e professionale definitivamente accertato,
c) l’esistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti per potere partecipare alla gara>

ma di quale condanna si sta parlando?

< Quanto all’esistenza di una sentenza di condanna, la circostanza non è contestabile; infatti, il presidente dell’impresa con sentenza di primo grado del 22.3.1989, era stato dal Tribunale di Busto Arsizio ad otto mesi di reclusione, per il delitto previsto e punito dagli artt. 589, 62 bis c.p., per avere cagionato per colpa, consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme antinfortunistiche, la morte di un operaio, oltre a £. 1.200.000 di ammenda, per le contravvenzioni previste e punite dagli artt. 77 lett. b)  e lett. c) D.P.R. n. 164/56, per non avere munito il lavoratore di cintura di sicurezza e per avere consentito che il lavoratore eseguisse  lavori ad un’altezza superiore a 2 metri, senza adottare precauzioni idonee ad evitare pericoli di caduta.>

il principio quindi che ne possiamo dedurre è il seguente:

< La giurisprudenza al riguardo afferma – se si eccettuano i reati relativi a condotte delittuose individuate dalla normativa antimafia – in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell’impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all’esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato>

ma non solo

<L’apprezzamento dell’amministrazione deve riguardare la rilevanza della condanna penale subita, con conseguente obbligo di motivare adeguatamente in ordine all’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare.

Il requisito della moralità professionale richiesto per la partecipazione alle gare pubbliche di appalto manca nell’ipotesi di commissione di un reato specifico connesso al tipo di attività che il soggetto deve svolgere>
 
A cura di Sonia LAzzini
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 1909 del 6 aprile 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

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